Monatto: dal dialetto milanese “monatt”, di etimo incerto.
Nei secoli XVI e XVII nei periodi di epidemia pestilenziale i monatti erano gli incaricati dai Comuni del trasporto degli appestati nel lazzaretto o nelle fosse comuni dei morti di peste. Eseguivano anche le sepolture e la distruzione degli oggetti dei defunti che potevano essere latori di contagio. Per la triste mansione venivano scelti condannati a morte, carcerati, o persone guarite dal morbo e così immuni da esso.
Proprio per la loro origine spesso malavitosa, erano inizialmente sorvegliati da commissari e soggetti a regole e norme, ma, con il passare del tempo e il dilagare dell’epidemia, i monatti sfuggirono ad ogni forma di controllo:
“…si fecero, i monatti, principalmente, arbitri d’ogni cosa […] Sono considerati un flagello nel flagello dell’epidemia. Indossano vestiti dai colori accesi, quali il rosso, con pennacchi e fiocchi di vari colori che quelli sciagurati portavano come segno di allegria, in tanto pubblico lutto” (cap. XXXII).
Manzoni descrive i monatti nell’epidemia di peste a Milano nel 1630:
“serventi pubblici ... addetti ai servizî più penosi e pericolosi della pestilenza: levar dalle case, dalle strade, dal lazzeretto, i cadaveri; condurli sui carri alle fosse, e sotterrarli; portare o guidare al lazzeretto gl’infermi, e governarli; bruciare, purgare la roba infetta e sospetta” (Promessi Sposi, cap. XXXII).
Raramente i monatti mostrarono segni di compassione e di rispetto nei confronti dei morti e delle loro famiglie.
Nell’episodio della madre di Cecilia (cap. XXXIV), il monatto pur definito inizialmente turpe, mostra invece un atteggiamento difforme a quello dei suoi compagni descritti in precedenza; la diversità dei modi della donna lo induce a un insolito rispetto e ad una esitazione involontaria, fino alla finale gentilezza nei confronti del corpo morto di Cecilia:
“Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi ossequioso, più per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato, che per l'inaspettata ricompensa, s'affaccendò a far un po' di posto sul carro per la morticina”. Sull’uscio di casa la madre di Cecilia parla con il monatto mentre sorregge tra le braccia il corpo esanime della bambina.
Altra dolorosa incombenza era quella degli “
apparitori”: avevano l’incarico di annunciare il passaggio dei carri dei monatti e dei “commissari” incaricati di vigilare su queste attività. Per il loro annuncio gli apparitori usavano dei campanelli legati alle caviglie o alla cinta dei pantaloni, avvertivano “col suono d’un campanello, i passeggeri che si spostassero” (cap. XXXII).
Nel capitolo XXXVI de “I Promessi Sposi” Renzo alla ricerca di Lucia a Milano, si "traveste" da apparitore per riuscire a introdursi indisturbato nelle corsie femminili del lazzaretto di Milano, indossando al piede un campanello; quando a un certo punto un commissario gli rivolge degli ordini, decide allora di sbarazzarsi del campanello, ritenendo di poter avere più problemi che vantaggi da quel travestimento.
Manzoni dice che gli apparitori e i monatti venivano accusati di ruberie e “che lasciassero cadere apposta dai carri robe infette, per propagare e mantenere la pestilenza” (cap. XXXII).
Nella bassa padana, al di là del fiume Po, nella città di Piacenza, nella grida “Regole et ordini”, i monatti venivano distinti tra “brutti” e “netti”. “…alla porta della casa che si dovrà espurgare, mandandosi dentro di quella solamente li monatti brutti, che entravano per primi nella case infette, facendo la prima purgazione, esponendosi fortemente al contagio”; i monatti netti ripetevano la disinfezione in condizioni igienico-sanitarie meno rischiose per distruggere ed eliminare potenziali microrganismi patogeni.