Non puoi smettere di pensare quando ti sto a guardare, rimani lì impalato e non sai che fare, prendi allora tutto il coraggio e ti butti a cercare.
In mezzo, come dentro ad un grande sacco tra noci e scarti, gusci malridotti e stanchi, mandorle amare e cocci di bottiglie rotte, affondi la mano e ti metti a pescare.
E se risale alla tua vista ciò che ti fa sanguinare, volgi lo sguardo altrove e con una pezza bagnata asciughi il sudore, lacrime di disperazione, vittime di un destino fatto apposta per ricominciare,
vagare, lontano andare verso una deriva senza fatica, costruita su fango grigio e umido di lino,
camino, vicino all’albero di ulivo e a quell’omino che lento percorre il suo cammino.
Sapessi allora come mi diverto, di certo smetto di guardare e ti lascio sospirare, ignaro di me che gioco con il tuo altare, quello dei fiori buoni e vino delle botti, di faggio e rovere e legno senza
tocco, rintocco sordo di un giorno senza vento, di pioggia senza tempo, di sedie ad un colore, di suoni e dell’orchestra, di notti senza luna, di giorni tutti uguali.