Autore Topic: Apparire  (Letto 1050 volte)

Doxa

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Apparire
« il: Luglio 28, 2019, 18:25:27 »
Alcuni giorni fa, nella sezione civile del tribunale di Trieste, durante un’udienza per il divorzio, un uomo si è presentato in aula in bermuda e sandali infradito. Il giudice, Arturo Picciotto, lo ha redarguito e lo ha invitato a ripresentarsi in tribunale vestito in modo adeguato all’istituzione.

“L’apparenza è sostanza" –ha commentato il magistrato- è un modo per rispettare il valore dell’istituzione e l’importanza della funzione del giudice “in nome del popolo italiano”.

Cesare Placanica, presidente della Camera penale di Roma, pretende “che gli imputati e gli avvocati siano vestiti in modo sobrio, che non vuol dire elegante”.
Secondo Placanica più che il dress code (letteralmente “codice di abbigliamento” adatto al contesto), che deve essere decoroso, in tribunale è la toga ad avere un alto valore simbolico: “l’avvocato ha l’obbligo della toga perché fa capire che è nell’esercizio della sua funzione a favore del cliente che assiste”.

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Re:Apparire
« Risposta #1 il: Luglio 28, 2019, 20:38:10 »
“Tutti ti valutano per quello che  appari. Pochi comprendono quel che tu sei.” (Niccolò Machiavelli)

Il noto proverbio  “L’abito non fa il monaco”  riafferma il criterio che la forma è sostanza.

Gli altri ci percepiscono, ci considerano e ci giudicano da come ci muoviamo, parliamo,  ci vestiamo, ecc.  Le apparenze sono il fondamento di quel che sappiamo delle persone che non conosciamo. 

Le apparenze sono il medium della comunicazione e la sostanza.

L’apparenza è come un  velo che maschera la sostanza del reale nella “società dello spettacolo”,  in cui la manipolazione e la menzogna oscurano la realtà autentica dei soggetti.

Le apparenze contano, perché tutti comunichiamo tramite apparenze, esprimendo e rappresentando ciò che siamo nello spazio pubblico.
Tra sconosciuti le apparenze sono il fondamento di quel che sappiamo degli altri e di ciò che gli altri sanno di noi. Un velo che maschera la sostanza del reale, oscura la realtà autentica dei soggetti.

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Re:Apparire
« Risposta #2 il: Luglio 28, 2019, 20:40:35 »
Il sostantivo “apparenza” allude a ciò che appare, che si mostra alla vista: l’aspetto fisico, il  comportamento esteriore, ecc..
L’apparenza si contrappone alla “sostanza” (dal latino substantia = ciò che sta sotto), a ciò che è in realtà, che spesso non si vede.

Un proverbio afferma che “l’apparenza inganna”.

Nell'epoca contemporanea l'apparire ha una valenza maggiore dell'essere. Per esempio  la moda dei tatuaggi, che imperversa da diversi anni nelle ultime generazioni, ne è un esempio eclatante.

Essere è l'identità della persona
, la sua unicità, la sua intima natura, ciò che  è; apparire, invece,  è mostrarsi, sembrare.
Vivendo di relazioni sociali  anche l'apparire diventa una manifestazione necessaria. Viviamo in una società in cui conta più l'apparire rispetto all'essere.

La nostra è una società che fa riferimento ad immagini-idolo, una cultura fatta di modelli ed icone generati dalla pubblicità, dallo spettacolo, dalla televisione.

Apparire significa mostrarsi agli altri e, dunque, essere accettati, ammessi, legittimati al bisogno d'amore, di amicizia.  Inseriti in un determinato contesto, ci assegniamo una "maschera", obbligandoci a muoverci secondo schemi ben definiti che accettiamo per convenienza senza avere mai il coraggio di rifiutarli, anche quando contrastano con la nostra natura.

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Re:Apparire
« Risposta #3 il: Luglio 28, 2019, 20:45:21 »
Il detto popolare “La classe non è acqua” vuol significare che la “classe” di una persona, intesa come modo di comportarsi e di rapportarsi con le persone, è una caratteristica non comune come l’acqua.mAvere una dote particolare, un stile signorile, non è irrilevante.

In questo detto popolare è interessante il sostantivo “classe”. Nella conversazione lo usiamo non pensando ad una categoria sociale marxiana, ma ad una donna o un uomo che ha personalità, elevata cultura, tenore di vita adeguato, che veste in modo elegante ma sobrio, che è gentile, rispettoso verso gli altri, generoso.

Ha forse ragione Totò con la sua battuta: “Signori si nasce, ed io lo nacqui” ?

Egli era convinto che la “classe” non s’impara, ma è congenita. Io non sono d’accordo perché so di persone che con la forza di volontà e con l’attenzione hanno imparato ad essere di “classe”.

A prescindere dal bon ton, il sostantivo  “classe” allude all’insieme delle persone della stessa condizione socio-economica e che hanno valori interessi comuni da tutelare, come la “classe borghese”, la “classe operaia”, ecc..

La suddivisione della società in classi è molto antica ed era già in atto presso i greci e i romani.

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Re:Apparire
« Risposta #4 il: Luglio 28, 2019, 20:52:02 »
Nel secondo post ho scritto che per “classe” s’intende anche il modo di comportarsi e di vestirsi di una persona.

In questi giorni di caldo afoso vedo in giro per Roma molte persone che vestono in modo confacente ad una strada adiacente la spiaggia e non per la città.

Ma la moda attualmente impone pantaloncini corti (spesso talmente corti da far vedere metà gluteo) ed elevata autostima da parte di chi mostra gambe e cosce anche con cellulite.

Si, va bene, bisogna amarsi e piacersi, e non essere schiavi del giudizio altrui. Però bisogna avere anche avere il cosiddetto “buon gusto”. 

Ragazze e donne “mature” indossano solo calzoncini cortissimi e fasce reggiseno, a prescindere dalla loro “bellezza corporea”: se una ha un corpo "abbondante" non se ne può andare in giro con  mini short e micro magliette, sarebbe oltre  che fuori luogo anche ridicola, la stessa cosa vale per l'uomo. Ognuno di noi è libero di vestirsi come gli pare ma deve fare i conti con il suo fisico e con il contesto.

Nel passato era inammissibile un abbigliamento del genere nei centri urbani. Si rischiavano multe.

Sto invecchiando, anzi, sono vecchio, e a volte mi è difficile giudicare persone e fatti “sine ira et studio” (= senza ira né pregiudizio), con distacco, con lucidità e perspicacia.

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Re:Apparire
« Risposta #5 il: Agosto 11, 2019, 14:51:59 »
Cosa c’è oltre l’apparenza ? Lo sfiguramento ? La trasfigurazione ?

Trasfigurazione è una parola di origine latina, composta da “trans-“ + “figuratio”. Il prefisso “trans”  indica un passaggio, un andare oltre la figura o l’aspetto, che può essere ingannevole. Andare oltre per dischiuderci ad orizzonti imprevisti. La realtà resta la stessa ma è posta sotto una luce diversa. Il passaggio di luce è una soglia sfuggente tra visibile e invisibile.

La discontinuità costituita dall’esperienza trasfigurante è inafferrabile. Se fosse trasformazione, metamorfosi,  sarebbe arduo riconoscere la stessa persona con diverso aspetto, così da poter dire: “E’ ancora lui / lei”.

L’ambito di riferimento della trasfigurazione non è solo quello dell’esperienza religiosa né solo quello dell’arte.

Di solito la trasfigurazione evoca il monte Tabor, individuato dalla tradizione, ma nessuno degli evangelisti cita il nome del monte, né fornisce indicazioni per poterlo individuare. Esso è un monte “teologico”, nell’antichità creduto come il luogo dell’abitazione della divinità. Salire sul monte significa entrare in una dimensione divina. Infatti Gesù vi sale “per pregare”, quasi a dire che la preghiera eleva e fa entrare nella dimensione divina.

“Mentre pregava, il volto di Gesù cambio d’aspetto e la sua veste divenne di un candore sfolgorante” (Luca 9, 29). Questo luminoso attimo di bellezza ispira i dipinti dedicati alla “Trasfigurazione”.


Raffaello Sanzio: “Trasfigurazione”,  1518 – 1520, Pinacoteca Vaticana

Ma dal punto di vista teologico che aspetto aveva Gesù di Nazaret ? Se il corpo che Cristo ha assunto è vero, e non apparente, allora sapere qualcosa del suo aspetto corporeo diventa significativo: vuol dire prendere sul serio l'incarnazione. Secondo un assioma filosofico antico Dio non può nascere e non può patire, la divinità è “impassibile”:  attributo di Gesù Cristo nella concezione docetistica per la quale l’umanità di Gesù è solo apparenza.

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Re:Apparire
« Risposta #6 il: Agosto 19, 2019, 09:16:53 »
Meglio apparire o essere ?

Viviamo in una società dove le apparenze hanno più importanza dell'essere delle persone. E le  relazioni interpersonali si svolgono anche tra finzione, apparenza e autenticità.

Nell’apparire e nell’essere l’individuo è l’artefice della sua rappresentazione pubblica.

Apparire significa parere agli altri, percepiti.
 
C'è un film di Woody Allen che racconta questa dinamica interiore, caratterizzandola con la storia di un uomo camaleonte: Zelig. L'irresistibile voglia di farsi amare ed accettare, porta Zelig ad assumere le sembianze dell'interlocutore. C'è in tutti noi uno Zelig: è quella parte che accetta i condizionamenti per farsi accettare e ci aiuta a confermare la nostra esistenza. Zelig, ci rivela il proprio annullamento, un rifiuto all'individualità.

Lo scrittore Luigi Pirandello sosteneva che le persone nella loro vita indossano delle maschere, per conformarsi meglio alle regole e ai luoghi comuni della società, tuttavia, queste maschere prendono il sopravvento e annullano la personalità di ogni individuo.

William Shakespeare nella sua commedia  titolata “As you like it” (conosciuta in Italia col titolo “Come vi piace), nell’atto II, scena VII, fa dire al personaggio Jacques: “Tutto il mondo è un palcoscenico, donne e uomini sono solo attori che entrano ed escono dalla scena. Ognuno nella sua vita interpreta molti ruoli e gli atti sono le sette età della vita”.

Comunque è vero che  l’apparire  è importante nei primi momenti relazionali in quanto la propria immagine è la prima cosa da mostrare nell’approccio interpersonale.  Apparire è sembrare, invece essere è l’identità della persona, la sua intima natura, ciò che  è. Attraverso l’essere esprime la sua unicità ma vivendo in società l’apparire diventa una manifestazione necessaria. Ciò  induce a privilegiare l’apparire sull’essere. 

L’individuo come essere sociale ha bisogno di essere accettato, stimato, amato. Ma il suo potere è nell’essere e non nell’apparire.