I MIEI ALUNNI EXTRA
Vent’anni e tanto entusiasmo!
Neanche la nebbia, che quella mattina di ottobre cercava di nascondere Venezia in una tristezza silenziosa riusciva a smorzarlo .Era il mio primo giorno di insegnamento, sede: elementari Marconi.
Che storia!
Una storia durata venticinque anni poi, trasferimento nel mio paese di origine
L’entusiasmo è diminuito, mi pesa rapportarmi con le richieste sempre più esigenti dei bambini. Vorrei una classe di alunni buoni bravi e con una famiglia che li segua.
Mi viene assegnata una prima a tempo pieno: so che sono quindici ma non ho l’elenco dei loro nomi.
Oggi , ore 17, incontro con i genitori: arrrivano puntuali, un po’ timorosi.
Cercando di sfoderare un sorriso dei più rassicuranti mi presento. Si presentano.
La maggior parte di loro parla un italiano un po’ stentato e si limita a dire solo poche parole: solamente quattro avanzano le più svariate, ma giustificate richieste.
14 settembre: primo giorno di scuola. Mi fa un certo effetto ritornare in questo vecchio edificio dove per cinque anni sono entrata come scolara. E’ ancora come lo ricordavo:pareti esterne un pò scrostate e cortile asfaltato. Vedo già la ricreazione: proibito correre, proibito giocare a nascondino,proibito tutto ciò che può fare di un momento di pausa un’occasione di gioco.
Mentre una marea di grembiuli blu sotto zaini pesanti entra, avvolto in un vocio caotico, i nuovi arrivati aspettano in un angolo. Con l’elenco in mano inizio a chiamarli : i nomi sono per lo più stranieri e qualcuno lo pronuncio in modo sbagliato. Sono diventati undici: i quattro genitori “delle richieste” hanno preferito iscrivere i loro figli al tempo breve.
Troppi stranieri, troppi immigrati nella prima B a tempo pieno!
Riunisco in una fila molto poco ordinata quelli che saranno i miei alunni: alcuni sono senza grembiule, uno non ha nemmeno lo zaino; dai pantaloni di una taglia troppo piccola spunta una specie di pizzetto: qualcuno , sotto i vestiti, indossa ancora il pigiama.
Non so se ridere o mettermi le mani tra i capelli!
La realtà in cui ho lavorato finora era “normale”. Non mi sento preparata ad affrontarne una così diversa. Vedo già compiti non svolti, quaderni mancanti, astucci semivuoti, sento la mia voce che si spezza nei toni più alti per chiedere silenzio.
Insieme entriamo in classe. Si siedono e se ne stanno lì zitti zitti, fissandomi timorosi:sembrano cuccioli impauriti e questa è una sensazione che per ora ci accomuna!
Ce la farò?
Ce la faremo?
Li guardo:alcuni hanno la carnagione scura e occhi penetranti,altri sono biondi, una frangia di capelli corvini quasi copre quelli a mandorla di una bambina seduta compostissima all’ultimo banco. Sono così diversi tra loro e forse per questo mi sembrano ancora più belli!
Cerchiamo di conoscerci ma, a parte i loro nomi non riescono a dirmi altro.
Capisco che non hanno ancora voglia di raccontarsi: aspetterò. Per oggi parlo di me e così inizia il nostro viaggio insieme.
Gli anni passano velocemente: fine prima, fine seconda, terza ,quarta………
Tra alti e bassi, quaderni persi non si sa dove, penne mancanti, compiti non s volti, sgridate sonore , risate pianti ,litigi, siamo arrivati in quinta.
Seduta dietro la cattedra mentre in silenzio scrivono il loro testo”Mi presento ai professori di prima media”, li guardo. Adesso ci conosciamo: so chi sono stati, chi sono ora e cosa vogliono diventare.
E loro conoscono me.
Concentrato sul suo compito , con il solito impegno di sempre Franc non alza mai la testa dal foglio. E’ arrivato in Italia dall’Albania con i soliti barconi che spesso guardiamo distrattamente in tv: realtà troppo lontane per coinvolgerci emotivamente. Ricorda che era buio e faceva freddo. Durante tutto il viaggio sua madre lo aveva tenuto stretto a sé , avvolto in una coperta e continuava, con una voce sempre più debole a cantargli ninne nanne, mentre tutto intorno era solo una massa di disperati, con lo sguardo perso in immagini lontane, accalcati come bestie .
Ora Franc abita in una casa popolare,ha la sua cameretta, i genitori lavorano e lui continuerà ad impegnarsi tanto nello studio:vuole diventare ingegnere edile e ritornare nel suo paese a costruire case.
Seduto di traverso, o in ginocchio sulla sedia, Elson cerca di scrivere qualcosa……
L’impegno non dura molto e, come sempre, quando ha voglia di farsi un giro, mi chiede se può andarmi a prendere il solito caffè d’orzo senza zucchero. Mentre si allontana lo seguo con lo sguardo: il “furetto”, così lo chiamiamo per i suoi occhi furbi, pieni di sfida e per la sua abilità di trovarsi dappertutto, è cresciuto. Non aveva neanche la più pallida idea di cosa volesse dire “andare a scuola”. Il suo unico interesse era giocare e divertirsi a far dispetti ai compagni. Un giorno, quasi a fine prima, si è presentato alla cattedra con il quadernone di italiano aperto su una pagina completamente scritta .Aveva ripetuto per quindici volte, copiandolo non so dove, ”FANCULO MAETRA”. Si aspettava una sonora sgridata ma non raccolsi la sua sfida , anzi, gli scrissi un “bravissimo” enorme. Da quel giorno un po’ alla volta ha iniziato a voler imparare.
Capelli sempre tagliati a caschetto, neri , lucidissimi, colletto bianco immacolato, fiocco ben annodato, Viviana Chen consegna il suo compito: scrittura minuta, ordinatissima, voto “ottimo” .
Le restituisco il foglio sorridendole compiaciuta. Lei abbassa subito lo sguardo, come sempre ogni volta che le rivolgo la parola o la interrogo. Ora so, che il non guardare in faccia agli adulti, è una forma di rispetto, che appartiene alla sua cultura orientale. E pensare che per questo suo atteggiamento, l’avevo anche ripresa!
Tra qualche mese lascerà l’Italia per tornare in Cina. Le piacerebbe continuare a studiare l’ italiano: lo faremo via mail. Tra me e il computer non c’è un buon rapporto, ma questa sarà una buona ragione per migliorare.
Enj , l’uragano ambulante che riesce a riempire ogni spazio con il suo vocione e la sua presenza ingombrante, mi chiede di uscire ancora una volta. Il percorso dall’aula ai bagni può ormai farlo ad occhi chiusi.
Quando è arrivato eravamo in seconda. Aveva solo un quaderno, di quelli piccoli con la copertina nera e i fogli profilati di rosso e una matita . Parte del quaderno era già scritta, ma a matita, così poteva cancellare e scriverci di nuovo. I suoi genitori non avevano ancora la possibilità di permettersi spese “superflue”. Non ho potuto non provvedere e il giorno dopo mentre lo aiutavo a sistemare quaderni e astuccio nello zaino, mi ha mostrato orgoglioso, un piccolo album di fotografie.
Lo ritraevano in quella che era stata la sua casa in Albania. Si vedevano varie stanze e ci tenne a dirmi che in ognuna di esse c’era un lampadario brillante e che in sala, attorno ad un grande tavolo, si festeggiavano sempre i compleanni. Tra una settimana sarebbe stato il suo, ma lo aspettavano solo due misere stanzette dove a malapena lui e sua madre riuscivano a girarsi. La solitudine e la nostalgia che lessi nei suoi occhi mi restò addosso tutto il giorno.
Festeggiammo il compleanno a scuola con tanto di torta e candeline.
C’è silenzio in aula, chiudo il registro e continuo ad osservare i miei “cuccioli spaventati” , diventati ormai grandi e più sereni. Il mio sguardo si ferma sulla massa nera di capelli riccioluti di Felisia, su Vincenzo che appende fiero il suo disegno, sulle lunghe trecce fuori moda di Jerina……..
Sul cancello, do uno sguardo che nessuno si faccia male in quell’orda gioiosa che si manifesta ogni giorno, quando la campanella dice “per oggi basta……”
Elson mi sfiora un braccio, mi giro e ricambio il suo occhiolino con un sorriso. Un sorriso dolce, come quello che mi sta mandando Chen.
Anna, una collega, si avvicina e con sguardo amico e un po’ compassionevole mi chiede: “Come va con i tuoi extra ?”.
"Bene Anna, molto bene".
Mi saluta e rimango un attimo a riflettere : io di extra ne ho sempre avuti.
Italiani, extra bravi, extra obbedienti, extra vivaci o… extra in qualcos’altro!
Questi, quando sono arrivati erano solo “extra sfortunati”! Le priorità sono andate oltre la storia dei Fenici o l’analisi del periodo. C’erano realtà lontane da conoscere e sogni di bambini da realizzare!
Settembre: una nuova prima, molti stranieri, nuovi sorrisi incerti, sguardi assorti e intimoriti.
Ancora una volta l’entusiasmo non è quello dei vent’anni, ma non mi chiedo più se saranno alunni facili o difficili da gestire:sono solo bambini, che contano anche su di me per realizzare i loro sogni.
E io ci sarò!