A 18 anni ero una vera bellezza.
Il viso era rotondo e paffutello, le labbra carnose e volitive, le ciglia lunghe e nere, il taglio degli occhi leggermente asiatico. Adoravo sorridere e mostrare i denti bianchi e regolari.
Mio padre diceva che assomigliavo a Rachel Lee, l'attrice di Shanghai Blues. Era piacevole muovere le mani sui fianchi sottili come se stessi cesellando un vaso. Avrei voluto dei seni più grandi ma la loro forma era armonica e terminavano a punta, come se ammiccassero alla persona davanti a me.
Avevo passato anni ad allenarmi nella ginnastica ritmica e le gambe mi erano rimaste tornite e il ventre piatto con gli addominali che disegnavano cunette simili alle onde disegnate dal vento sulla sabbia.
L'ombelico era un'insenatura appena pronunciata e mi piaceva guardarmi nuda davanti allo specchio mentre mi pettinavo i lunghi capelli neri.
Michele, il fotografo amico di Andrea, il mio compagno di banco al liceo, mi diceva che il mio corpo era armonioso e ben proporzionato.
Andrea faceva il modello. Non mi sembrava particolarmente bello, però era alto, con un corpo statuario e dei lineamenti delicati, quasi femminili.
Andrea mi disse che Michele stava cercando una modella dai tratti orientali e che io potevo essere adatta.
Mi vergognavo e avevo paura che mi facesse spogliare davanti all'obiettivo. Non mi ero mai spogliata davanti a uno sconosciuto fino a quel momento.