Autore Topic: Il segreto della vita  (Letto 323 volte)

presenzadiritorno

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Il segreto della vita
« il: Agosto 28, 2020, 14:28:01 »
Questa non è mia, ma mi è piaciuta tantissimo: il segreto della vita, è un segreto!

nihil

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Re:Il segreto della vita
« Risposta #1 il: Settembre 02, 2020, 11:58:21 »
la vita potrebbe essere definita in molti modi e portare aforismi infiniti. abow

victor

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Re:Il segreto della vita
« Risposta #2 il: Settembre 04, 2020, 12:05:31 »
Ciao Presenza.

Quando ero ragazzo ho trascorso moltissima parte del mio tempo a leggere. Tra i tanti libri letti ci sono stati quelli di Jack London (a quei tempi la maggior parte dei ragazzi conosceva questo autore, ora non so se i ragazzi leggono e cosa leggono).

Durante questo Lock Down ho ricercato quei libri e li ho riletti (Zanna bianca, Il richiamo della foresta …) ma ricercavo in particolare un libro nel quale un episodio era rimasto inciso nella mia mente come scolpito sul granito. Doveva essere tra questi scritti. E l’ho trovato! L’ho trovato ne “La legge della vita”.

L’ho riletto e mentre leggevo la mia schiena era scossa dai brividi.

Quando, ragazzo dodicenne o tredicenne, lo lessi ne rimasi impressionato, ma non sconvolto. Avevo visto la guerra con le sue brutture, conoscevo che cosa terribile fosse la fame (fortunatamente non l’avevo sofferta, ma sapevo esattamente cos’era). Avevo letto libri che descrivevano i sacrifici celebrati dai sacerdoti Maya che immolavano sulla pietra dell’altare ragazzi e ragazze e ne mangiavano il cuore crudo che ancora palpitava. Pertanto ero già temprato.

E ricercavo questo mio lontano ricordo. Volevo rileggerlo. A distanza di tanto tempo. Volevo rileggerlo con uno spirito e una mente necessariamente diversi. Temprati da una vita lunga e multiforme e principalmente già preparata alla sua fine. Una mente e uno spirito pienamente consapevoli che tutto, proprio tutto, così come ha un inizio ha necessariamente una fine.

Victor.

*****.*****

La legge della vita. Di Jack London.
(Stralcio di alcuni frammenti)

Il vecchio Koskoosh ascoltava avidamente. Benché la sua vista fosse scomparsa da tempo, l'udito era ancora buono, e il suono leggerissimo penetrava fin nella vaga intelligenza che dimorava ancora dietro la fronte rugosa, ma che non contemplava più le cose concrete del mondo. Ah! Il rumore era prodotto da Sit-cum-to-ha, che ingiuriava i cani, mentre li costringeva a forza di scapaccioni sotto la bardatura. Sit-cum-to-ha era la figlia di sua figlia, ma in quel momento era troppo occupata per dedicare un pensiero al misero nonno seduto solo lì nella neve, abbandonato e disperato. Bisognava disfare il campo. La lunga pista attendeva, mentre il breve giorno si rifiutava di attendere. La ragazza sentiva il richiamo della vita, non della morte. E il vecchio era ormai prossimo alla morte.

A questo pensiero, il panico invase per un momento Koskoosh, che tese le mani paralizzate, tastando con gesti tremanti la piccola catasta di legna secca che aveva accanto. Rassicurato che il combustibile fosse veramente lì, la mano si ritirò al riparo delle pellicce spelate, ed egli si mise ad ascoltare. Il cupo crepitare delle pelli a metà gelate, gli disse che avevano smontata la capanna del capo, e che ne ripiegavano i varî pezzi per renderla trasportabile.

Il capo era suo figlio, forte e robusto, condottiero della tribù e gran cacciatore. Mentre le donne faticavano col bagaglio del campo, la sua voce si levò sgridandole per la loro lentezza. Il vecchio Koskoosh tese l'orecchio. Era l'ultima volta che avrebbe udita quella voce. Ecco che se ne andava la capanna di Geehow! E quella di Tusken! Sette, otto, nove; restava solo quella dello shaman. Ecco! Erano ormai al lavoro su essa. Il vecchio udiva lo shaman grugnire, mentre ammucchiava le pelli sulla slitta.

Un bambino piagnucolò e una donna lo calmò con voce gutturale. Il piccolo Koo-tee, pensò il vecchio, un bambino scontroso e non troppo robusto. Sarebbe morto ben presto, forse e gli avrebbero scavato una buca nella terra gelata, e vi avrebbero ammucchiato sopra delle rocce per proteggerlo dagli animali.

Ebbene, che importava? Era il destino di tutti: un po' di anni trascorsi a ventre vuoto, qualche altro a ventre pieno, poi la fine … La morte, più affamata di tutti, non mancava mai di visitare la tribù.

Che era questo? Oh, gli uomini che legavano le slitte e stringevano le cinghie. Il vecchio ascoltò: il vecchio che non avrebbe più ascoltato. Le fruste schioccarono e morsero i cani. Uditeli mugolare! Come odiano la fatica e la pista! Eccoli partiti! Le slitte si allontanarono l'una dopo l'altra, svanendo nel silenzio. Erano partiti. Erano usciti dalla sua vita, ed egli affrontava da solo l’ultima ora amara.

No. La neve scricchiolava sotto un paio di mocassini; un uomo si teneva accanto a lui; sulla sua testa una mano si appoggiava dolcemente. Suo figlio era buono, per compiere quell'atto. Il vecchio rammentò gli altri, i cui figli non avevano atteso, dopo che la tribù era partita. Ma suo figlio aveva atteso. La sua mente si smarrì nel passato finché la voce del giovane la riportò al presente.
— Hai tutto quel che ti occorre? – domandò.

E il vecchio rispose:
— Tutto.
— Hai accanto una catasta di legna – continuò il giovane – e il fuoco arde brillantemente. La mattina è grigia e il freddo è venuto. Nevicherà fra breve. Comincia già a nevicare.
— Sì, comincia già a nevicare.
— Gli uomini della tribù hanno fretta. Le loro balle sono pesanti, il loro ventre è piatto per mancanza di cibo. La pista è lunga ed essi viaggiano rapidamente. Devo andarmene, ora. Va bene?
— Va bene. Sono come una foglia dell'anno scorso, attaccata leggermente per il gambo. Il primo alito di vento e cade. La mia voce è divenuta come quella d'una vecchia. Gli occhi non mi mostrano più il cammino e i piedi sono pesanti ed io sono stanco. Va bene.

Curvò la testa tranquillamente, finché gli ultimi scricchiolii della neve si spensero in lontananza, ed egli comprese che il figlio non era più a portata di voce. La sua mano si portò in fretta alla legna. Solo questa si trovava fra lui e l'eternità. Rappresentava la misura della sua vita. Una manciata di fascine. Una dopo l'altra, sarebbero andate ad alimentare il fuoco; e proprio così, passo per passo, la morte si sarebbe avvicinata a lui. Quando l'ultimo pezzo di legna avesse ceduto il suo calore, il gelo avrebbe cominciato ad acquistar forza.

Prima i piedi, poi le mani; e poi l'assideramento si sarebbe insinuato piano piano dalle estremità al corpo. La testa gli sarebbe caduta avanti sulle ginocchia, e allora avrebbe trovato il riposo. Era facile. Tutti devono morire.

Non si lamentava. Era la legge della vita, ed era giusta. Egli era nato vicino alla terra, era vissuto, e la legge perciò non gli era nuova. Era la legge di tutti gli animali. La natura non è buona col singolo. Non si preoccupa dell'essere concreto chiamato individuo. Il suo interesse è riposto nella specie, nella razza. Questa era la più profonda astrazione di cui fosse capace la mente barbara di Koskoosh, ma la comprendeva bene.

Vedeva in tutta la vita l'esempio di quella legge. Il sollevarsi della linfa, lo sbocciare dei bottoni verdi, la caduta delle foglie gialle: bastava questo a dire l'intera storia. Ma un compito la natura assegnava all'individuo. Se egli non l'adempiva, veniva a morte. Se l'adempiva era lo stesso: moriva. La natura non se ne curava; erano tanti gli ubbidienti, e quello che importava era l'ubbidienza.

La tribù di Koskoosh era antichissima. I vecchi che egli aveva conosciuto da ragazzo avevano conosciuto alla loro volta dei vecchi prima di loro. Perciò era vero che la tribù viveva, che esisteva per l’ubbidienza di tutti i suoi membri, su, su fino al passato dimenticato. Ma i singoli non contavano; erano semplici episodî. Erano scomparsi come nuvole in un cielo estivo. Anche lui era un episodio e sarebbe scomparso. La natura non se ne curava.

La vita assegnava un solo compito, dava una sola legge: perpetuare era il compito della vita, la sua legge era la morte. Adempiuto il compito l’individuo, al primo periodo di carestia o alla prima pista difficile, sarebbe stato abbandonato, come avevano abbandonato lui nella neve, con una catasta di legna accanto. Tale era la legge.
… …
Depose accuratamente un ramo sul fuoco e riprese la sua meditazione. Era lo stesso dappertutto, in tutte le cose. Le zanzare sparivano ai primi geli. I piccoli scoiattoli andavano a nascondersi per morire. Quando invecchiava, il coniglio diveniva lento e pesante, e non poteva più vincere i nemici nella corsa. Anche il grande orso diveniva incerto e cieco e irritabile, per essere abbattuto alla fine da un branco di cagnetti ululanti.
… …
Koskoosh mise un altro ramo sul fuoco e tornò al passato. Era stata l'epoca della Grande Fame, quando i vecchi si accoccolavano col ventre vuoto intorno al fuoco, e rammentavano le vaghe leggende dei giorni antichi, allorché lo Yukon scorse libero per tre inverni e poi restò gelato per tre estati di seguito. In quella carestia egli aveva perduta la madre. Il passaggio del salmone era venuto meno nell'estate, e la tribù aveva atteso l'inverno sperando nel caribù. Poi venne l'inverno ma i caribù non apparvero. Non s'era mai veduto nulla di simile, ricordavano i più vecchi.

Ma i caribù non vennero, e giunse il settimo anno, e i conigli non s'erano riprodotti, e i cani non erano altro che mucchi di ossa. E durante le lunghe tenebre i bambini gemevano e morivano, e morivano le donne e i vecchi; e neppure uno su dieci della tribù sopravvisse per vedere il sole, quando esso ritornò nella primavera. Che grande carestia!

Ma egli aveva veduto anche tempi di abbondanza, quando la carne si sciupava e i cani erano grassi e incapaci di lavorare per la supernutrizione: tempi quando lasciavano passare indisturbata la selvaggina e le donne erano feconde e le capanne riboccavano di bambini. Allora fu che gli uomini divennero sdegnosi, e ravvivarono antiche lotte, e attraversarono le montagne a sud per uccidere i Pelly, e ad ovest per sedere accanto ai fuochi spenti del Tanana.
… …
Meditò a lungo sui giorni della sua giovinezza, finché il fuoco si abbassò e il gelo cominciò a morderlo. Lo ravvivò questa volta con due ramoscelli, e fece il conto della vita che gli restava. Se Sit-cum-to-ha avesse solo pensato al nonno, raccogliendo una bracciata più grande, le sue ore sarebbero state più lunghe. Sarebbe stato facile, allora. Ma ella era stata sempre una ragazza incurante e non onorava l'antenato, dall'epoca che il Castoro, figlio del figlio di Zing-ha, aveva gettato per la prima volta gli occhi su lei. Ebbene, che importava? Non aveva egli fatto lo stesso nella sua viva giovinezza? Per qualche tempo ascoltò in silenzio.

Tese l'orecchio. Non un movimento, nulla. Lui solo esisteva in mezzo al vasto silenzio! Ascolta! Che cos'era? Un brivido gli attraversò il corpo. Il lungo urlo familiare ruppe l'incantesimo del silenzio: era vicinissimo.

Un muso freddo gli si appoggiò alla guancia, e a questo contatto l'anima del vecchio tornò al presente con un balzo. La sua mano corse al fuoco e trasse una fascina fiammeggiante. Sopraffatto dalla paura ereditaria dell'uomo, il bruto si ritirò, lanciando un grido prolungato ai fratelli; ed essi gli risposero prontamente, finché un cerchio di forme grigie si formò intorno. Il vecchio ascoltava il serrarsi di questo cerchio. Agitò selvaggiamente il suo ramo, e gli sbuffi si trasformarono in ringhi; ma gli animali ansanti si rifiutarono di disperdersi.

Ora uno strisciava avanti, ora un altro, ora un terzo; ma nessuno si ritirava d'un pollice. Perché aggrapparsi alla vita? si domandò il vecchio, lasciando cadere nella neve il ramo fiammeggiante. Questo sibilò e si spense. Il cerchio grugnì, inquieto, ma restò immobile. Koskoosh rivide l'ultima battaglia del vecchio alce, e lasciò cadere con aria stanca la testa sulle ginocchia. Che importava dopo tutto? Non era la legge della vita?
… …

Il duro impegno per l'acquisizione delle competenze, la passione e le doti personali creano eccellenza ... e distinguono il professionista dal lavoratore ... Victor

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Re:Il segreto della vita
« Risposta #3 il: Settembre 08, 2020, 16:57:20 »
Shh presenza, non dirlo a nessuno.