Autore Topic: Patronatus  (Letto 1122 volte)

Doxa

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Patronatus
« il: Dicembre 29, 2018, 11:49:15 »
Dal patronus di epoca romana ai santi patroni.

In epoca romana il “patronus” (da “pater” = padre) era il protettore, di solito un patrizio o un ricco cittadino autorevole che patrocinava, “proteggeva” una persona nell’ambito dei rapporti fra i diversi gradi della gerarchia sociale, rapporti di “patronato”. Nel diritto romano il patronato era un istituto giuridico che legava il patrono al liberto o al “cliens” (= cliente).

Il vocabolo “patronato” deriva dal latino “patronatum” ed è collegato al  “patrocinium”, il quale  indicava la protezione che il patrono concedeva ai suoi clientes ("clienti").

Il cliente era quel cittadino che, per la sua posizione sociale doveva adempiere a degli obblighi nei confronti di un "patronus"; questo, a sua volta, era "obbligato" nei confronti del cliente. La relazione si chiamava "relazione di patronato",  talvolta al limite della sudditanza (applicatio) fisica o psicologica.

L’istituto giuridico  della “clientela” (ius patronatus) era collegato al concetto di obsequio, deferenza, rispetto dovuto al patrono.

Gli antichi romani, dal liberto  al patrizio erano moralmente vincolati all’obsequium: il liberto nei confronti di chi lo aveva liberato (il patronus) e da cui continuava a dipendere, il parassita o il postulante nei confronti del signore che (in quanto patronus) aveva l'obbligo di accogliere e aiutarli in caso di necessità: con somme in denaro o altro.



Il rito della "salutatio matutina": il pater familias riceveva l’occasionale cliens, che gli dava il buongiorno e faceva le sue richieste, anche di cibo, che gli veniva messo in un cestino, la  “sporta”, da cui il diminutivo  sportula.

Ai tempi Traiano (regnò dal 98 al 117 d. C.)  quest'uso era tanto diffuso che si era stabilita per ogni famiglia signorile una tariffa, la "sportularia", corrispondente a sei sesterzi per persona.


segue...
« Ultima modifica: Dicembre 29, 2018, 11:51:25 da dottorstranamore »

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Re:Patronatus
« Risposta #1 il: Dicembre 29, 2018, 18:19:30 »
La “sportula” è proseguita con altre caratteristiche nel Medioevo e fino al XVIII secolo (per esempio, con il bando emanato dal papa Benedetto XIV  riguardante l’uso dello sportulario nello Stato pontificio): era il compenso che si pagava al giudice, agli ufficiali giudiziari e ad altri pubblici impiegati per l'emanazione delle sentenze e per altre prestazioni amministrative.

Il registro sul quale il giudice o il pubblico ufficiale registravano i compensi lecitamente ricevuti dalle parti era denominato “sportulario”, derivato da “sportula”.


notaio medievale

Governatori, podestà e giudici erano obbligati a compilare lo “sportulario” per registrare l’incasso degli emolumenti, indicando giorno, mese ed anno.

Per integrare il limitato stipendio dei “pubblici ufficiali”, lo Stato concedeva loro una percentuale in denaro (sportule) su quanto incassavano dalla loro attività. Nel caso del giudice la sua sportula dipendeva dal valore della controversia. Ciò poteva motivarlo a velocizzare il giudizio, ma a volte le sue decisioni suscitavano  dubbi sul suo attivismo: egli poteva favorire la parte destinata (o disponibile) ad un maggior versamento in denaro.



In ogni città o piccolo Stato erano numerose le differenze nella giurisdizione e nei tributi, dipendenti da privilegi di ceto (ad esempio fra nobili e borghesi, fra ecclesiastici e laici, fra corporazioni mercantili), di gruppi sociali (come fra sudditi cittadini e contadini).

Nelle giurisdizioni che appartenevano alla contessa Matilde di Canossa i giudici pretendevano come sportula la “media lis”, cioè la metà dell'importo della lite, il che sembra esagerato.

Negli statuti comunali di solito vigevano due sistemi di esazione:

quello della percentuale sulla lite: si diceva iudicatura o dirictura; in alcuni statuti era il 10, in altri il 12 e persino il 15%;
l'altro sistema era quello delle tasse fisse; per esempio a Genova gli statuti del 1143 consentivano ai giudici una sportula di non più di 3 solidi per lite.

Infine altri statuti rimettono il fissare la sportula al prudente arbitrio del giudice stesso. I poveri erano esenti da tasse e sportule.
« Ultima modifica: Dicembre 29, 2018, 18:46:57 da dottorstranamore »

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Re:Patronatus
« Risposta #2 il: Dicembre 29, 2018, 19:09:47 »
Per la religione cristiana cattolica il “patrono” o la patrona sono santi, perciò si dice “il santo patrono”,  la santa patrona”, ai quali la Chiesa affida la protezione dei devoti.

Ci sono patroni per tutte le esigenze: protettori di città o paesi, di professioni, di arti o mestieri, guaritori o guaritrici di malattie.

I fedeli si rivolgono al proprio santo patrono tramite preghiere od offerte votive al fine di ottenere l'intercessione del santo per quanto si chiede.

Sono famose le suppliche dei cattolici napoletani al loro patrono san Gennaro per l'ottenimento di guarigioni e persino dei numeri vincenti al gioco del lotto, o quelle rivolte ai santi ausiliatori per ottenere la guarigione da determinate malattie.






L'Ortodossia orientale ammette il culto dei santi, ma generalmente non associa i santi ad occupazioni o attività.

La maggioranza delle chiese protestanti non ammette il culto dei santi, poiché la venerazione di un santo e la richiesta di una particolare "grazia" tramite la sua intercessione contrasta con il principio che soltanto Gesù Cristo è il mediatore tra Dio e gli uomini. Anche se si invoca l'intercessione di un singolo santo, è sempre Gesù Cristo Dio a mediare perché Dio Padre conceda la Grazia.

Anche altre religioni hanno delle divinità tutelari che svolgono una funzione in qualche modo simile a quella dei santi patroni.

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Re:Patronatus
« Risposta #3 il: Dicembre 29, 2018, 21:28:34 »
Lo scrittore francese Jean-Michel Sallmann circa dieci anni fa pubblicò un interessante libro titolato “Lo studio della santità a Napoli nell’età barocca, tra il 1540 e il 1750”. Questo testo consente di comprendere una dimensione della cultura napoletana e meridionale.

Sallmann sostiene che “la  maggiore particolarità di Napoli” è “l’impronta lasciata sulla sua cultura dalla Riforma Cattolica, o Controriforma, disposta nel Concilio di Trento (1545 – 1563) a seguito della Riforma protestante.

Quando la Chiesa cattolica venne contestata dalla Riforma luterana e calvinista si riorganizzò per ritrovare la propria identità, ed il culto dei santi fu un ideale strumento, specie nel Sud Italia. Qui, in circa due secoli vennero portati agli altari 105 nuovi santi, inoltre,  una miriade di beati, venerabili e servi di Dio “premevano”, tramite le congregazioni o “gruppi di potere” per avere il riconoscimento canonico, comunque riuscivano ad avere il culto popolare, che però col tempo cadeva nell’oblio, come quello per “Madre Flora del Volto Santo” a Napoli; quello di Bonito ad Avellino; e quello ad un corpo mummificato rinvenuto sotto il pavimento di una chiesa,  al quale venne dato un nome, Vincenzo Camuso, ed attribuito un culto. 

Una società insicura per vicende sociali e politiche o catastrofi naturali, chiedeva santità e prodigi per sentirsi rassicurata. Sul versante della malattia l’invocazione del santo o dei santi diventava e diventa una risorsa considerata da molti più efficace della medicina.

Gli Ordini religiosi si contendevano la supremazia a colpi di santi riconosciuti ufficialmente o elevati agli altari dalla devozione popolare sapientemente guidata dal clero.

C’erano nobili  che volevano la legittimazione tramite  la competizione sui santi appartenenti alla famiglia.

I Carafa, la famiglia più “potente” nel Regno di Napoli, vantavano un santo per ogni generazione.

Al mercato della “santità” il “popolo” era poco rappresentato: solo due contadini e sette artigiani vennero proclamati santi.

Per limitare l’effervescenza di santità locali incontrollate, nel XVII secolo alcuni provvedimenti pontifici ricondussero in gran parte al Vaticano  il controllo della proclamazione di nuovi santi, almeno di quelli di culto universale. 
Con la Costituzione “Immensa Aeterni Dei”  del 22 genaio 1588, Sisto V creò la Sacra Congregazione dei Riti e le affidò il compito di regolare sia  l'esercizio del culto divino  sia di trattare le “cause dei santi”.

Per impedire che i gruppi di potere locali anticipassero il giudizio vaticano  sugli aspiranti alla canonizzazione, mobilitando i popolani devoti, la Congregazione delle cause dei santi” minacciò la decadenza dalla possibilità della proclamazione alla santità, e considerò inammissibile  il  culto pubblico verso un  possibile  “servo di Dio” non ancora canonizzato.

Per quanto riguarda l’effervescenza popolare della santità, il più efficace strumento di controllo era l’Inquisizione, che  sapeva come stroncare le pretese dell'incolta e superstiziosa “plebe”.

Del culto dei santi nell’epoca barocca cosa è scomparso e cosa si è conservato ?  Persiste ma in modo attenuato il simbolismo attribuito al corpo del santo, con il coinvolgimento di reliquie, frammenti di abiti, parti di scheletro, ecc., che riflettevano e riflettono  il reale e l’immaginario.

Nel nostro tempo non c’è più la partecipazione compatta di tutte le classi sociali al culto verso un santo, né la diffusa credenza dell’efficacia simbolica del santo sulla malattia, comunque non è scomparso il bisogno di miracolo.

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Re:Patronatus
« Risposta #4 il: Dicembre 29, 2018, 21:55:02 »
Nel post precedente ho citato la Costituzione “Immensa Aeterni Dei” del 22 genaio 1588, con la quale il pontefice Sisto V creò la “Sacra Congregazione dei Riti” e le affidò il compito di regolare sia l'esercizio del culto divino sia di trattare le cause dei santi.

A questa c’è da aggiungere il “Decretum super electione sanctorum in patronos” di papa Urbano VIII, emanato il 23 marzo 1630, per evitare che la scelta dei santi patroni dei luoghi venisse attuata indistintamente dalla Chiesa e dalle istituzioni civili, talvolta eleggendo al patronato anche i “santi” non canonizzati.

Con questo decreto il pontefice pose fine agli arbitrii fino ad allora perpetrati ed impose regole per l'elezione dei santi tutori, rendendo obbligatoria l'approvazione pontificia e imponendo un iter che prevedeva il voto ufficiale dell'ordinario diocesano, del clero secolare, di quello regolare e della popolazione del luogo interessato dal patrocinio, per poi inviare i documenti alla Congregazione dei riti per il loro esame.

Dalla promulgazione del citato decreto di papa Urbano VIII la Chiesa non riconobbe i patroni istituiti senza il rispetto della procedura, mentre i patronati pre-esistenti, eccetto quelli relativi a santi non ufficialmente riconosciuti dalla Chiesa, furono generalmente mantenuti.

In funzione dei calendari liturgici locali venne introdotto la distinzione tra patroni principali (patronus principalis o praecipuus) - da celebrarsi con rito doppio di prima classe, ottava e precetto - e patroni secondari (patronus minus principalis o secundarius) - da celebrarsi con rito di seconda classe -, invitando a istituire, dove possibile, solo un patrono principale per luogo, proprio per non complicare la rubrica diocesana con troppe celebrazioni solenni.

Per non scontentare la cosiddetta elementare “pietas popolare”, nel caso di più patroni, essi furono indicati come aeque principales (ugualmente principali) o, più raramente, compatroni principales (patroni principali insieme con altri).
Il decreto del 1630 è rimasto in vigore fino alla comparsa delle “Normae de patronis constituendis” promulgate il 19 marzo 1973 da papa Paolo VI, che hanno semplificato la procedura di elezione conservando, tuttavia, lo spirito del documento seicentesco.

Le nuove norme stabiliscono la riduzione del numero dei santi patroni, anche per snellire i calendari liturgici delle Chiese particolari (laddove possibile “ci sia un solo patrono”; “I patroni, sia principali sia secondari, costituiti in passato per particolari circostanze storiche, come pure i patroni scelti per situazioni straordinarie, per esempio la peste, la guerra o altra calamità, oppure a motivo di un culto speciale attualmente in disuso, d'ora in poi non devono più essere onorati come patroni”) ma soprattutto confermano che la scelta del patrono spetta a coloro che godono della sua protezione, e quindi non solo al vescovo e al clero ma anche e soprattutto al popolo che è esplicitamente chiamato a esprimersi mediante pubbliche consultazioni.

Per la Chiesa cattolica i termini patrono, compatrono e protettore (nonché difensore o tutore) sono sinonimi, ma il primo sostantivo è quello usato istituzionalmente e più diffuso.

Compatrono (dal latino compatronus, 'patrono insieme con altri') significa che condivide il patrocinio con uno o più patroni. È dunque sbagliato considerare i compatroni “se aeque principales” (egualmente principali) come i patroni secondari (minus principales), anche se generalmente il termine è utilizzato come sinonimo di patrono minore o secondario.

Diverso è il caso, non riconosciuto ufficialmente dall'autorità ecclesiastica, del santo patrono dichiarato difensore della patria (defensor patriae), titolo solitamente attribuito "a furor di popolo" ai protettori di un luogo (città o paese) in conseguenza di un intervento miracoloso in difesa dello stesso.
« Ultima modifica: Dicembre 29, 2018, 21:56:53 da dottorstranamore »

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Re:Patronatus
« Risposta #5 il: Dicembre 30, 2018, 16:05:33 »
Nei secoli dell’alto Medioevo bastava che un vescovo disponesse la traslazione dalla nuda terra all’altare delle spoglie di una persona morta “in odore di santità”, per legittimare il culto di un nuovo santo.

Una prima forma di processo di canonizzazione venne fissata in epoca carolingia: requisiti fondamentali erano il miracolo o il martirio, la biografia del defunto.

Papa Urbano II, che pontificò dal 1088 al 1099, cominciò un processo di accentramento della questione della santità inserendo altri requisiti per la canonizzazione come le prove testimoniali.

Alessandro III, pontefice dal 1159 al 1181, rivendicò a sé il potere di riconoscere una persona come santo al fine di mantenere un'uniformità di culto in tutta la Cristianità, inserendo definitivamente i processi di canonizzazione nelle “causae maiores Ecclesiae”. Tale norma fu poi confermata da Gregorio IX nel 1234, ed inserita successivamente nel Corpus Iuris Canonici.

Nel XIII e XIV secolo ci fu un’ondata di entusiasmo religioso. Quando moriva una persona “in odore di santità” la sua tomba diventava meta di pellegrinaggio e fonte di lauti guadagni per la Chiesa, gli albergatori ed  i commercianti locali. Così fu quando morì la mistica agostiniana Rita da Cascia, nata nel 1381 e morta nel 1447 / 1457 circa. E’ una delle sante più popolari. Il santuario a lei dedicato a Cascia, in Umbria,  ancora oggi è meta ogni anno di migliaia di pellegrini.

Prima di indossare l’abito monacale Rita era sposata con un uomo violento, del quale sopportò con pazienza i suoi maltrattamenti,  e la leggenda narra che ella riuscì a convertirlo alla mansuetudine e alla fede cristiana.
 
Questa donna fu “usata” dalla Chiesa cattolica in funzione pedagogica, come esempio  da seguire per le donne: Rita, moglie e madre esemplare; Rita, monaca mistica con le stimmate; sempre obbediente al marito; sempre reclusa in casa o nel monastero; priva di qualsiasi potere.

Durante la Controriforma cattolica Rita da Cascia, non ancora santa, fu indicata come modello di sottomissione ed esempio da seguire alle suore nei conventi e nei monasteri.

Rita fu beatificata da Urbano VII nel 1627, canonizzata da Leone XIII il 20 maggio 1900, nell’anno 2000 è entrata far parte del calendario universale dei santi della Chiesa cattolica.

Anche nel nostro tempo per la dichiarazione ufficiale della santità di una persona defunta  è necessario il “processo di canonizzazione” (o processo canonico, che di solito dura molti anni) per dichiarare una determinata persona accolta  in Paradiso e meritevole di venerazione come santo nella Chiesa universale. Fra i requisiti per ottenere la santità sono previsti i miracoli,
attribuiti all'intercessione della persona oggetto del processo canonico.  La decisione finale sulla canonizzazione è in ogni caso riservata al Papa.

Il defunto pontefice Giovanni Paolo II prima di essere canonizzato come santo fu considerato “beato”, come tale poteva essere venerato solo nella Diocesi di Roma, in quanto ne era stato il vescovo, e nelle diocesi polacche, perché nato in Polonia, oltre che vescovo e cardinale di Cracovia.

Più seriamente le Chiese protestanti rifiutano il concetto di canonizzazione: esse credono che il destino ultimo delle persone è conosciuto soltanto da Dio, e la parola santo viene utilizzata in riferimento non ad una persona che si troverebbe già in Paradiso, bensì al credente che "soltanto per grazia" ha ricevuto il dono della fede e della salvezza.

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Re:Patronatus
« Risposta #6 il: Dicembre 30, 2018, 17:08:39 »
In Europa ci sono tante piazze su cui prospettano le chiese dedicate al locale santo patrono,“successore” del “patronus civitatis” (“difensore civico”), come tale fu considerato, per esempio,  il teologo francescano “Antonio di Padova”, ma nato a Lisbona, in Portogallo, il 15 agosto 1195 e morto a Padova il 13 giugno 1231.
Sant’Antonio di Padova è noto in Portogallo come “Antonio da Lisbona”  (in portoghese António de Lisboa, al secolo Fernando Martins de Bulhões) proclamato santo da papa Gregorio IX nel 1232 e dichiarato dottore della Chiesa nel 1946.

La devozione ossessiva dei credenti verso le tombe dei santi e  il culto delle reliquie sono fenomeni che gli studiosi attribuiscono alla cultura religiosa primitiva, superstiziosa. Quei credenti (in chissà quale eresia) considerano il santo patrono (o la Madonna)  intermediario tra loro e Dio. Hanno bisogno dell'intercessore, della "raccomandazione". Forse considerano audace rivolgersi direttamente a Dio o a Gesù=Dio.

Per la Chiesa cattolica il riconoscimento di un nuovo santo è motivo di gioia, in quanto considerato dono di Dio alla comunità.
 
Nel Medioevo numerosi re e regine furono proclamati santi (anche se santi non erano)  ed elencati nei calendari (ennesima dimostrazione del connubio tra trono ed altare, anche nei lasciti di beni alla Chiesa o alla diocesi), invece nel XX secolo (ma anche in questi ultimi anni)  la “santità”  è diventata  corsia preferenziale a favore dei papi.

In Vaticano quando parlano del papa lo chiamano “Sua Santità”. Ben detto !  Perché ormai essere eletti  pontefici  è come entrare in una corsia preferenziale che porta dritto agli onori degli altari.

A voler essere irriverenti, si potrebbe dedurne che negli ultimi decenni i papi sono migliorati rispetto ai loro predecessori. Evidentemente le cose non stanno così. Bisogna capire perché nel ‘900 la santità sia diventata una sorta di “attributo peculiare del papato romano”.

La santità è solo quella che viene riconosciuta e proclamata a seconda dei tempi, dei contesti e che da essi trae il suo significato politico e  religioso.  

Nella scelta dei santi il Vaticano rivela i suoi orientamenti sociali in un determinato periodo e i suoi mutamenti storici.

the end