Considero una violenza psicologica la pubblicità che interrompe i film che guardiamo dalla televisione.
E’ anche violenza entrare in un sito per vedere un video, ascoltare una canzone o leggere una notizia e invece compare un riquadro con una pubblicità. Se il tema ci interessa dobbiamo accettare i cookie, sottostare agli spot pubblicitari, passivamente costretti a guardarli, ma quelle immagini ci fanno perdere tempo, ci stornano da ciò che cerchiamo. Non basta ! Quei cookie ci identificano, ci “schedano”, ci “usano”. E’ il “prezzo” da pagare. Ma è violenza ! E’ sadismo !
E’ violenza commerciale che ci invade, affolla la nostra navigazione in rete. Impone, non chiede gentilmente se può.
Terzo esempio. Telefoniamo a un gestore telefonico o ad un ente pubblico. Numero verde, lunga attesa e poi… anziché parlare con una persona c’è un’altra voce preregistrata che dice: se vuoi questo premi 1, se vuoi quest’altro premi 2, 3, 4, ecc.. Premiamo, per esempio, 2, e di nuovo speriamo di parlare con un operatore “umano”, invece no. Un’altra voce preregistrata ci fa domande a cui di nuovo dobbiamo rispondere premendo numeri. La frustrazione ci sovrasta. Che fare ? Abbandonare il tentativo di voler parlare con un individuo, per chiedere, spiegare, discutere. I problemi non sono sempre descrivibili e catalogabili. Sono spiegabili solo parlando con un interlocutore “umano” per avere soluzioni. Invece parliamo con voci registrate. Anche questa è violenza “dis – umana”.
Pure con le banche ci sono problemi. Riducono il personale e ci invitano a fare da casa le nostre “operazioni” bancarie, l’home banking. Sembra facile, immediato, si risparmia tempo, ma non per tutti è facile, specialmente per gli anziani che non hanno pratica tramite computer.
Ultimo esempio in autostrada, ai caselli. Chi non ha il telepass, già da lontano, dalle icone in alto, vede che non ci sono gli esattori nei “gabbiotti”, non c’è la manina, solo le tre monete del contante che cadono a pioggia nel nulla oppure la riproduzione della scheda per il pagamento con il bancomat. Quei simboli informano il conducente che il pedaggio lo deve pagare affidandosi ad una voce registrata: introdurre il biglietto, introdurre la tessera o i contanti. E alla fine, se tutto va bene, “arrivederci e grazie”. Ed è qui che la maggioranza di noi non resiste e risponde in modo surreale o perverso, oppure con un “prego”, anche se sappiamo che quella voce è “finta”, ma abbiamo bisogno di fingere un contatto umano. I gabbiotti sono deserti come nel day after in cui nessuno è sopravvissuto.
Questo progresso "dispotico", esige questa perdita di libertà. Il problema è che nelle fasi di transizione l'impossibilità della scelta si patisce, è insopportabile. E noi siamo nella fase di passaggio, in una specie di limbo o sala d’attesa.
Le nuove generazioni “digitali” non la percepiscono come violenza ma come cose naturali, perché alcune conquiste tecnologiche ormai sono definitive. Ma saremo totalmente preda dei cookie, saremo schedati, senza preoccupazioni per i dati che rilasceremo e senza più i rettangolini con “non accetto” / “accetto”: sarà implicito che accetteremo tutto.