Anche se questa sezione è riservata agli aforismi, trasgredisco per dare maggior gloria al forum Zam con l'approfondimento del concetto di creatività.
Cos’è la creatività ?
Dal punto di vista grammaticale la creatività è soltanto un sostantivo che deriva dall’aggettivo “creativo”, e questo dal verbo “creare”.
Il pensiero creativo può essere una caratteristica insita nella personalità di alcuni, ma può anche maturare in base al contesto o alla situazione.
La creatività ha le caratteristiche dell’originalità,del l’innovazione. Nel settore pubblicitario il creativo è l’individuo che elabora testi ed immagini per far conoscere un prodotto.
Nell’ambito dell’arte la creatività è l’ingrediente indispensabile. Ma il concetto di creatività dell’artista è relativamente recente. Infatti nell’antica cultura greca la virtù della creatività veniva riconosciuta ad un filosofo o ad un poeta ma non ad un pittore o ad uno scultore, considerati solo esecutori dell’opera, seppur concepita dalla loro mente.
I Greci avevano due termini per indicare la creatività: il fare (poiein) e il costruire (demiurghein). I poeti facevano (poiein) in modo spontaneo e senza regole. Gli architetti costruivano (demiurghein) in base a un progetto e a precise regole esecutive, mentre i pittori e gli scultori erano considerati solo abili artigiani.
Nella cultura di epoca romana il latino “ars” ed il greco “téchne” indicavano la capacità manuale. L’arte era considerata lavoro se riferita all’oggetto, e l’attività artistica un’occupazione servile, perciò hanno tramandato il nome di pochissimi artisti.
Il poeta e filosofo romano Tito Lucrezio Caro (94 a. C. – 50 a. C. o 55 a. C.) sosteneva che la creatività fantastica non era un dono degli dei, né un raro talento magico, ma il prodotto della combinazione di cose già conosciute. Ad esempio la sirena è una combinazione di pesce e di donna; il centauro è una combinazione di cavallo e di uomo (“De rerum natura”).
Nel Medioevo, salvo alcune eccezioni, non conosciamo i nomi di coloro che hanno miniato i codici giunti fino a noi, di chi ha costruito le cattedrali romaniche d’Europa, degli scultori che ne hanno decorato i portali, le guglie, i pinnacoli. Essi erano parte di équipe, inseriti in una logica di lavoro collettivo che non distingue il lapicida, il carpentiere, il muratore dall’architetto o dallo scultore.
Dal XII secolo l'anonimia scompare progressivamente, soprattutto nel Duecento e nel Trecento, la situazione muta, non solo in Italia. Firme, iscrizioni, fonti ci hanno lasciato i nomi di autori di opere d’arte, come Lanfranco e Wiligelmo, architetto e scultore del Duomo di Modena, gli scultori Nicola e Giovanni Pisano o Arnolfo di Cambio; famosi pittori come Cimabue, Duccio di Buoninsegna, Simone Martini, Giotto, Pietro e Ambrogio Lorenzetti. Giovanni Pisano nel 1301 firmò il pergamo (pulpito) del duomo di Pistoia celebrando se stesso come “colui che non intraprese cose vane, figlio di Nicola ma felice per una migliore sapienza, che Pisa generò dotto più di ogni cosa mai veduta”.
Dati come questi farebbero pensare a una trasformazione radicale della concezione e della considerazione sociale dell’artista. Fu invece solo di un primo, piccolo passo, che non implicava il riconoscimento del valore creativo del lavoro di pittori e scultori. Essi erano considerati semplici artigiani, come tali dovevano essere iscritti alle corporazioni locali e seguirne le regole nello svolgimento della propria attività.
Nel ‘200 la parola “artista” era collegata al professionista dedito alle “Arti liberali” che comprendevano le produzioni ottenute tramite il lavoro intellettuale e senza il ricorso a tecniche manuali.
L’artista/artigiano era considerato di rango inferiore rispetto a chi praticava le Arti Liberali (generalmente chierici e tutti coloro che accedevano agli studi universitari) i quali sfruttavano la comunicazione scritta, più elitaria, destinata ai pochi in grado di leggere e scrivere.
Solo nella seconda metà del Trecento la celebrazione di Giotto da parte di di poeti e scrittori aprì la strada all’elevazione delle arti figurative al rango di arti liberali e il termine “artista” cominciò ad essere utilizzato con l’odierna concezione del termine. Poeti, scrittori, pittori e musicisti venivano considerati artisti.
Anche se venivano resi noti alcuni nomi di artisti (tramite la firma sull’opera, spesso accompagnata da una breve frase in latino), figure di spicco erano i committenti; quasi sempre nobili, vescovi o ricchi mercanti.
Nel Rinascimento la creatività dell’artista cominciò ad avere elogi, consensi, seppure fra molte resistenze.
Bisogna arrivare all’Ottocento prima che la creatività sia riconosciuta merito esclusivo dell’artista e del poeta.
Si formarono allora nuove espressioni, prima superflue, come l’aggettivo “creativo” e il sostantivo “creatività”, usati esclusivamente in riferimento agli artisti e alla loro opera.