Saranno ormai trascorsi dieci anni da quando lessi un autore che poi mi diventò molto caro nel tempo, uno di quelli che per mestiere conosce il mondo, le usanze e soprattutto la gente, infatti faceva l’inviato speciale per un giornale tedesco. E fu allora che mi appassionai al mondo asiatico, un matrimonio perfetto tra la mia indole e la realtà di cui quell’uomo era un testimone.
Si dice che nella vita quando si ha bisogno di una risposta sono le cose a rivelarsi e non noi alle cose, e così anche a me si rivelò utile la lettura dei suoi libri. Se ripenso a quel giornalista inviato una frase mi colpì a proposito della sua storia d’amore con la moglie durata tutta la vita… mai rottamata.
Sì proprio quel termine che si utilizza per le auto quando si portano dallo sfasciacarrozze perché non servono più. Certo non è un bel dire se riferito alle persone, ma rende l’idea. E sì perché di donne e uomini rottamati ne è pieno il mondo, e ogni giorno salgono i contagi. L’altro ieri ho scoperto che ci sono pure fratelli e sorelle rottamati, e di questi pezzi lasciati ovunque alcuni ci riprovano ad aggiustarsi da soli, magari trovano altri rottamati che sperano di ritornare integri, la restante parte (spesso donne) dopo qualche tentativo di riparazione, ritorna a se stessa dedicandosi solo ai figli.
Il giornalista mio amico, eh sì chiamo così tutte le persone con le quali ho un certo feeling, insomma quell’uomo è rimasto fedele alla moglie e lei a lui perché nella loro vita c’erano vuoti e pieni, presenze e assenze. Sposo pienamente anche questa visione di una vita a due, la trovo intelligente, quanto poi a calarla nella realtà di ogni giorno beh non è da tutte le coppie potersi permettere presenze e assenze, quello faceva l’inviato mentre nella maggior parte delle coppie normali si è impiegati. Ecco prendiamo me per esempio, io casalinga e lui impiegato. Chi usciva era lui, chi rimaneva a casa ero io, chiaro no? Eppure non ha funzionato, ma non è questo che voglio dire bensì voglio soffermarmi sulla parolina posta prima del nome che definisce la condizione del rottamato: ex. Fa un certo effetto a scriverla, per alcune donne l’effetto è doppio quando la si pronuncia e credetemi è vero, ancora con le amiche a distanza di anni nessuna si decide ad utilizzarla, eppure nelle sedi istituzionali, di fronte agli avvocati, di fronte alla nuova “moglie” o “compagna” con la parolina si deve fare i conti. Anche perché parliamoci chiaro non è che si può evitare, infatti viene ricordata ogni volta che vai a scuola a parlare con i professori, ai festeggiamenti degli amici e parenti della controparte cui non si può più partecipare, nei discorsi interminabili tra gli avvocati, nel bonifico mensile, al lavoro, quando si sparla dell’altro/a con amici e conoscenti e infine a se stessi. E dunque ho deciso di esorcizzare la paura che incute e i luoghi comuni ad essa connessi e finalmente poter tirare fuori tutto il sommesso, come il Titanic in fondo al mare. Quando la si pronuncia rullo di tamburi, si apre il sipario e sul palcoscenico appare ex. E chi è? Dicasi ex il nemico di un equilibrio ritrovato; chi utilizza tutti i mezzi per rifarsi economicamente, la iena che uccide con le parole e mammamia come ho fatto a viverci accanto! E ancora l’ex è la cattiva per eccellenza, chi pretende per sé tutti gli spazi e non ne lascia fuori nemmeno un pezzettino, solo un vapore e niente sostanza, di scarsa intelligenza e vipera all’occorrenza. Ho dimenticato qualche altro appellativo? Voglio precisare che la parolina ex accomuna uomini e donne indifferentemente, dipende sempre dal punto di vista. Ho esagerato? A volte mi vengono i dubbi, ma poi la vita ad un certo punto mi ha messo in mano uno scontrino e così ho capito a quante spese ammonta il mio conto.
Dopo la separazione nessuno ha le idee chiare, c’è solo un grande astio mescolato al dolore, il risentimento poi la fa da padrone e dei piatti del servizio buono non ne è rimasto integro nemmeno uno. E si va avanti così per un po’ come il gelataio con il suo carretto per le strade di città. Non si riesce più a trovare intelligenza nel proprio cuore e dire che ci si è amati. Ma questa è un’altra storia. E dal momento che urlando a destra e a sinistra si finisce per rimpinguare le tasche dell’otorinolaringoiatra, si cerca la soluzione ricorrendo al famoso mediatore che dopo lauto compenso riesce a mettere d’accordo lasciando a terra morti, feriti, sangue e gambe rotte. Per anni tuttavia si porta rancore anche se si racconta sempre la favola della famiglia allargata che secondo me rimane solo una trappola per le allodole. Ma la storia continua ed ecco che dall’alto della scena scende il Deus ex machina: il nuovo partner. Il divario tra gli ex a questo punto diviene incolmabile, e malgrado i saggi giapponesi suggeriscano il kintsukoroi letteralmente "riparare con l’oro" ( arte di curare le ferite dell’anima quando qualcosa si rompe nella vita) gli ex non sono mai innocui agli occhi delle new entry, lasciando dunque aperta la ferita. Morale della favola? Il nuovo scaccia inevitabilmente il vecchio e comincia prima di tutto a mettere alla porta persona, quadri, cornici, e pure il vasellame, toglie il saluto e si trasforma all’occorrenza in cane corso o angelo del paradiso ripulendo tutto e restituendo il colore rosa alla vita.
Ma la volete sapere la verità? La verità è che lo stare insieme è una combinazione di compromessi e rinunce che solo l’amore (quando c’è) giustifica e accetta. Quando invece tutto si esaurisce riemergono dalla memoria come lava da un vulcano in eruzione, tutte le scelte fatte in nome di chi non si ama più e quindi subentra la rabbia e si comincia la battaglia dei rinfacci come nelle tre giornate di Napoli del 1799. Quanto siamo astiosi e opportunisti noi piccoli esseri umani se solo di fronte all’amore anche le rinunce più estreme sono giustificabili! E quando tutto finisce? Beh lì non riconosciamo più niente e nessuno e vediamo solo la colpevolezza di chi ci ha trascinato nella scelta e mai il nostro contributo volontario. E invece è proprio in questo frangente, quello della fine, che si dovrebbe comprendere quale grande gesto d’amore si sta compiendo congedandosi: cioè la libertà di riconoscersi diversi e dunque non più adatti a camminare insieme verso il percorso della vita. Questo sì che è il regalo dell’amore, il riconoscimento di un’identità.