Nel passaggio dall’elpìs greca alla speranza cristiana attraverso la fede vetero-testamentaria ha rilievo
Filone Alessandrino, un dotto ebreo contemporaneo di Gesù, ma nato ad Alessandria d’Egitto. Egli commentò l’Antico Testamento secondo la filosofia platonica. Nel mitologico e filosofico “demiurgo” esposto da Platone nel “Timeo” come essere divino dotato di capacità creatrice e generatrice, Filone vide il Dio creatore ebraico, anche se il demiurgo platonico è un dio ordinatore e non generatore.
Filone pose, fra l’altro, le basi per la metafisica della speranza, ontologicamente associata all’agire umano: senza speranza di guadagno il negoziante non si darebbe da fare, senza speranza di vittoria l’atleta non si impegnerebbe nelle gare, ecc..
Dalla classicità greca viene anche la considerazione della speranza come consolazione nelle avversità o in un bene futuro che superi il male che ci ha colpito.
Filone fa propria la definizione della elpìs come “prosdokìa agathòn” (= “attesa dei beni”) e la contrappone alla paura, come “attesa di mali”. Definisce la speranza come “gioia prima della gioia, e, seppure imperfetta rispetto alla gioia piena, è tuttavia superiore a quella che deve giungere, per due aspetti: allevia l’ansia e le preoccupazioni; annuncia in anticipo l’arrivo del bene” (in “I premi e le pene”, 161).
In un altro suo elaborato Filone afferma che “…il bene è accompagnato dalla gioia; quando è atteso è accompagnato dalla speranza. Se è arrivato ce ne rallegriamo, se deve arrivare lo speriamo…” (in “Il cambiamento dei nomi e perché avviene”, 163). Dunque, come la paura è una sofferenza prima della sofferenza, così la speranza è una gioia prima della gioia”.
Agostino, vescovo d’Ippona nel suo “Commento ai Salmi” dice che Dio ha promesso il bene: “E’ perché hai promesso che mi hai fatto sperare” (118, 15, 1), ed aggiunge: “La nostra speranza è così certa che è come se già fosse divenuta realtà. Non abbiamo infatti alcun timore, poiché a promettere è stata la Verità, e la Verità non può ingannarsi né ingannare” (123, 2).
Inoltre, nelle “Confessioni”: “Ogni mia speranza è posta nell'immensa grandezza della tua misericordia. Dammi quello che comandi e poi comanda ciò che vuoi” (10, 29, 40).
Il simbolo cristiano della speranza è l’àncora navale.
Nella Bibbia il richiamo all'àncora è solo nel Nuovo Testamento e simboleggia la speranza nelle promesse di Dio.
Negli Atti degli Apostoli, dove descrive l'arrivo a Malta di Paolo di Tarso e dei prigionieri: “Nel timore di finire contro gli scogli, gettarono da poppa quattro ancore, aspettando con ansia che spuntasse il giorno” (27, 29).
Nella Lettera agli Ebrei l’apostolo Paolo dice: “Perciò Dio, volendo mostrare più chiaramente agli eredi della promessa l'irrevocabilità della sua decisione, intervenne con un giuramento ... noi, che abbiamo cercato rifugio in lui, abbiamo l’incoraggiamento ad afferrarci saldamente alla speranza che ci è proposta. In essa infatti abbiamo come un'àncora sicura e salda per la nostra vita: essa entra fino al di là del velo del santuario, dove Gesù è entrato come precursore per noi, divenuto sommo sacerdote per sempre secondo l'ordine di Melchìsedek” (6,17-20).
La speranza fondata sulla “parola” di Dio è come un'àncora che dà fermezza al credente, egli è certo di appartenere a lui.
La simbolica àncora cristiana per la sua forma fu usata anche come significante che evoca la croce di Gesù.
L'àncora, unita al simbolico pesce, indica la fede del credente nella risurrezione.