Autore Topic: Simulazione, dissimulazione  (Letto 758 volte)

Doxa

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Simulazione, dissimulazione
« il: Gennaio 27, 2021, 17:10:10 »
A cura dello scrittore e critico letterario Salvatore Silvano Nigro  è stato ripubblicato recentemente (edizioni Otto/Novecento) il breve trattato titolato “Della dissimulazione onesta” , scritto da Torquato Accetto ed edito nel 1641.


Il titolo di tale saggio mi ha indotto ad approfondire l’etimo dei due verbi, perché il “dis-“negativo non chiarisce concettualmente  il significato.


simulare= essere ciò che non si è;

dissimulare= fingere di non essere ciò che si è.

Sui due sostantivi  (simulazione, dissimulazione) Francesco di Bartolo, detto anche Francesco da Buti (1324 – 1406) eminente politico a Pisa e docente di lingua latina nella locale università, in un suo commento all’Inferno nella Divina Commedia scrisse: “Simulazione è fingere vero quello che non è vero; dissimulazione è negare quello che è vero”.


Torquato Accetto nel suo  trattato così descrive i due non opposti atteggiamenti: "Io tratterei pur della simulazione e spiegherei appieno l'arte del fingere in cose che per necessità par che la ricerchino; ma tanto è di mal nome che stimo maggior necessità il farne di meno, e, benché molti dicono: Qui nescit fingere nescit vivere, anche da molti altri si afferma che sia meglio morire che viver con questa condizione [...] Basterà dunque il discorrer della dissimulazione in modo che sia appresa nel suo sincero significato, non essendo altro il dissimulare che un velo composto di tenebre oneste e di rispetti violenti, da che non si forma il falso, ma si dà qualche riposo al vero, per dimostrarlo a tempo".


Torquato Accetto, chi era costui ? Un filosofo e scrittore nato a Trani  nel 1588 circa  e morto ad Andria nel 1641. 


Nel 1612 si trasferì ad Andria per lavorare come segretario della nobile famiglia Carafa, ramo di Andria.


Nel 1618 era a Napoli, dove  frequentò l’Accademia degli Oziosi.


Per un breve periodo visse anche a Roma nel 1626.


La sua notorietà è dovuta al citato saggio “Della dissimulazione onesta”, nel quale dice che la dissimulazione non è sinonimo di menzogna, ma cautela. Invita l’individuo  al silenzio per vivere la propria esistenza al riparo dai tormenti.


Meditando sul conformismo e sull'ipocrisia della società del suo tempo, il ‘600,  l'autore si interroga su quale possa essere la risposta e la reazione dell'uomo onesto.


Tra i personaggi esemplari da imitare cita il biblico Giobbe, noto per la sua pazienza nel sopportare le avversità.


Accetto dice che il segreto è nel “viver cauto”, nel trovare il difficile equilibrio  tra dire e non dire, tra esternare pericolosamente i propri sentimenti o rifugiarsi in una laconica verità.


Egli differenzia la simulazione moralmente riprovevole, perché malevola, dalla dissimulazione difensiva, per  tutelarsi.


Accetto vuole dimostrare che la dissimulazione prudente, il “non dicibile”   serve per difendersi dall'oppressione dei potenti,   per tutelarsi nel rapporto con gli altri, perché le parole “agiscono anche dove tacciono”.


Il  suo saggio quindi tratta della dialettica contrastante fra realtà e apparenza, mettendo in evidenza che il dissimulare non è dire il falso, bensì una virtù che ci permette di dimostrare meno cose di quello che dovremmo o vorremmo.


Il contrario è il simulare: dire cose in più, allontanandosi dalla realtà. La dissimulazione, comunque, non deve mai essere un'attività lunga e prolungata, soltanto un “breve riposo della mente”, per non allontanarsi  dalla realtà.


Nell’elaborato di Accetto ci sono riferimenti  non espliciti a “Il Principe” (perché messo all’Indice) di Machiavelli.


Elementi in comune con messer Niccolò:  la mansione di segretario, scrive il suo  elaborato dopo aver avuto esperienze di mondo, mira alla concretezza.


Elementi differenti: Machiavelli si rivolge ai principi (argomentando di politica aiutandoli a  decidere per prendere il potere), mentre Accetto, parlando di morale e di come comportarsi, si indirizza al popolo, per aiutarlo a difendersi dai tiranni.


Il trattato, elogiato dai suoi contemporanei,  indica come il cortigiano, in particolare il “secretario” di qualsivoglia potente nei tempi presenti, visti come tempi di oppressione e di difficoltà, possa e debba avere l’abilità  nelle relazioni sociali fra le istanze poste dalla sua coscienza civile e cristiana e la necessità di sottrarsi alla censura e alla repressione imposta dalla legge per i dissidenti. Nel  suo saggio non ci sono allusioni al malgoverno spagnolo nel Regno di Napoli  e alla sua censura sociale, alle  limitazioni della libertà di espressione e l’eccessiva pressione fiscale.


S’intuisce dalle parole di Accetto anche la condizione dell’individuo nel confronto con un Dio che non parla, un Dio clandestino e latente, che promise di rivelarsi alla “fine dei tempi”, nel giorno dell’Apocalisse, quando ogni velo sarà strappato e non sarà necessario nascondere, dissimulare.


Torquato Accetto non compose semplicemente un manuale per “dare riposo al vero”. Andò oltre, trovando la formula per vivere senza soffrire, liberi dai vincoli.
« Ultima modifica: Gennaio 29, 2021, 22:02:44 da Doxa »

sole_ines

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Re:Simulazione, dissimulazione
« Risposta #1 il: Gennaio 27, 2021, 19:50:54 »
Vivere senza soffrire, liberi dai vincoli...
si può vivere senza soffrire? Credo che la sofferenza sia un'eventualità della vita. Se nulla ci fa soffrire probabilmente non abbiamo vissuto o non stiamo vivendo, abbiamo messo un bel pannello di plexiglas tra la vita e noi, siamo refrattari, intoccabili, viviamo come se fossimo spettatori delle emozioni ma mai come protagonisti delle emozioni (che sono quello per cui si vive). Come si fa a vivere senza sentire? Quale scopo più alto c'è del sentirsi vivi?
Anche la questione dei vincoli la capisco poco, ognuno di noi sceglie di avere certi vincoli quindi non riesco a capire il motivo per cui dovremmo odiarli, che senso ha scegliere vincoli di cui poi vogliamo sbarazzarci?

Doxa

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Re:Simulazione, dissimulazione
« Risposta #2 il: Gennaio 27, 2021, 22:21:02 »
Cara Ines condivido la tua riflessione, ma il “sor Torquato” credo che pensasse come non mettere in pericolo la propria vita parlando “troppo”, nel dire quel che conviene  tacere,  oppure millantare per vantarsi.

Ti propongo un altro tema di riflessione per conciliarti il sonno: meritocrazia ed uguaglianza.

Col suo recente libro titolato “The Tyranny of merit” (La tirannia del merito) il filosofo  statunitense Michael J. Sandel contesta  la  centralità della meritocrazia, considerata una dei punti di forza delle società liberal-democratiche.

In Occidente si è solitamente indotti a pensare la meritocrazia come una qualità positiva di un regime politico ed economico. La consideriamo uno dei vantaggi essenziali  della modernità confrontata con le ere precedenti. Dove prima prevaleva il diritto di nascita e la fortuna di nascere in una famiglia di alto rango, ora conterebbero il merito personale e le capacità individuali.

Però, dice Sandel, questo primato del merito non è vero, perché le classi dominanti fanno di tutto per mantenere attraverso le generazioni i loro privilegi. E chi raggiunge i propri obbiettivi pensa di esserseli meritati.

I fortunati e vincenti non si accontentano dei loro privilegi materiali. Pretendono di trovare una giustificazione morale all’origine del loro successo. Giustificazione che consiste nel far dipendere il loro successo  dal proprio  talento naturale e impegno personale. Credono di essere nel “lato giusto della storia”. Secondo un’ottica calvinista e protestante Dio sarebbe dalla parte dei vincenti, dei meritevoli.

Secondo Sandel questa giustificazione del successo in termini di merito crea divisione sociale e livore negli sconfitti.  Ed io sono d’accordo con questo filosofo.

A me suscitava “invidia sociale” la facilità di accesso lavorativo in enti pubblici o grandi aziende parastatali oppure private dei figli di noti personaggi. Venivano e vengono assunti non per talento, non per merito, hanno facili carriere ad alto livello e “rubano” il posto di lavoro a chi ha veramente delle capacità  ma è socialmente emarginato e la sera non frequenta i cosiddetti "salotti buoni" dove s'incontrano politici, imprenditori, top manager, giornalisti che si scambiano favori.

Il talento individuale è casuale, il successo dipende  dal network sociale entro cui si agisce.


« Ultima modifica: Gennaio 29, 2021, 22:04:44 da Doxa »