Autore Topic: la noia  (Letto 795 volte)

Doxa

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la noia
« il: Luglio 30, 2017, 08:57:31 »
L'aggettivo "noia" deriva dal lemma provenzale “enoja” e questo dal latino “in odio”.

La noia è un sentimento proteiforme, una condizione psicologica che può essere transitoria o permanente.

“Noia transitoria”:  è  reattiva, causata da peculiari contesti o situazioni.

Noia permanente”: è endogena”, non dipende dall’ambiente esterno ma dall’insoddisfazione per varie cause.

In rapporto alle peculiarità dei singoli individui, all'età e alla fase evolutiva, la noia può causare inquietudine od apatia.

"Noia irrequieta": deriva da uno stato ansioso che motiva l’individuo ad agire, a cercare situazioni stimolanti, che possano placare l’insoddisfazione.

"Noia apatica":  induce alla rassegnazione, all’indifferenza, allontana i desideri, l’interazione con gli altri, ha contiguità con la depressione, ma si distingue  da questa per la conservazione dell'autostima, l'assenza di sentimenti di inadeguatezza e di colpa.

L’apatia è la medievale  "acedia", accidia, uno dei sette vizi capitali considerati peccati dalla morale cristiana, invece la psicologia esamina la noia apatica senza emettere giudizi di valore, evita i moralismi, si limita a studiare nei pazienti le dinamiche motivazionali dei comportamenti o di determinate azioni.

Per evitare la noia molte persone si creano motivazioni per viaggi, acquisti compulsivi,  gioco d’azzardo, alcolismo, dipendenza da droghe.

La noia può talora rappresentare un blocco difensivo oppure di distanziamento critico dalla realtà, che mette in movimento una crescita psicologica, un riadattamento o un rimodellamento dei rapporti tra mondo interno e mondo esterno.
« Ultima modifica: Luglio 30, 2017, 09:03:14 da dottorstranamore »

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Re:la noia
« Risposta #1 il: Luglio 31, 2017, 16:33:00 »
“Tutto il resto è noia” dice la nota canzone di Franco Califano, con la quale esprimeva la propria filosofia di vita, il suo modo di vivere le relazioni “amorose”. Evitava il  legame stabile per avere l'emozione di una nuova avventura. Si fece tatuare la celebre frase sull’avanbraccio destro.

Questa canzone mi fa pensare al  romanzo di Alberto Moravia "La noia", nel quale rappresenta la borghesia che tenta di superare la noia con viaggi, sesso e denaro. Il protagonista si chiama Dino, assalito dalla noia verso tutto ciò che lo circonda: “La mia noia potrebbe essere definita una malattia degli oggetti, consistente in un avvizzimento o perdita di vitalità quasi repentina; come a vedere in pochi secondi, per trasformazioni successive e rapidissime, un fiore passare dal boccio all'appassimento e alla polvere”.

Anche la Chiesa cattolica ha diversi problemi con la noia, che coinvolge numerose persone che vanno in parrocchia solo la domenica per la Messa, ma per abitudine e non per convinzione.

Lo scrittore francese Georges Bernanos (1888 – 1948) nel  romanzo “Diario di un curato di campagna” descrisse la quotidianità del giovane e laborioso presbitero Jean-Marie Baptiste Vianney, curato di Ars, piccolo villaggio distante 35  km da Lione, nel dipartimento francese dell’Ain, dal nome del fiume omonimo che scorre nel suo territorio.
Nei 40 anni di servizio in quella parrocchia quel prete fu attivo nell’insegnamento del catechismo e divenne uno stimato confessore. Il sacerdote intuì che la “malattia dell’anima” più micidiale è la noia: “La mia parrocchia è divorata dalla noia. Come tante altre parrocchie ! La noia le divora sotto i nostri occhi e noi non possiamo farci niente. Qualche giorno forse saremo vinti dal contagio”.

Un altro scrittore francese, Charles Baudelaire (1821 – 1867),  nel suo capolavoro "Fiori del male", afferma: "La noia è un mostro delicato che, senza strepito, con uno sbadiglio, inghiotte il mondo." L’autore vuol evidenziare che la noia elimina l'interesse verso gli altri, la speranza, le attese, e si comincia a vivere come le famose "ombre che camminano" descritte nel Macbeth di Shakespeare.

Per Giacomo Leopardi (1798 – 1837)  la noia "è figlia del nulla e madre del nulla". Era consapevole di quanto essa sia in sé sterile. “Anche il dolore che nasce dalla noia e dal sentimento della vanità delle cose è più tollerabile assai che la stessa noia”.


La noia è in qualche modo il più sublime dei sentimenti umani. Non che io creda che dall'esame di tale sentimento nascano quelle conseguenze che molti filosofi hanno stimato di raccorne, ma nondimeno il non potere essere soddisfatto da alcuna cosa terrena, né, per dir così, dalla terra intera; considerare l'ampiezza inestimabile dello spazio, il numero e la mole maravigliosa dei mondi, e trovare che tutto è poco e piccino alla capacità dell'animo proprio; immaginarsi il numero dei mondi infinito, e l'universo infinito, e sentire che l'animo e il desiderio nostro sarebbe ancora più grande che sì fatto universo; e sempre accusare le cose d'insufficienza e di nullità, e patire mancamento e voto, e però noia, pare a me il maggior segno di grandezza e di nobiltà, che si vegga della natura umana. Perciò la noia è poco nota agli uomini di nessun momento, e pochissimo o nulla agli altri animali”. (Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri, 1817-1819).

In una lettera del 1817 indirizzata al letterato Pietro Giordani,  Leopardi conferma questo suo sentimento che chiama il "vizio dell'absence" intendendolo come un suo difetto, una sua malattia spirituale che lo porta a non saper accettare il mondo così com'è nella sua mediocrità ma a lamentare invece l'assenza, la mancanza di qualcosa per cui valga la pena vivere.

La noia è presente in numerose pagine della letteratura romantica europea, per esempio nell’ insoddisfatta “Madame Bovary” e nella “vaga noia diffusa” di Frédéric ne “L’educazione sentimentale”, due testi dello scrittore francese Guastave Flaubert (1821 – 1880). Nel romanzo “Oblòmov” dello scrittore russo Ivan Aleksandrovič Gončarov (1812 – 1891), l'autore descrive Oblomov: un proprietario terriero russo, fatalista, che vive a san Pietroburgo senza compiere alcuna attività particolare, trascorre molte ore sul divano o sul letto, circondato dal disordine.

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Re:la noia
« Risposta #2 il: Agosto 03, 2017, 10:31:50 »
Nell’ambito della filosofia sono numerosi i filosofi che fin dall’antichità hanno espresso le loro opinioni riguardo la noia.
Ne cito alcuni.

Il filosofo e teologo Blaise Pascal (1623 – 1662), nei “Pensieri” scrisse: "Niente per l'uomo è insopportabile come l’essere in pieno riposo, senza passioni, senza affari da sbrigare, senza svaghi, senza un'occupazione. Egli avverte allora la sua nullità, il suo abbandono, la sua insufficienza, la sua dipendenza, la sua impotenza, il suo vuoto. Subito si leveranno dal fondo della sua anima la noia, la malinconia, la tristezza, l'afflizione, il dispetto, la disperazione”.

Per Arthur Schopenhauer (1788 – 1860), filosofo tedesco, “La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra dolore e noia, passando attraverso l’intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia” (dal libro IV de “Il mondo come volontà e rappresentazione”). Questa proposizione rappresenta una sintesi del pensiero di Schopenhauer sulla vita umana, nella quale prevalgono dolore e noia, poco piacere e rara gioia. “Col possesso, svanisce ogni attrattiva; il desiderio rinasce in forma nuova e, con esso, il bisogno; altrimenti, ecco la tristezza, il vuoto, la noia, nemici ancor più terribili del bisogno”.

Secondo il filosofo e teologo danese Søren  Kierkegaard (1813 – 1855) la dimensione esistenziale dell’individuo è segnata dall’angoscia, dalla disperazione, dal fallimento esistenziale.  Nel suo libro “L’arte di sconfiggere la noia” afferma che tutti gli individui sono noiosi  e che l’umanità è coinvolta dalla noia. Per evitare di annoiarsi suggerisce di applicare nella vita quotidiana delle regole. Con ironia l’autore indica le virtù da seguire per un’esistenza meno noiosa e per  trasformare questo sentimento in ozio creativo e sviluppo dell’immaginazione.
Kierkegaard dice che chi non sceglie e si dedica solo al piacere viene coinvolto dalla noia, dall’indifferenza verso ogni cosa. Non impegnandosi affettivamente e progettualmente  diventa demotivato.
Nel libro “Diario del seduttore”  questo filosofo dice che l’esteta vive “l’attimo fuggente” , e quando è colto dalla noia, smette di cercare il piacere. La sosta lo fa riflettere sulla sua condizione esistenziale e viene assalito dalla disperazione, che lo mette di fronte al vuoto della propria vita.
L'esteta tipico è per Kierkegaard il seduttore, rappresentato dal personaggio  letterario “Don Giovanni”, il cavaliere spagnolo prototipo del libertino che non si lega a nessuna donna perché non vuole scegliere,  vive cercando unicamente la novità del piacere, l’emozione del nuovo incontro. Questa “etichetta” mi sembra che si addiceva a Franco Califano, che ho citato nel precedente post.

Un altro filosofo francese Henri-Louis Bergson (1859 – 1941) scrisse che quando non riusciamo a dare senso al tempo nasce la sofferenza che chiamiamo noia. Quando si è annoiati il tempo sembra immobile.   

Concludo con il filosofo tedesco Martin Heidegger (1889 – 1976), il quale comparava la noia alla “nebbia  silenziosa che si raccoglie negli abissi dell’esistere”, e rende apatici, insoddisfatti.
Per Heidegger  la noia andrebbe inclusa nell'elenco degli stati d'animo fondamentali, perché rivela l'essere nella sua autenticità. La noia capita a tutti: se un’attività diventa noiosa, il tempo sembra non passare mai e si cerca un diversivo anziché cercare di capire la causa. Allora la noia diventa passività.

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Re:la noia
« Risposta #3 il: Agosto 04, 2017, 10:48:32 »
“Uffa che noia!”, è l’espressione tipica di chi non sa cosa fare, si stanca a non far niente. E’ coinvolto  dalla noia  incoercibile, tutto si svuota di contenuto e di significato. Sembra avere un effetto paralizzante.

Peter Toohey nel suo saggio “Boredom – A lively history” afferma che la noia non è solo la “nausée” sartriana o il “taedium vitae”, spesso definito “noia esistenziale, ma  può servire a stimolare l’attenzione, la creatività, può diventare “ozio creativo”.

Il termine "ozio" ha assunto col passare dei secoli una connotazione negativa perché considerato sinonimo di pigrizia o di inoperosità, da qui il detto della morale cristiana: "l’ozio è il padre dei vizi", per significare che se si perde tempo senza far nulla c’è la tentazione a peccare.

In realtà  l’ozio non si contrappone al fare,  può essere creativo. L’etimologia della parola ozio conduce al tempo libero, al riposo dalle attività quotidiane.

Gli antichi Greci  contrapponevano l’oziare a quella dimensione del “fare” come attività che presupponeva uno sforzo fisico, eccettuato lo sport, e comportava il sudare, configurandosi come “lavoro” che, come tale, veniva praticato solamente dagli schiavi. Tutte le altre attività, non propriamente fisiche che richiedevano quella dimensione del “fare”, come attività della mente, del pensiero e rappresentate dalla politica, dallo studio, dalla poesia e dalla filosofia corrispondevano invece all’ozio =  scholḗ, da cui deriva la parola scuola, nel significato di “occupazione studiosa”. Lavoro che  ovviamente praticavano solo i cittadini più ricchi.

Anche gli antichi Romani aristocratici, economicamente benestanti, ebbero l’opinione produttiva dell’ozio (otium),  inteso  come riposo dagli affari o il tempo libero ed attività diversa da quella abituale, opposta al negotium ( da “nec  - otium” = non ozio) cioè al lavoro degli affari, alla politica e all’attività finanziaria. Differenziazione tra il fare come attività fisica e il fare come attività di pensiero, attività di pensiero come contemplatio, come meditazione.

Il filosofo Seneca nel suo “De Otio” afferma, nel dialogo con Sereno, che “tutti possono dedicarsi alla vita contemplativa, perché anche questa ha una componente attiva”.

Questa concezione degli antichi sull’ozio come dimensione di pensiero che si realizza nell’attività politica, di studio e filosofica, è riproposta  nel nostro tempo dal sociologo Domenico De Masi come "ozio creativo",  in cui lavoro, studio e gioco coincidono.  L’ozio creativo non consiste nell’inerzia del corpo ma nel lavoro della mente. Oziare non significa non pensare. Dall’ozio possono nascere idee e pensieri  che possono essere utili  all’individuo. De Masi  avverte che c’è differenza tra l’ozio creativo, attivo, e l’ozio dissipativo, alienante, che ci fa sentire vuoti, inutili, ci fa annegare nella noia.

Siamo nella stagione delle vacanze. Quanti di noi le trascorrono riservando del tempo all’ozio creativo attivo ? Non ci abbandona la voglia di controllare mail e messaggi, di programmare le giornate di ferie. Non fermarsi per non avere l’ansia del fare o il timore di restare soli con noi stessi e ritrovarci a tu per tu con i problemi che ci assillano, i nostri limiti. Il tempo dissipato, “vuoto”, l’horr vacui è un “nemico” da evitare” il più possibile e motiva ad attivare delle difese psicologiche: il messaggio che non arriva, la telefonata che ritarda spingono a “coprire” quel silenzio che crea ansia con rumori di qualsiasi tipo, ascolto della musica, guardare la tv, fare qualcosa. 
Essere costantemente impegnati, anestetizza il senso di solitudine ma aumenta lo stress. Le persone iperattive sono capaci di fare più cose in breve tempo ma hanno difficoltà all’introspezione.

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Re:la noia
« Risposta #4 il: Settembre 04, 2017, 08:18:15 »
Lo stupore protegge dalla noia, dalla demotivazione.

Ma cos’è lo stupore ? Questo sostantivo deriva dal latino “stupor”, dal verbo “stupēre” (= stupire), significa  “stare fermo”, ma non intende l’immobilità del corpo, fa riferimento alla reazione di sorpresa, di intenso turbamento dovuto ad un evento inatteso, piacevole o spiacevole, tale da  togliere quasi la capacità di agire o di parlare.



Il sinonimo di stupore è sbalordimento.
Chi non sbalordisce è depresso o annoiato ?
Annoiato per cosa ? La noia può anche insorgere quando abbiamo raggiunto la stabilità e  diamo tutto per scontato: il lavoro, il/la partner, gli amici, la famiglia. La natura umana è fatta per evolvere, imparare cose nuove. La voglia di conoscere è un potente antidoto alla noia.

L’imperatore e filosofo stoico Marco Aurelio (121 – 180) evidenzia che l’insoddisfazione colpisce l’umanità:  “Tutti soffrono di questa medesima malattia, sia quelli afflitti dalla volubilità, dalla noia o dal continuo cambiamento d'umore che rimpiangono sempre quanto hanno lasciato, sia quelli che si abbandonano all'ignavia e all'indifferenza”[…] “...quella noia, quella scontentezza di sé, quell'inquietudine dello spirito che non trova pace in nessun luogo, una rassegnazione penosa e amara alla propria inattività...”. Così l’individuo s’impegna in ciò che possa distrarlo ed aiutarlo a superare la noia di vivere: “Dobbiamo convincerci che non dipende dai luoghi il male di cui soffriamo, ma da noi; non abbiamo la forza di sopportare niente, né fatiche né piaceri, neppure noi stessi. Ecco perché alcuni si sono spinti al suicidio, perché le mete che si prefiggevano di raggiungere, a furia di cambiarle, riproponevano sempre le stesse cose, non lasciando spazio alle novità: la vita e il mondo stesso cominciarono a nausearli e alla loro mente si presentò l'interrogativo proprio di chi marcisce tra i propri piaceri: "Sempre le stesse cose! Fino a quando durerà tutto questo?" (Marco Aurelio, “Colloqui con se stesso”).

Il filosofo e poeta Tito Lucrezio Caro (94 a.C – 50 a.C, circa), seguace dell’epicureismo, in un brano del poema didascalico “De rerum naturae” afferma: “ Ognuno non sa quel che voglia e cerca sempre di mutar luogo, quasi potesse deporre il suo peso. […] Così ciascuno fugge se stesso, ma quel suo io, naturalmente, come accade, non potendo sfuggire, malvolentieri gli resta attaccato e lo odia, perché è malato e non comprende la causa del male…”.

« Ultima modifica: Settembre 04, 2017, 08:23:39 da dottorstranamore »