Gli argomenti non si scelgono, si presentano e semplicemente non li puoi rifiutare; così capita che ci sia un fatto di cronaca che non può lasciarti indifferente, che non puoi dimenticare; è l’ultimo pisciaiuolo che gira scalzo per le vie della città e parla “da per lü”; raccoglie le cicche di sigarette dai posacenere sui tavolini all’aperto di un bar, di un’osteria, negozi, sul selciato… Non ne ricava molto di tabacco, comunque sufficiente per qualche spinello potente a placare la disperazione “senza un lamento, un grido d’afflizione”.
Personaggio diverso, è vero… strano… embé?... più che far paura, dà fastidio, e non solo alla donna che lo vede passare sotto le sue finestre ogni giorno, e che “disperata” chiama i carabinieri:
“È qui in piazza… individuo strano, di colore… pericoloso… ha lanciato sassi contro i miei bambini”.
Dove ha potuto reperire dei sassi da lanciare contro il mondo?
La donna scende le scale del condominio urlando; raduna, via via, un folto gruppo di gente “disperata” come lei; prendono a correre a caccia dello strano; eccitati da un sentimento di linciaggio, piuttosto che di semplice cattura.
Il povero cristo intuisce; fugge verso un non lontano centro di prima accoglienza; nell’evitabile parapiglia, ci scappa una coltellata da mano femminile, sembra.
Giungono i carabinieri; arriva un’ambulanza; il poveraccio è trasportato in ospedale.
Le indagini penali?
Chi ne sa qualcosa?
Ho saputo del fatto di cronaca quasi per caso: il raccapricciante episodio riferito laconicamente tra le righe di un telegiornale; il giorno seguente sul mio quotidiano nessun accenno, e nemmeno nei giorni successivi, eppure si trattava di un fatto di cronaca di inspiegabile e grave intolleranza conclusosi con l’accoltellamento di un povero disperato immigrato innocente. Dopo quella minima informazione null’altro. Confusa tra inutili, fallaci e gonfiate notizie riguardanti la politica e la piaga dell’immigrazione di massa di tanti disperati, null’altro se non una intervista a una donna giovane durante il TG della notte. Probabilmente la stessa donna che aveva diretto l’assalto al pisciaiuolo risorto dall’abisso di un altro sconosciuto mondo.
Questa giovane donna, vuole ben figurare in TV; certamente, in previsione dell’intervista, passa dal parrucchiere, e si presenta ben pettinata all’ultima moda, con un ciuffo di capelli che le copre interamente un occhio, mentre con l’altro, libero, lancia verso la telecamera lampi di folle cattiveria.
Succintamente vestita, mostra estesi tatuaggi su entrambe le braccia, e anche riesce a trovare il modo di girarsi per mettere in mostra un vasto tatuaggio floreale sulla schiena nuda da esagerato décolleté. Così ben impostata, dichiara che l’individuo aggredito era un pericoloso personaggio che aveva appena lanciato sassi contro i suoi bambini.
Non si può negare che la sua bella figura l’ha fatta!
Nei giorni successivi non riuscii a reperire da nessuna parte notizie più aggiornate, e il fatto si precipitò inesorabilmente nella voragine di un profondo oblio.
Insomma, in fine, fu come il fattaccio non fosse mai accaduto!
L’ultimo pisciaiuolo non era mai esistito nelle strade; fuori dalla storia l’ultimo pisciaiuolo rinato fuori tempo. Scalzo, esangue, vaneggiante, era ricomparso, quasi come un sogno dopo quasi un secolo, icona sfumata e magica di un mondo tramontato, ingiusto anch’esso, ma ancora umano. Con la sua presenza aveva bucato per un attimo le tenebre del nuovo mondo; mondo ostile, cattivo; uno squarcio dal quale si intravvedeva il modo ugualmente dolente e disperato del nostro recente passato che nessuno vuole ricordare.
Ieri gli avrebbero solo gridato a sfottò, al raccoglitore di cicche: “pisciaiuooooo!”; in risposta i ragazzi sfottitori avrebbero ricevuto un “figli di puttana!”, e sarebbe finta lì, magari con una risata.
Ora.
Nei giorni emancipati del progresso, una piccola folla inferocita, incitata e guidata da una donna, parte al linciaggio di un misero pisciaiuolo che finisce accoltellato da mano femminile… sembra.
Vivo o morto? ‘sto povero cristo che aveva represso tutto di sé, e coltivava un segreto impulso a distruggersi, un suo “cupio dissolvi” largamente sociale.
C’era stato un tempo, qui da noi, che solo gli uomini, tutti gli uomini, fumavano tabacco: pipe, sigari, sigarette, spinelli; poi presero a fumare anche altri, e anche esageratamente: femmine e minorenni compresi, tanto che, al culmine, infine, erano ormai tutti bronchitici cronici scatarranti, tanto che fu deciso di vietare il fumo almeno nei locali pubblici e nei mezzi di trasporto.
All’epoca dei soli uomini fumatori era permesso fumare ovunque, e ogni locale pubblico aveva tanto fumo da poterlo tagliare con un coltello: bar, ufficio postale, circoli ricreativi, treni… e nelle abitazioni private erano soprattutto i cessi a esserne saturi, ché era convinzione consolidata che il fumo agevolasse e facilitasse evacuazioni intestinali di soddisfazione.
Insomma il fumo di tabacco era considerato salutare (favoriva anche l’espettorazione), e oltretutto soffiare fumo era considerata abitudine molto virile, tale da conferire anche prestigio, e un uomo che non fumasse era considerato un mezzo uomo.
La sala del cinema era perennemente immersa in una nebbia densa, e lo schermo, da bianco che era in origine, aveva incorporato il color seppia della nicotina e rimandava, invece del bianco-nero della pellicola, emozionanti immagini come da vecchie foto di antenati.
E dove non c’era fumo, c’era l’odore del fumo… Anche sulla pubblica via, esalato dai vestiti pregni, o fuoriuscito dai bar con le porte aperte in estate; specialmente dal bar di Tamburriello, anche detto saloon del Texas, frequentato da clientela dalla rissa facile.
In chiesa non era permesso fumare tabacco, ma il fumo non poteva non esserci dacché storicamente esso aveva sempre avuto un carattere sacro, già dal tempo degli sciamani che aspiravano fumo da erbe le più starne e lo soffiavano al vento; andavano fuori di testa, gli scaimani, e riuscivano a mettersi in contatto con le divinità.
In chiesa però il fumo non era di tabacco, veniva bruciato solo incenso, che oltre a essere molto più gradevole all’olfatto, era anche molto coreografico emesso da turiboli d’argento elegantemente agitati e benedicenti. Le pizzoche benedette andavano in estasi.
Beh, all’epoca, fumo dappertutto, insomma!
Ed il fumo era permesso anche al tempo del fascismo nonostante la sua elevata propensione alle proibizioni, tanto che in ogni luogo pubblico erano esposti cartelli e manifesti a proibire questo e quello: ce n’era uno esposto dappertutto che proibiva sputi e bestemmie in caratteri cubitali:
“LA PERSONA CIVILE NON SPUTA IN TERRA E NON BESTEMMIA”
E anche il fascismo non proibì mai il fumo del tabacco, probabilmente perché considerato virile, tanto che divenne quasi obbligatorio per uomini degni di stima: pipe, sigari, sigarette e spinelli a gogò!
Gli spinelli erano di produzione autarchica, arrotolati con il tabacco dei mozziconi raccolti da pisciaiuoli espertissimi nel confezionamento (e non era ancora di moda la marijuana).
Col tabacco ricavato dalle cicche, riuscivano a fumare anche i meno abbienti, quelli dalle limitatissime possibilità economiche da non potere acquistare nemmeno i pacchetti di sigarette in confezione ridotta da dieci; sigarette popolari di trinciato forte.
Insomma, in qualche maniera, il fumo di tabacco era economicamente alla portata di tutti; un tabacco qualsiasi e tutti veri uomini italici.
Ed era anche possibile acquistare una sola sigaretta per volta quando si presentasse una qualche particolarissima grande occasione. Comunque per moltissimi non v’era nemmeno questa possibilità, e il vizio poteva essere soddisfatto esclusivamente ricorrendo agli spinelli di tabacco da mozziconi raccolti in strada, o al massimo ricorrendo al trinciato forte che potevi trovare a prezzo stracciato presso ogni sale & tabacchi con annesse cartine.
Di pisciaiuoli se ne incontravano parecchi (non ho mai conosciuto l’origine del termine, e cosa avesse a che fare col pesce), e spesso erano oggetto di scherno da parte dei ragazzacci quando venivano colti sul fatto:
“PISCIAIUOOoooooo!!!”
E in risposta si beccavano un bel “FIGLI DI PUTTANA!!!”.
E tutto finiva lì, anche perché essere definito “figlio di puttana”, spesso era considerato un complimento, e faceva riferimento a individuo intelligente furbo allegro determinato, e anche con una piccola dose di cinismo.
Comunque c’era anche il pisciaiuolo provetto che cercava di non farsi cogliere nell’umiliante posizione a schiena curva per la raccolta.
Per evitare la gogna questo signore aveva studiato un ingegnoso metodo che eseguiva con studiata dignità: vestito con curata decenza; ritto, cappello e bastone; e al bastone aveva applicato, in punta, uno spillo col quale centrava, senza sbagliare un colpo, la cicca; quindi sollevava la mano col bastone come a risistemarsi il cappello e portava così il mozzicone infilzato a livello dall’altra mano libera che sfilava il mozzicone ben fisso sullo spillo.
Il declino della nobile arte del pisciaiuolo iniziò con l’arrivo dei soldati americani: i vittoriosi liberatori si divertivano a lanciare su una folla di pezzenti, dall’alto di un autoblindo, sigarette sfuse che solo pochi riuscivano a catturare a volo; la maggior parte delle sigarette finiva schiacciata sul terreno sterrato e non era nemmeno più possibile salvare un grammo di tabacco… e come si divertivano e ridevano sulla dentatura bianchissima questi eroi della liberazione!
Durarono ancora per poco tempo i pisciaiuoli dopo la partenza dei liberatori, e ci pensarono poi l’emigrazione di massa, e il piano Marshall a farli scomparire: tutti potevano permettersi almeno l’acquisto di trinciato forte con annesse cartine… e anche, a volte, qualche sigaretta “alfa” sfusa, che, in quanto a odore, aveva nulla da invidiare al fumo degli spinelli da tabacco di mozziconi.
Quest’ultimo pisciaiuolo, sorto dalle polveri della Storia, non poté sopravvivere che lo spazio di un mattino nell’agonia del mondo: esangue disperato vaneggiante ammutolito lucido, dopo due secoli, dopo migliaia d’anni, balbettando aveva squarciato le tenebre, e non gli si poteva perdonare che riconducesse inconsapevolmente alla memoria, in questa nuova epoca del lusso, un passato che nessuno più voleva ricordare.
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In ospedale:
“Vuole mostrarmi qualcosa?”
“Si, le ho portato una stecca di sigarette e un paio di scarpe”
“Sigarette? Ma non sa che provocano il cancro, ed è anche scritto su ogni pacchetto…”.
“Interessante teoria, ma lei è un fumatore!... fumatore del peggior tabacco da cancro”
“Non è vero! Il tabacco delle cicche non dà il cancro: quello lo hanno già dato le sigarette, e nella cicca di cancro non ce n’è più! E poi lo sa che si muore prima del cancro e dell’infarto? Si muore prima, mentre si avanza nel deserto cadendo all’aria aperta come insetti; si muore sventrati dalle mine; si muore piombando su se stessi e scomparendo nell’universo delle promesse mancate… e neanche di scarpe ho bisogno”
Dopo una pausa, riprende a discorrere:
“Può perdere del tempo?”
“Certo!”
“Guardi i miei piedi allora, e giudichi se hanno bisogno di scarpe”
I suoi piedi sono suolati!
“Eppure ero partito per il lungo viaggio con scarpe robuste, che però mi abbandonarono quasi dall’inizio; da allora ho camminato, per mesi e mesi, scalzo nel deserto di sabbia e pietre, così che ora le scarpe le ho come incorporate…”.
Fa una pausa:
“Le chiedo ancora se ha tempo da perdere con questo disgraziato”.
“Certo! Tutto il tempo!”.
“… partimmo in centinaia e invademmo pianure e paesaggi; scendemmo con le trireme lungo un fiume; risalimmo fino alla costa; eravamo rimasti qualche decina e ci inoltrammo sul mare con una trireme che colò a picco; un galeone ci attese, e un bastimento…”.
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“Sono Fuggiti dal passato, dagli amici, dalla città, dal lavoro
Sono fuggiti nel futuro, nell’equivoco.
Hanno rinunciato alle parole?
No, parlavano a lungo, inutilmente.
Poi i primi cadaveri passarono nelle pupille dei superstiti.
I morti sono più dei vivi, la bocca piena di terra
Cadono in un acquitrino rosseggiante
Avanzano tra le urla
Gridano senza voce
È l’ora del destino
Poi sassi, poi muoiono, poi…
Scompaiono in un attimo mille mondi
Corpi finalmente senz’anima né dolore
Sbarcano sulle coste, salutano
Non vedono nessuno
Sul molo
Ai piedi di un grattacielo
In strada ombre paurose…”.
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Magro da far paura
Quasi creatura dell’aria
Destinato a svolazzare
Sopra dei tetti delle case
Svanire nella nebbia
L’ultimo pisciaiuolo!