Frine: la bella etèra greca statua che rappresenta Frine, collocata nell’Achilleion di Corfu.
Il sostantivo etèra deriva dal greco “etàira” (= compagna). Nell’antica Grecia l’etèra era la cortigiana, di solito liberta o schiava, di cultura superiore, elegante nel vestire e nell’ornarsi, raffinata nei modi.
Le etère erano belle donne che offrivano la loro compagnia a facoltosi clienti, per alcuni aspetti assimilabili alle attuali escort. Alcune di esse furono muse ispiratrici per celebri scultori, pittori e scrittori. La più nota di loro fu Frine, passata alla storia per la sua bellezza e per un controverso processo che la vide protagonista.
Il commediografo greco Posidippo di Cassandrea (316 a. C. – 250 a. C. circa), un macedone residente ad Atene, scrisse quasi 30 commedie, fra le quali quella riguardante il processo a Frine, nome d’arte, perché la donna si chiamava Mnesarète, nata nel 371 a. C. e morta nel 315 a. C. circa. Fu indicata da Posidippo come "l'etèra di gran lunga più celebre".
Frine, essendo donna libera e meteca, secondo le consuetudini sociali dell'Atene dell'epoca, poteva arricchirsi e diventare famosa, possibilità di cui si avvalse quando iniziò la relazione (amorosa ? solo "professionale" ?) con il famoso scultore Prassitele, il quale, secondo alcune antiche testimonianze, la scelse come modella per la realizzazione di alcune statue.
Ma nel 345 a.C. circa, la fortuna sembrò voltare le spalle alla donna, che venne trascinata in giudizio dall’ateniese Eutia, per empietà (= mancanza di venerazione e di rispetto verso ciò che è ritenuto sacro), punibile con la morte. Fu accusata di aver costituito un'associazione illecita di uomini e di donne per il culto misterico dedicato ad Isodaite, una nuova divinità.
Il processo a Frine si svolse nell’areopago di Atene. Difensore ed amante della donna fu Iperide, il quale, durante il processo, constatando che la sua orazione in favore di questa cortigiana non riusciva a commuovere i giudici, con un “colpo di teatro” strappò la tunica indossata dalla ragazza scoprendole il seno; secondo un’altra versione fu lei stessa a denudarsi completamente davanti all’assemblea; il geniale espediente, secondo quanto si narra, permise all’etèra d’impietosire i giudici e di essere assolta, perché la bellezza non poteva essere colpevole. Infatti nella cultura greca di quell’epoca il sostantivo “bellezza” veniva espresso con il termine “Kalokagathìa: crasi di “kalòs kài agathòs” = “bello e buono”.
Jean Léon Gérôme: “Frine nuda davanti ai giudici”, olio su tela, (1861), Kunsthalle, Amburgo.
In questo dipinto sono raffigurati seduti i giudici con la toga rossa; sulla sinistra, astante, c’è Frine, che col braccio destro si copre gli occhi per la vergogna; dietro di lei c’è il suo difensore, Iperide, che le ha appena strappato l’abito di dosso, lasciandola nuda.
José Frappa: “Phryne”, 1904, olio su tela, Musée d’Orsay, Paris