I primi filosofi greci furono all’origine di riflessioni che si perpetuano fino ai nostri giorni con il nome di filosofia e di scienza, ma questi due lemmi non facevano parte del loro vocabolario.Quei filosofi cominciarono a problematizzare la questione della conoscenza, interrogandosi su vari aspetti dell'universo, dando risposte spesso divergenti e contrastanti.
Le loro opere ci sono note in modo frammentario. I frammenti sono di due tipi:
citazioni verbali che rimandano all’opera originale, sono brani staccati da un insieme ormai perduto, che ci sono pervenuti il più delle volte dalle citazioni che ne hanno fatto altri autori successive o in qualche raro caso in seguito a scoperte papirologiche.
Sunti, delle parafrasi, delle allusioni, delle critiche, delle testimonianze di autori vissuti nei secoli successivi.
La tradizione filosofica fa di Socrate la figura perno per il prima e il dopo, fra i cosiddetti “presocratici” e “socratici”.
Socrate fu contemporaneo dei sofisti, ma anche degli ultimi filosofi naturalisti. Il suo pensiero segnò una svolta nella filosofia morale, concentrandosi sullo studio dell'uomo in quanto tale e sul concetto di
aretè (virtù).
Da varie testimonianze sappiamo che Socrate amava dialogare con le persone che incontrava durante la giornata. Coerente con la sua preferenza per l'oralità non scrisse niente, e tutto ciò che sappiamo del suo insegnamento arriva a noi per via indiretta, attraverso il filtro delle rappresentazioni che ne hanno lasciato nei loro scritti altri autori.
Platone nel “Fedone” fa sapere che Socrate elaborò una teoria dell’anima di derivazione orfico-pitagorica: l’anima è immortale, è principio di vita, è quanto di più vero l’uomo possieda e la filosofia è una vera e propria “cura dell’anima” in quanto l’anima è l’unico destinatario del messaggio filosofico.
Nel “Fedone” Platone dice: “Sull’anima la gente è molto incredula e teme che essa, non appena si allontani dal corpo, non esista più in nessun luogo, ma che, in quello stesso giorno in cui muore l’uomo, si dissolva disperdendosi come soffio o fumo”. L’affermazione di questo filosofo è di straordinaria attualità.
Socrate parla di “aretè dell’anima”. Essa non è solo “virtù” nel senso etico del termine, ma è anche “virtù” nel senso di “funzione”, “capacità”, “qualità”. Per Socrate, come per Platone ed Aristotele, la “virtù dell’anima” consiste nel raggiungere il suo fine: l’eudaimonia (felicità). Solo l’eliminazione della malattia dell’anima, ossia il vizio, garantisce l’adempimento di tale fine.
Socrate fu il primo a concettualizzare l’anima, che indica con il termine greco “psyché” per designare il mondo interiore dell’individuo.
Psiche, personificazione dell'anima nella mitologia greca
Anima è il principio vitale. Il sostantivo anĭma è anche connesso con il termine greco “ànemos” (=soffio, vento).
Coscienza è la consapevolezza.
Mente è il pensiero.
Essere animato, essere cosciente, avere mentalmente un pensiero, sono esplicazioni distinte.
Ontologicamente divisi perché hanno funzioni diverse, ma dinamicamente e gerarchicamente dipendenti.
Nell’individuo il “principio vitale” è immateriale, distinto dal corpo fisico.
Il concetto di anima fu poi ripreso da Platone (circa 428 a.C. - 347 a.C.), che considerava l’individuo composto da due parti: dal corpo mortale e dall’incorporea anima immortale, che esce dal corpo quando l’individuo esala l’ultimo respiro prima della morte.
Platone dice che l’anima è come un cocchio alato guidato dall’auriga (la ragione) e condotto da due cavalli, uno bianco e generoso, e l’altro nero, ribelle alla guida (le pulsioni passionali); se il cavallo nero prende la mano all’auriga trascina il cocchio verso il basso facendogli perdere le ali.