Rembrandt: “Giovane donna al bagno in un ruscello” (olio su tavola, 1654, London: National Gallery)
La donna, dopo aver posato i suoi vestiti su un masso che si può vedere alle sue spalle, entra in un ruscello indossando solo la camiciola e senza mutande.
Con le mani solleva la sottoveste sopra le gambe, mentre il suo sguardo rivela il piacere di chi pregusta la piacevolezza del bagno nella limpida acqua.
Alcuni storici dell’arte ipotizzano che la modella sia Hendrickje Stoffels, dal 1649 governante di Rembrandt.
Fino al XIX secolo donne di solito non indossavano le mutande.
Il termine italiano mutande deriva dal latino “
mutandae” (gerundivo di mutare) che significa “da cambiare”.
La storia delle mutande la si fa iniziare nel 3.300 a. C.: con lo slip di forma triangolare rinvenuto nel guardaroba del faraone Toutankhamon.
Indumenti intimi simili erano usati dagli antichi Greci, mentre presso i romani nel periodo repubblicano matrone e senatori non indossavano nulla sotto la tunica. Fino al I sec. ginnaste, giocoliere e bambine indossavano per praticità e pudore il “
subligaculum”, un triangolo di stoffa legato intorno ai fianchi che si passava poi fra le gambe come un pareo.
Il subligaculum (dal latino subligo, "legare sotto", + -culum, suffisso che indica strumenti) era uno degli indumenti di biancheria intima più comunemente indossati dagli antichi Romani.
Il subligaculum era come un perizoma avvolto intorno alle cosce e allacciato alla vita, e che poteva essere portato indifferentemente sia dagli uomini, al di sotto della tunica o della toga, che dalle donne, al di sotto della stola.
Con il termine subligaculum s'intendeva anche una specie di mutandone a pantaloncino, piuttosto aderente, che faceva parte dell'abbigliamento di ballerine e attori sul palcoscenico, ma anche di atleti e gladiatori, come il retiarius (il gladiatore con la rete), che lo teneva fissato alla cintola mediante un ampio cinturone, il balteus.
Atlete femminili che indossano, abbinati, un subligaculum ed uno strophium (la fascia per il seno), simile all’attuale bikini.
In epoca imperiale anche le cortigiane cominciarono ad indossare il subligaculum per essere più desiderate.
Nel Medioevo le donne non portavano le mutande, indossavano la “camicia”, che non era come noi oggi la conosciamo, ma una lunga “sottana” di lino o di bisso da indossare sotto la tunica.
Nei secoli XIII e XIV andarono di “moda” le feminalia o
sarabullias, simili agli slip.
Nel Rinascimento: in numerosi quadri si possono vedere nobiluomini in calzamaglia aderente con un vistoso rigonfiamento all’altezza dei genitali, spesso sottolineato dalla stoffa dell’abito di diverso colore. Dal 1371 infatti si afferma l’uso di cucire fra di loro le calze maschili prima separate e sorrette da un reggicalze, e viene inserita all’altezza dei genitali la braghetta, chiusa da lacci o bottoni e spesso usata come tasca supplementare per nascondervi il fazzoletto o le monete. È il re francese Carlo IX a lanciare la moda di imbottire questa braghetta con lana o cotone fino a farle assumere proporzioni impressionanti, in modo da esaltare la potenza del membro virile e quindi per traslato la potenza del sovrano stesso.
Questo nuovo capo di vestiario potenziato svenne diffuso in Europa e gli uomini del Rinascimento si pavoneggiavano con voluminose protuberanze inguinali fin verso il 1580, quando, con la Controriforma cattolica anche l’abbigliamento subì conseguenze.
La moda delle mutande femminili, in disuso fino al XVI sec., fu rilanciata da Caterina de Medici, seguita da Lucrezia Borgia e da altre dame di alto lignaggio, fra cui Maria Stuarda, che nel 1568 ne aveva quattro paia nel guardaroba. Venivano usate solo dalle classi sociali superiori e dalle cortigiane.
Concepite come braghe analoghe ai pantaloni, le mutande permettevano alla donna maggiore libertà di movimento. Erano aperte in modo strategico sul davanti, nonchè imbottite con cuscinetti di seta per arrotondare fianchi e sedere.
La Chiesa considerava le mutande strumenti diabolici adottati dalle donne solo per poter accorciare la veste, e adatte alle libertine e alle prostitute.
Nel XVIII secolo le mutande rimasero in uso solo per le bambine e obbligatorie per ginnaste e ballerine. Poi, nel XIX secolo le mutande femminili diventarono, pur fra molte resistenze, parte della biancheria intima delle donne. Il modello più diffuso era formato da brache tubolari lunghe fino alla caviglia, ornate con pizzi e volant.
Nel 1870 i mutandoni erano obbligatori nei collegi religiosi, e definiti custodi di virtù.
Per tornare all’’uso degli slip come indumento di biancheria intima bisogna giungere al XX secolo, all’anno 1906. Questa “mutanda” sgambata ed attillata con un elastico in vita venne pubblicizzata da un catalogo di biancheria intima maschile in maglia, corta e aderente, adatta a chi praticava sport, ma questa iniziativa ebbe un successo solamente a livello locale.
Negli anni 1920 le mutande diventarono corti pagliaccetti, per poi accorciarsi sempre di più.
La diffusione degli slip cominciò nel 1935 negli Stati Uniti, a Chicago, poi si propagò in Europa dal Regno Unito nel 1938. Negli anni ’60 dello scorso secolo cominciò la moda della minigonna che obbligò le ragazze ad usare slip.
Nel nostro tempo le donne utilizzano più tipi di mutande (che nella loro versione femminile possono essere chiamate mutandine, indipendentemente dalle effettive dimensioni e dal modello): lo slip, il tanga, il perizoma, la culotte.