Ho letto alcune pagine de' "Gli anni rubati" - Le memorie di Settimia Spizzichino...
Leggo ed è tutt'uno sentirmi lei, nuda, avvolta in una coperta, trasportata tremante di paura in un blocco esperimenti...
Tutto apparentemente è bello, diverso dal "campo", quasi un sogno ad occhi aperti...due letti con lenzuola e coperte, un lavandino nella stanza, l'infermiera che non vuole che beva acqua dal rubinetto e mi porta il "latte"... ma c'è un peggio che deve arrivare e che arriva, anche per me... sento sulla mia pelle la pomata spalmata dal medico polacco che fa esperimenti, iniettando batteri... la scabbia, il tifo, dozzine di malattie...
Soffro. Piango. Mi sento dilaniata dal dolore, dalla paura, ma non mi piego, resisto, non chino la testa... in silenzio attuo la mia muta resistenza... non so se ce la farò...di fatto sopravvivo...resisto... fino al giorno in cui riesco a farcela... e poi a raccontare...
Le emozioni scaturite da questa lettura mi spingono a prendere la penna...
Devo scrivere... come spesso mi accade. Ho un bisogno quasi fisico di scrivere, un'impellenza incontenibile...
Non ho idea di quel che scriverò e, come un automa, la mano si muove e la penna incomincia a scrivere...
Ti prendo
ti porto
ti spoglio
ti affamo...
... sto scrivendo da carnefice...
quelle parole messe in fila sul foglio mi sono entrate nell'anima tanto da essere passata, ora, dall'altra parte...come a cercare le ragioni dell'altro...
Scrivo, frettolosamente, quasi come se dovessi portare a termine un compito...
Nessun compito... solo l'urgenza di far fluire le emozioni che, forti, si sono affacciate fra mente e cuore, incrociando all'altezza della gola...
A volte cancello, quando non sento fluidità...
Non sono versi, eppure, quando scrivo qualcosa, devo sentire musicalità...
E’ dura questa musica... ma va avanti, fluida... fino alla fine...
Ti prendo
ti porto
ti spoglio
ti affamo.
Costringo il tuo essere uomo
o donna
o bambino
od anziano
ad essere solo
e null’altro che un numero
involucro privo di essenza.
Ti scavo
privandoti della tua identità
del tuo orgoglio
del tuo essere padre
o madre
o figlio
o nonno.
Diventi un automa
perché ti ho scavato il cervello
ho svuotato il tuo cuore
ho raschiato il tuo corpo.
Cosa!
Tu sei solo una cosa…
anzi no
neanche quella.
Sei un’ombra.
Ti prendo
ti schiaccio
ti umilio
ti scortico vivo
ti piago
rendendoti cavia.
Ti guardo
ti osservo
ti scruto
ti studio
ti porto a pregare
a sperar di morire
o, forse, a far solo finta di voler morire.
Sei furbo
sei forte
anche quando ti credo già vinto.
Hai dentro un potere che io credo di avere
e che, invece, tu hai per davvero.
Tu
creatura che il cielo vuole sopravvissuta
per poter raccontare
la morte della ragione
il trionfo della malvagità.
Ma tu
sai io chi sono?
Quest’io
mille volte crudele
mille volte clonato
in cento angoli della terra
in ogni tempo rinato?!
Strumento del male
capace di meschinità e sevizie
privato della ragione e del cuore?!
Armato di corda e fucile
di gas e batteri?!
Nasco
e rinasco
e rinasco ancora
come uno strumento
lucidamente inconsapevole
polverosamente volitivo
esattamente come te
perché il mondo sappia
che male e bene
esistono
l’uno in funzione dell’altro
esattamente come
il caos reclama ordine
l’irrazionalità richiama la ragione
il buio evidenzia la luce
l’odio esalta l’amore.