Autore Topic: Credere nel trascendente  (Letto 2368 volte)

Doxa

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Credere nel trascendente
« il: Maggio 13, 2016, 15:20:03 »
Nel 1954 lo psicologo statunitense Abraham Maslow propose un modello motivazionale dello sviluppo umano basato su una “gerarchia di bisogni”, disposti gerarchicamente in  forma piramidale. Alcuni di essi vanno soddisfatti prima che altri vengano considerati, creando un ordine secondo cui la soddisfazione dei bisogni più elementari, come quelli fisiologici, è la condizione per fare emergere i bisogni di ordine superiore.
Secondo Maslow questi processi motivazionali sono fondamentali per la vita umana e presenti in tutte le culture e in tutti i popoli del mondo, ma nonostante i bisogni siano universali, ogni cultura possiede le proprie modalità per soddisfare i bisogni degli individui. Per esempio, il bisogno di autorealizzazione è presente in ognuno di noi, anche se le mete da raggiungere sono molto diverse e variano a seconda della cultura e dell’epoca storica a cui ci si riferisce.
Al vertice della “piramide” c’è il bisogno di trascendenza, una realtà concepita al di là di questo mondo, contrapposta all’immanenza, al di sopra dell’esperienza sensibile e della percezione fisica, come ad esempio Dio, considerato l'entità superiore onnipotente (può fare ogni cosa), onnisciente (conosce ogni cosa), onnipresente, eterno, puro spirito (incorporeo).

Credere nel trascendente è un bisogno di consolazione dell’umanità ? La moltitudine delle persone aspira a credere che la vita abbia un senso che trascende l’immanenza. Ma credere in una religione non significa che essa sia vera.
 
La fede mette in “contatto” il credente con Dio, ma quale Dio ? Il teologo Vito Mancuso nel suo saggio titolato “Dio e il suo destino”, dice che bisogna sbarazzarsi del Dio della tradizione, che non è il vero Dio e non è adeguato alla mentalità contemporanea. 

Mancuso rifiuta la modalità tradizionale di pensare Dio e delinea l’idea di divinità formata dall'incontro di cinque entità teologiche tra loro incompatibili: il Dio ebraico, il Dio del Gesù storico, il Padre, lo Spirito Santo terza Persona della Trinità, e la stessa Trinità che ha suscitato sempre interrogativi e perplessità. Questo Dio deve essere licenziato per le promesse inevase, per le incongruenze dimostrate, come quella di tenere insieme la bontà-giustizia con la onnipotenza, che ha causato l'ateismo proprio nell'Europa cristiana.
 
Questo teologo fa delle distinzioni:
col termine Dio intende una "forza" indirizzata al bene, che si dipana nella creazione;

il Deus della Chiesa è il modo tradizionale di pensare Dio, prodotto dal potere religioso come onnipotente che giudica e punisce,  così immaginato per impedire che la spiritualità e la religione si estinguano e il mondo sia privato del sostegno divino;

Deum è ciò che si definisce "fato", un qualcosa di impersonale che fa che le cose si realizzino in autonomia;

Trinitas è il modo più corretto di pensare come Dio si relaziona col mondo.

Mancuso afferma di avvertire il bisogno di un'immagine del divino nuova e più liberante, di non credere nel Dio onnipotente della Bibbia e della dogmatica cattolica e di aderire allo stile di vita indicato da Gesù, all'insegna dell'amore e della giustizia.
Questo Dio deve essere un principio trascendente da cui tutto proviene e in cui tutto ritorna più ricco, deve essere giusto e amico della vita.

Mancuso è convinto che la spiritualità sia l'unico balsamo in grado di guarire la ferita che è la vita, che cura generando la luce del bene, che permette di abbandonare ogni forma egoistica e di aderire in modo generoso alla vita.

Resta il problema, secondo questo autore,  di come configurarsi questo Dio, puro spirito.

L'etologo britannico Richard Dawkins, professore di Public Understanding of Science presso l'Università di Oxford, nel suo libro “L’illusione di Dio” sostiene che la fede  in un creatore sovrannaturale è una credenza falsa e persistente. 
 
L’individuo non ha bisogno di Dio, è autore di sé stesso e della propria vita.   

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Re:Credere nel trascendente
« Risposta #1 il: Giugno 10, 2016, 10:02:02 »
Trascendere:  parola di origine latina composta da “trans” (= oltre,  al di là) + “scandére” (= salire) superare, oltrepassare, esistere al di fuori e al di sopra della realtà sensibile.

Gli scienziati cognitivi ed i neuroscienziati  ipotizzano che l’anelito alla trascendenza, l’esperienza interiore verso il trascendente, l’estasi mistica, la credenza in un dio creatore possano emergere in modo spontaneo nell’individuo, anche se le forme attraverso cui si manifestano variano a seconda  delle circostanze socio-culturali. Gli esperimenti condotti dagli scienziati cognitivi suggeriscono che i bambini  considerano naturale, indipendentemente dall’opinione degli adulti che stanno loro intorno, l’idea di un creatore non-umano del mondo, un creatore che possiederebbe super-poteri, super-conoscenza, super-percezione.

Gli studi sulla neurobiologia dell’esperienza religiosa e mistica evidenziano che durante un’intensa preghiera o meditazione  sono coinvolte diverse zone cerebrali.

Il neuroscienziato statunitense Andrew B. Newberg  nel suo libro titolato “Dio nel cervello. La prova biologica della fede” (God in the brain. Why God won’t go away)  riduce l’esperienza religiosa a un “prodotto” del nostro cervello. Questa  teoria è divulgata  anche dallo spagnolo E. Punset nel suo libro “L’anima è nel cervello”. Ma i loro dati neuroscientifici non ricercano direttamente l’esperienza umana di Dio, ma cercano di identificare le basi neurofisiologiche associate alla fenomenologia di qualsiasi esperienza religiosa. Ciò che viene misurato non è  l’esperienza mistica in sé, ma l’intensa attività intellettivo–volitiva che l’accompagna.

L’esperienza del trascendente  è un’attività cerebrale ma il cervello è anche il luogo della coscienza: parola d’origine latina, indica nell’individuo la sua consapevolezza dell’ambiente circostante e la facoltà di interagire con esso.

Per la psicologia la coscienza è una qualità della mente, include la conoscenza e la capacità di individuare le relazioni tra sé e l’ambiente esterno.

Nell’Antico Testamento  la coscienza è indicata con il termine greco “syneidesis”, considerato l’organo  che contiene la moralità ed i sentimenti.

Nell’ambito religioso cristiano  la coscienza è concepita come  coscienza morale, la quale permette al soggetto di distinguere il bene e il male nelle proprie azioni o in quelle altrui e di agire di conseguenza nelle diverse situazioni.
« Ultima modifica: Giugno 12, 2016, 07:41:27 da dottorstranamore »

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Re:Credere nel trascendente
« Risposta #2 il: Giugno 12, 2016, 12:41:23 »
La trascendenza è collegata alla coscienza,  perché è questa che può trascendere. Ma non la coscienza intesa in senso morale o religioso ma a quello psicologico, all’Io, che fra l’altro permette l’autoriflessione, di pensare oltre il suo essere, di trascendere, questo termine non va confuso con trascendentale. 

Trascendere verso la spiritualità: lemma polisemico, non ha una definizione univoca. C’è chi considera la spiritualità  sinonimo di  religione, di  misticismo, e chi la pensa come  attività dello spirito umano in funzione della perfezione.

Religione e spiritualità non possono essere considerati sinonimi.  Numerosi non credenti rivendicano una propria dimensione spirituale.

Molti atei o agnostici rifiutano il termine spiritualità perché deriva dall'immateriale “spirito”, dal latino “spiritus” (= soffio, respiro, alito).

Che cos’è lo “spirito” ? E’  considerato una grazia speciale concessa  dal Dio dei cristiani ad una persona capace di dare “pienezza” alla vita cristiana.

Nell’antichità per spirito s’intendeva il soffio vitale.

Nell’Antico Testamento s’intende per spirito il principio immortale della vita,  ma anche la sede dell’intelligenza, della ragione e della coscienza morale.

La differenza fondamentale tra religione e spiritualità consiste nel fatto che la religione indica un tipo di ricerca esteriore, di credere in un dio, con delle regole e dei riti, per rapportarsi con lui, invece la spiritualità induce l’individuo alla ricerca di un essere supremo, immateriale, all’interno di sé, non necessariamente riconducibile ad una religione o ad una fede.
Comunque molti seguaci di religioni costituite considerano la spiritualità come un aspetto intrinseco e inscindibile della loro esperienza religiosa.

Penso che ci sia un termine intermedio tra religione e spiritualità: la religiosità ! Questo sostantivo deriva da “religioso”, che non significa legato ad una religione.
La religiosità è collegata in modo soggettivo al soprannaturale, al mistero oltre la realtà visibile.
All’origine di questo mistero, presente nell’esperienza umana, viene considerata un’entità superiore e assoluta.

La religiosità sta alla base di ogni esperienza religiosa e di ogni religione.

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Re:Credere nel trascendente
« Risposta #3 il: Giugno 13, 2016, 10:46:00 »
Nel precedente post ho scritto che religione e spiritualità sono due cose diverse. La religione induce a credere ad una o più divinità, dà regole e riti per rapportarsi con il dio, invece la spiritualità  non ha bisogno di riti, regole, dogmi, ma aiuta l’individuo alla ricerca di un essere supremo, immateriale, non riconducibile ad una religione. Comunque molti seguaci di religioni costituite considerano la spiritualità come un aspetto intrinseco e inscindibile della loro esperienza religiosa.

Ho anche detto che c’è un termine intermedio tra religione e spiritualità, ed è la religiosità, che fa meditare, riflettere l’individuo sul mistero oltre la realtà visibile.

La religiosità sta alla base di ogni esperienza religiosa e di ogni religione, però è necessario distinguere tra la religiosità spirituale e la religiosità popolare, che aborro.

Nel romanzo titolato “Cristo si è fermato ad Eboli” lo scrittore Carlo Levi descrive la sua permanenza al confino per motivi politici ad Aliano ( toponimo che nel libro è modificato in Gagliano), in Basilicata, tra il dicembre del 1943 ed il luglio 1944.  Nella prefazione racconta la scoperta di una diversa civiltà, quella dei contadini del sud Italia:  “Nel mondo dei contadini non c’è posto per la ragione, per la religione e per la storia. Non c’è posto per la religione, appunto perché tutto partecipa della divinità, perché tutto è, realmente e non simbolicamente, divino, il cielo come gli animali, Cristo come la capra. Tutto è magia naturale. Anche le cerimonie della chiesa diventano dei riti pagani, celebratori della indifferenziata esistenza delle cose, degli infiniti terrestri dèi del villaggio”.
Tra santi taumaturghi e madonne protettrici dei raccolti, filtri, streghe,magie, processioni esuberanti, cupi amori animaleschi ed ossessive presenze di spiriti, angeli e demòni, l’immagine proposta da questo libro rifletteva in maniera emblematica, l’atteggiamento culturale con cui ad essi guardava, e attraverso il quale li giudicava, il colto osservatore nato a Torino e vissuto  in diverso ambiente sociale. 

La religiosità popolare  è caratterizzata da infantilismo, dall’irrazionalità, dall’alone di magia, dal sincretismo, il sacro si confonde con il profano o con il pagano, la fede è condizionata dai bisogni materiali  per l’esistenza e l’insegnamento è alterato.


Lo storico Danilo Zardin, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore, nel suo saggio “La religione ‘popolare’: interpretazioni storiografiche e ipotesi di ricerca”, afferma che: “… la religione popolare appare quasi condannata a riprodursi in maniera meccanica, senza farsi scalfire in profondità dagli sviluppi della dottrina, dall’ammodernamento delle istituzioni e delle loro norme prescrittive, dall’influsso delle cicliche ondate di cristianizzazione controllate dalla gerarchia ecclesiastica: cambiano le forme esteriori, cambia magari la scenografia teatrale della pietà collettiva, ma la sostanza si perpetua inesorabilmente nel tempo.
Dietro il volto dei santi e delle Madonne invocati come taumaturghi e patroni potenti riemergono, se si va a scavare a fondo, con intenzione di demistificare, i volti delle antiche divinità precristiane. Il calendario mantiene fermo il primato delle feste ereditate dal più remoto passato. La geografia dei luoghi di culto e degli spazi sacri, che marcano la gerarchia differenziata dell’ambiente e aprono canali privilegiati cedendo all’irruzione divina nelle pieghe della vicenda umana (sorgenti, fontane, alberi magici, forze vitali della natura feconda, il territorio liminale del saltus che resiste all’espansione colonizzatrice della cultura civile e dell’ager), si oppone, allo stesso modo, con tutto il retaggio dei suoi santuari extraparrocchiali, i suoi segni figurativi e i suoi rituali dotati di più tenace capacità di attrazione, al ricambio delle credenze ufficiali, allo sforzo di riadattamento e di riconversione pedagogica delle forme religiose tradizionaliste promosso dagli interpreti accreditati della religione ‘prescritta’”.


Lo sfondo antropologico-folclorico della religione popolare è un sistema coerente, efficiente, che si riproduce nei secoli o cambia secondo una sua riconoscibile logica in un continuum culturale, da cui non è facile isolare ed eliminare la superstizione, le forme magiche deteriori.

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Re:Credere nel trascendente
« Risposta #4 il: Giugno 14, 2016, 09:53:10 »
La Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti nel 2002 pubblicò un documento sulla liturgia e la  pietà popolare, considerata religione delle classi subalterne. In tale documento, denominato “direttorio”,  si afferma che la religiosità popolare si esprime in forme diversificate e diffuse, perciò deve essere apprezzata e favorita. Essa non si contrappone alla liturgia e favorisce la fede del popolo. Viene anche rilevato che “Le espressioni della religiosità popolare appaiono talora inquinate da elementi non coerenti con la dottrina cattolica. In tali casi esse vanno purificate con prudenza e pazienza, attraverso contatti con i responsabili e una catechesi attenta e rispettosa, a meno che incongruenze radicali non rendano necessarie misure chiare e immediate”.

Nell’esortazione apostolica “Evangelii nuntiandi”, pubblicata l’8 dicembre del 1975, il pontefice Paolo VI afferma nel capitolo 48: “ La religiosità popolare, si può dire, ha certamente i suoi limiti. È frequentemente aperta alla penetrazione di molte deformazioni della religione, anzi di superstizioni. Resta spesso a livello di manifestazioni cultuali senza impegnare un'autentica adesione di fede. Può anche portare alla formazione di sètte e mettere in pericolo la vera comunità ecclesiale.
Ma se è ben orientata, soprattutto mediante una pedagogia di evangelizzazione, è ricca di valori. Essa manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fino all'eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione. A motivo di questi aspetti, Noi la chiamiamo volentieri «pietà popolare», cioè religione del popolo, piuttosto che religiosità.
La carità pastorale deve suggerire a tutti quelli, che il Signore ha posto come capi di comunità ecclesiali, le norme di comportamento nei confronti di questa realtà, così ricca e insieme così vulnerabile. Prima di tutto, occorre esservi sensibili, saper cogliere le sue dimensioni interiori e i suoi valori innegabili, essere disposti ad aiutarla a superare i suoi rischi di deviazione. Ben orientata, questa religiosità popolare può essere sempre più, per le nostre masse popolari, un vero incontro con Dio in Gesù Cristo
”.

In seguito il pontefice Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica “Vicesimus Quintus Annus”, del 4 dicembre 1988,  nel V capitolo dice che “Questa pietà popolare non può essere né ignorata, né trattata con indifferenza o disprezzo, perché è ricca di valori, e già di per sé esprime l’atteggiamento religioso di fronte a Dio. Ma essa ha bisogno di essere di continuo evangelizzata, affinché la fede, che esprime, divenga un atto sempre più maturo ed autentico. Tanto i pii esercizi del popolo cristiano, quanto altre forme di devozione, sono accolti e raccomandati purché non sostituiscano e non si mescolino alle celebrazioni liturgiche. Un’autentica pastorale liturgica saprà appoggiarsi sulle ricchezze della pietà popolare, purificarle e orientarle verso la Liturgia come offerta dei popoli”.

La spontaneità religiosa delle persone incolte nasce dal mytos anziché dal logos, dalla ragione. La logica del “cuore”  prevale su quella della mente. La pietà popolare viene manifestata con processioni dietro simulacri, adorazioni, offerte in denaro, richieste di grazia ai santi, bisogno di aiuto e protezione. In questa pietà popolare, la Vergine Maria occupa un posto speciale. Nella sua figura, la fede popolare ha sempre colto la presenza di un rapporto  con l’al di là.

La pietà popolare possiede i suoi linguaggi: verbale, simbolico, corporeo e gestuale. Alcuni esempi: baciare o toccare con la mano le immagini considerate sacre, le reliquie e gli oggetti sacri; induce ad intraprendere pellegrinaggi e partecipare alle processioni a compiere tratti di strada o percorsi a piedi scalzi o in ginocchio; dare offerte in denaro, porgere doni votivi,  accendere ceri; inginocchiarsi e prostrarsi; portare medaglie e insegne. Queste espressioni di fede si tramandano da secoli,  sono manifestazioni di religiosità. Senza questa componente interiore la gestualità simbolica può diventare consuetudine, superstizione.
« Ultima modifica: Giugno 15, 2016, 21:38:01 da dottorstranamore »

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Re:Credere nel trascendente
« Risposta #5 il: Giugno 18, 2016, 06:09:47 »
Il 24 aprile 1986 il pontefice Giovanni Paolo II nel discorso ai vescovi della conferenza episcopale dell’Abruzzo e del Molise disse fra l’altro: “Su di un punto in particolare vorrei attirare la vostra attenzione di Pastori: quello della pietà popolare e del suo rapporto con la vita liturgica. La costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II ha un esplicito accenno al problema, quando al n. 13 parla dei pii esercizi del popolo cristiano, elogiandoli e raccomandandoli, purché 'conformi alle leggi e alle norme della Chiesa'. Consegue da ciò che non si possono ignorare, né trattare con indifferenza o disprezzo quelle manifestazioni di pietà e di devozione che sono ancora vive in mezzo al popolo cristiano, ad esempio le feste patronali, i pellegrinaggi a santuari, le varie forme con cui si manifesta la devozione ai santi. La pietà popolare o religiosità popolare, infatti, come già accennava Paolo VI nell’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi è ricca di valori: ‘Essa manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio; la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione’. Non tutto certamente è della medesima elevata qualità in queste manifestazioni religiose. Poiché sono umane, le loro motivazioni possono essere mescolate a sentimenti di impotenza davanti agli avvenimenti della vita, a un semplice desiderio di sicurezza più che a uno slancio di confidenza nella Provvidenza o di gratitudine e di adorazione.

Esse inoltre si esprimono in segni, gesti e formule, che talvolta prendono un’importanza eccessiva, fino alla ricerca dello spettacolare. Tuttavia nella loro sostanza sono manifestazioni che esprimono il fondo dell’uomo, e il riconoscimento di una dipendenza fondamentale dello stesso uomo come creatura nei riguardi del suo Creatore. Il fatto che la religiosità popolare sia nello stesso tempo una ricchezza e un rischio, deve stimolare la vigilanza dei Pastori della Chiesa, i quali dovranno tuttavia svolgere la loro azione di orientamento con una grande misura di pazienza, perché, come già sant’Agostino avvertiva al suo tempo dinanzi ad alcune forme nel culto dei santi, 'Altro è quello che noi insegniamo, altro quello che noi siamo costretti a tollerare' (Contra Faustum, 20, 21). Ciò che conta, venerati fratelli, è prendere coscienza della permanenza del bisogno religioso nell’uomo, attraverso la diversità delle sue espressioni, per sforzarsi continuamente di purificarlo e di elevarlo nella evangelizzazione. Questa metodologia è sempre stata seguita dalla Chiesa in tutti i secoli, sia per i problemi della inculturazione, che per i problemi della religiosità popolare e delle devozioni popolari. Così ha fatto la Chiesa quando dovette accogliere una folla di nuovi convertiti dopo l’editto costantiniano; così avvenne nel caso dei popoli barbari dell’Europa; così avvenne ancora con i popoli del nuovo mondo a cui occorreva annunziare l’Evangelo; così avviene anche oggi, nel necessario adattamento all’indole e alle tradizioni dei vari popoli. Non bisogna mai dimenticare la consegna che papa Gregorio Magno dava all’apostolo dell’Inghilterra, sant’Agostino di Canterbury: non si dovevano distruggere, ma si dovevano purificare e consacrare a Dio i templi pagani, come anche i costumi religiosi con cui i popoli erano abituati a festeggiare le ricorrenze religiose della vita.

In un paese di antiche tradizioni cristiane come l’Italia, le manifestazioni religiose popolari hanno un carattere cristiano che non si può negare. Molti costumi di questo Paese sono nati dalle feste della Chiesa e sono ancora legati ad esse. Bisogna avvertire le origini, e nel caso che essi tendessero ad allontanarsene, bisogna impegnarsi nello sforzo di riportarli alle loro origini antiche. È nostro compito di pastori vegliare perché questi atti di devozione siano rettificati nel caso in cui fosse necessario e perché, comunque,
non abbiano a degenerare in una pietà falsa, in superstizione o in pratica magica. Così la devozione ai santi - che si esprime nelle feste patronali, nei pellegrinaggi, nelle processioni e in tante altre forme di pietà - non deve ridursi alla sola ricerca di una protezione per i beni materiali o per la salute corporale, ma i santi devono essere presentati anzitutto ai fedeli come modelli di vita e di imitazione del Cristo, come via sicura per arrivare a lui. Il rimedio migliore contro deviazioni sempre possibili è di permeare queste manifestazioni di pietà popolare con la parola del Vangelo, portando coloro che vivono di queste forme di religiosità popolare da un movimento di fede iniziale e qualche volta balbettante ad un atto di fede cristiana autentica. L’evangelizzazione della pietà popolare la libererà progressivamente dai suoi difetti; purificandola, la consoliderà, facendo sì che ciò che è ambiguo acquisti una fisionomia più chiara nei contenuti di fede, speranza e carità. Non bisognerà in nessuna maniera sottovalutare il valore di questa parola di catechesi. Il popolo generalmente è denutrito per ciò che riguarda la dottrina cristiana: bisognerà dargli la parola specialmente in queste occasioni, nelle quali sono presenti anche quelli che abitualmente non partecipano mai o quasi mai alla vita della Chiesa. Concludendo, si può affermare che nella vita dei fedeli e delle comunità cristiane c’è e ci deve essere un posto per forme di pietà che non si riducano alle sole celebrazioni liturgiche. Ciò implica una esigenza: queste forme di pietà non debbono sovrapporsi ai tempi liturgici, non debbono mettersi in concorrenza con le solennità più significative dell’anno liturgico. Se c’è una devozione che ha un valore superiore a tutte le altre è la devozione della Chiesa, cioè il culto che essa rende a Dio, la sua vita liturgica, nei misteri e nei tempi che si succedono nel corso dell’anno del Signore.

Ultima conseguenza di carattere pratico è quella a cui già nel 1958 il Papa Pio XII si riferiva: celebrazioni liturgiche e pii esercizi non debbono mai essere mescolati.

Come si vede, un’autentica pastorale liturgica non potrà mai trascurare le ricchezze della pietà popolare, i valori propri della cultura di un popolo in modo che tali ricchezze siano illuminate, purificate e introdotte nella liturgia come offerta dei popoli”.


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Re:Credere nel trascendente
« Risposta #6 il: Giugno 20, 2016, 06:47:18 »
Non c’è una definizione condivisa del concetto di “religione”. Essa può avere una “definizione funzionale”  come sistema di interpretazione dell’universo e della Natura, oppure una “definizione sostanziale” se ha il ruolo sociale di alleviare l’angoscia esistenziale per la caducità della vita.  Per esempio, la religione cristiana dà risposte non verificabili alle domande sul  destino, sul senso della vita e della morte. Essa invita a credere nell’al di là, a Gesù Cristo – Dio per i cristiani.

I sociologi che danno rilievo alla “definizione funzionale” assimilano la religione ad altre ideologie, trascurano la  trascendenza ed il significato della religione, mentre altri sociologi, che danno rilievo alla “definizione sostanziale”, assimilano la religione alle mitologie e alle fiabe e la presentano come un regno per i creduloni.

Nel concetto di religione ci sono due aspetti: la dimensione sacrale ed i metodi per avere un  rapporto stabile con la dimensione  del sacro oppure con una divinità.

La parola “sacro” deriva dal latino arcaico “sakros” ed indica ciò che è dedicato alla divinità e al suo culto.

Gli elementi attraverso i quali il sacro si manifesta sono il simbolo, il mito e il rito.

Il simbolo rappresenta il linguaggio del sacro, perché è la forma attraverso la quale si rende visibile.
 
Il mito è un racconto mediante il quale l’uomo cerca di spiegare l’origine della vita e la sua presenza nel mondo. Tali sono i miti genealogici e cosmologici.

Il rito indica l'ordine prescritto nella sequenza di azioni, parole o gesti (come le braccia alzate verso il cielo e la genuflessione) eseguiti secondo norme codificate e che conferiscono un valore sacrale a persone (sacerdoti e indovini), oggetti (animali sacrificati o elementi naturali come l’acqua, il fuoco, il pane e il vino) e luoghi (templi, santuari, cattedrali e cappelle votive). Ciò che partecipa al rituale di consacrazione, riceve dal soprannaturale forza, efficacia e durata e, soprattutto, una dimensione di realtà.

L’esperienza sacrale è segnata dalla trascendenza, rappresenta lo spirituale distinto dal profano, perciò una realtà inviolabile, meritevole di rispetto e anche misteriosa.

Il filosofo Umberto Galimberti nel suo libro “Orme del sacro”  dice fra l’altro: “Sacro è parola indoeuropea che significa “separato”. La sacralità, quindi, non è una condizione spirituale o morale, ma una qualità che inerisce a ciò che ha relazione e contatto con potenze che l’uomo, non potendo dominare, avverte come superiori a sé, e come tali attribuibili a una dimensione, in seguito denominata “divina”, pensata comunque come “separata” e “altra” rispetto al mondo umano. Dal sacro l’uomo tende a tenersi lontano, come sempre accade di fronte a ciò che si teme, e al tempo stesso ne è attratto come lo si può essere nei confronti dell’origine da cui un giorno ci si è emancipati. Questo rapporto ambivalente è l’essenza di ogni religione che come vuole la parola, recinge, tenendola in sé raccolta (re-legere), l’area del sacro, in modo da garantirne ad un tempo la separazione e il contatto, che restano comunque regolate da pratiche rituali capaci da un lato di evitare l’espansione incontrollata del sacro e dall’altro la sua inaccessibilità. Sembra che tutto ciò sia stato presentito dall’umanità prima di temere o invocare qualsiasi divinità. Dio, infatti, nella religione, è arrivato con molto ritardo”.
Il sacro si offre anche alla dissacrazione. Infatti Galimberti nota che “Al di là delle fulgide apparenze, il Dio plurinvocato in molte lingue, in molti riti e nelle forme più svariate della religiosità, sembra essersi infatti definitivamente congedato dal mondo per lasciare null'altro che un desiderio infinito di protezione, conforto, rassicurazione: è solo il resto esangue della storia e della tradizione del cristianesimo, troppo arretrato per governare un tempo scandito dall'incalzante succedersi delle scoperte tecnico-scientifiche”. […] “Qui nessun "Dio ci può salvare" perché la tecnica, che disabita il sacro, è nata proprio dalla corrosione del trono di Dio”.

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Re:Credere nel trascendente
« Risposta #7 il: Luglio 01, 2016, 05:44:52 »
Ogni religione è definita da un suo credo e propone  ai propri fedeli le modalità per relazionarsi con Dio tramite  preghiere, pratiche di culto, adorazioni,  riti e rituali, offerte.

La parola religione deriva dal latino “religio” e indica legame, collegamento, relazione caratterizzata dall’illusorio  rapporto dell’individuo con la divinità.

La religione è un prodotto culturale, un insieme di dottrine, precetti, divieti, concetti, insegnamenti.

La fede induce l’individuo a credere come “parola di dio” ciò che è scritto sui libri cosiddetti “sacri” dal clero. 

La religione non va confusa con la religiosità.

La religiosità motiva a meditare sul significato della vita e della morte, a cosa ci aspetta dopo la morte. Molti si illudono che dopo la morte non ci sia il nulla ma un eden in vicinanza con il proprio dio. Non accettano che il significato dell'esistenza sia ridotto esclusivamente alla durata della propria permanenza sulla terra. Allora si cerca un significato superiore. Questa è la religiosità. Attraverso di essa intuiamo la presenza di un mistero oltre la realtà visibile, al di là della stessa religione che professiamo o meno.

La religiosità può condurre l’individuo verso una religione o verso la spiritualità.

Spiritualità deriva dal sostantivo Spirito, che nell’antichità alludeva al “soffio vitale”.  Essa non ha bisogno di riti, regole, dogmi. 
Nell’Antico Testamento per Spirito s’intende il principio della vita, universale, impersonale, immortale; ma in certi passaggi dell'A. T. è definita come Spirito la mente  dell’individuo,  sede dell’intelligenza, della ragione e della coscienza morale.

Spirito ed anima non sono sinonimi. Nella Bibbia le parole “spirito” e “anima” si riferiscono a due cose diverse.

Il sostantivo spiritualità esprime un concetto polisemico. C’è chi lo considera sinonimo di religione e chi lo pensa come ascensione verso il trascendente, a prescindere dalla religione.   

La spiritualità è soggettiva  ed ha vari livelli d’espressione.  Può essere originata  dall’esperienza religiosa ma anche non religiosa, come la spiritualità degli agnostici e dei non credenti. È una spiritualità che conosce l’importanza della solitudine, del silenzio, del pensare, del meditare sulla relazione o non relazione con  Dio.

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Re:Credere nel trascendente
« Risposta #8 il: Luglio 04, 2016, 16:21:56 »
L’egittologo Jan Assmann nel suo saggio titolato: “Dio e gli dei. Egitto, Israele e la nascita del monoteismo” offre una ricostruzione culturale e semantica del monoteismo dal suo esordio nell'antico Egitto. Nel contesto di quel mondo politeista, l'affermarsi dell'idea di una “Verità” esclusiva rappresentò una novità rivoluzionaria, che andò a contrapporre Dio a tutto ciò che non è Dio, e la religione a tutte le altre forme di credenze, che cominciarono  ad essere rifiutate in quanto superstizione, paganesimo o eresia.
La rivoluzione si compie nel passaggio dalla historia divina alla historia sacra, nel rapporto privilegiato che il Dio del monoteismo biblico sviluppa nei confronti del popolo eletto, quello di Israele.

“Il Dio biblico sviluppa e rivela le sue personali caratteristiche non in relazione agli altri dèi in una cornice di costellazioni mitiche (poiché non vi sono altri dèi intorno a lui), ma in relazione all'umanità” . La storia è vista come la manifestazione della volontà di Dio in relazione al comportamento degli uomini, un Dio che ricompensa e punisce, che ordina e guida e infine redime. Il rapporto tra Dio e l’umanità non si regge sulla regolarità degli adempimenti cultuali, ma sulla giustizia. E in tale contesto la giustizia diviene generatrice della storia. Non esiste però una linea evolutiva che conduce direttamente dal politeismo al monoteismo biblico. Il rapporto diretto di Dio con gli uomini e la nascita della storia, secondo Assmann, “comportò una distruzione della dimensione pluridimensionale della presenza divina, distruzione destinata ad aprire la strada a uno sguardo completamente nuovo sulla realtà”,

Tratto distintivo del monoteismo delle origini non è l'"unicità" di Dio, che è un concetto filosofico, ma la "differenza" di Dio rispetto a tutti gli altri dèi.

Il monoteismo gettò le basi per un principio alternativo di "naturalizzazione", per mettere a suo agio l'uomo in un mondo invisibile che non era "dato", ma promesso, e stava misteriosamente emergendo. Questo vale sia per il monoteismo "inclusivo" (tutti gli dèi sono Uno) sia per quello "esclusivo" (non avrai altro Dio).

L’altra tesi di Assmann è la cosiddetta religio duplex, in cui si confrontano, una verità religiosa rivelata e una di indole più naturale e universale. La declinazione di questa dualità si attua nel contrasto o confronto tra fede popolare e religione codificata, affidata a una rivelazione, a misteri e riti, tra una spiritualità personale e una religiosità pubblica, tra una epifania cosmica, essoterica cioè aperta a tutti, e una teofania circoscritta ed esoterica, destinata ad essere conosciuta solo da una stretta cerchia di iniziati.
 
La religiosità “naturale”, detta anche  “naturalismo religioso”
identifica il divino con la Natura e non con un dio onnipotente, onnisciente ed onnipresente.

Il naturalismo religioso induce l’individuo a riflettere sul  significato della vita, a comprendere l’universo senza credenze o rituali. La scienza è la componente fondamentale di tale paradigma, il principale strumento interpretativo.   
Secondo il naturalismo la realtà può essere compresa esclusivamente o primariamente attraverso le leggi naturali, senza ricorrere a principi trascendenti.

La religiosità diventa  religione quando si esprime in un sistema logico di segni, simboli, riti, “verità” condivise da un gruppo o da un popolo.

La religiosità sta alla base di ogni esperienza religiosa e di ogni religione, però è necessario distinguere tra la religiosità interiore e quella esteriore, detta anche religiosità popolare.

La religiosità interiore è ovviamente  soggettiva e  non è  necessariamente legata a una particolare religione storica.
La religiosità esteriore, o “popolare” induce l’individuo all’ossequio alle regole formali e cultuali di una religione. L’aggettivo “popolare” allude agli atteggiamenti religiosi della tradizione popolare.
 
La religiosità popolare  è caratterizzata da infantilismo, dall’irrazionalità, dall’alone di magia, dal sincretismo, il sacro si confonde con il profano o con il pagano, la fede è condizionata dai bisogni materiali  per l’esistenza.
La religiosità popolare è frequentemente aperta alla  superstizione. Resta spesso a livello di manifestazioni cultuali senza impegnare un'autentica adesione di fede.

La pietà popolare viene manifestata con processioni dietro simulacri, i pellegrinaggi nei santuari, la devozione e le richieste di grazia  ai santi, le adorazioni,  le offerte in denaro, domande di intercessione, di aiuto e protezione. Maria, la madre di Gesù, occupa un posto speciale. Nella sua figura, la fede popolare ha sempre colto la presenza di un rapporto  con l’al di là.

La pietà popolare possiede i suoi linguaggi: verbale, simbolico, corporeo e gestuale. Alcuni esempi: baciare o toccare con la mano le immagini considerate sacre, le reliquie e gli oggetti sacri; partecipare a pellegrinaggi e alle processioni, compiere tratti di strada o percorsi a piedi scalzi o in ginocchio; dare offerte in denaro, porgere doni votivi, accendere ceri; inginocchiarsi e prostrarsi; portare medaglie e insegne. Queste espressioni di fede si tramandano da secoli,  sono manifestazioni di religiosità popolare.

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Re:Credere nel trascendente
« Risposta #9 il: Luglio 06, 2016, 07:13:51 »
Le manifestazioni della religiosità popolare hanno radici antiche, nel periodo paleocristiano, con influenze dalla tradizione giudaica o dalla religione pagana greco-romana.

L’apostolo Paolo nella Lettera ai Galati rimprovera la loro religiosità pagana collegata alle stagioni: “Ma un tempo, per la vostra ignoranza di Dio, eravate sottomessi a divinità, che in realtà non lo sono; ora invece che avete conosciuto Dio, anzi da lui siete stati conosciuti, come potete rivolgervi di nuovo a quei deboli e miserabili elementi, ai quali di nuovo come un tempo volete servire? Voi infatti osservate giorni, mesi, stagioni e anni!  Temo per voi che io mi sia affaticato invano a vostro riguardo”. (Gal 4, 8 – 11)

La "religione rurale" veniva ed ancora viene espressa dagli incolti con orazioni, gesti rituali, invocazioni durante le arature, le semine, la maturazione dei cereali e dei frutti, l’allevamento del bestiame.

Nell’epoca paleocristiana liturgia e pietà popolare non si contrapponevano ma concorrevano in modo armonico alla celebrazione di Cristo. 

Dal IV secolo, dopo il rescritto costantiniano e gli editti di Teodosio I la Chiesa si trovò coinvolta in una nuova situazione politico-sociale e la questione del rapporto tra espressioni liturgiche ed espressioni di pietà popolare si pose in termini non solo di spontanea convergenza ma anche di consapevole adattamento e inculturazione.

Le varie Chiese locali, guidate da intenzioni evangelizzatrici e pastorali, non disdegnavano di assumere nella liturgia alcune forme cultuali pagane, capaci di commuovere e di far immaginare, anche se in modo erroneo. Comunque i vescovi e i sinodi regionali intervenivano nell’organizzazione del culto stabilendo norme, sorvegliando la correttezza dottrinale dei testi e le sequenze rituali
.
Con papa Gregorio Magno, che pontificò dal 590  al 604, si cominciò a regolamentare alcune modalità liturgiche, come le preghiere di rogazione, le stazioni della via crucis  e le litanie processionali. Lo stesso pontefice raccomandava di “Non distruggere i templi pagani, ma battezzarli con acqua benedetta, erigervi altari, collocarvi delle reliquie. Là dove si ha costume di offrire sacrifici agli idoli diabolici, permettere ai fedeli di celebrare, nella stessa data, delle feste cristiane sotto altra forma. Per esempio, il giorno della festa dei santi martiri, far erigere dai fedeli delle capanne di fronde e organizzare delle agapi. Permettendo loro certe gioie esteriori saranno più facilmente raggiungibili per loro anche quelle interiori. Non si può in questi cuori selvaggi eliminare in un sol colpo tutto il passato. Non è saltando che si supera la montagna, ma a passi lenti”. ( Epistola, 70)

I movimenti spirituali creati nel medioevo ebbero notevoli conseguenze nei rapporti tra liturgia e pietà popolare e i nuovi ordini religiosi dediti alla predicazione adottarono forme celebrative più semplici rispetto a quelle monastiche e più vicine al popolo e alle sue forme espressive.

Sia le confraternite religiose formate per scopi cultuali e caritativi sia le corporazioni laiche di arti e mestieri dettero origine ad un’attività liturgica di tipo popolare: le due istituzioni facevano costruire chiese od oratori per le loro riunioni cultuali; fra i santi sceglievano un patrono e ne celebrano la festa.

Nel Medioevo furono elaborate molte espressioni di pietà popolare e numerose sono quelle giunte fino al nostro tempo, come le sacre rappresentazioni riguardanti la natività di Gesù e la sua Passione, morte e risurrezione; le poesie religiose in lingua volgare; le forme devozionali alternative o parallele ad alcune espressioni liturgiche

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Re:Credere nel trascendente
« Risposta #10 il: Luglio 08, 2016, 11:40:58 »
Il Concilio di Trento (1545-1563), convocato per affrontare la situazione creatasi fra i cattolici con il dilagare del movimento protestante, dovette occuparsi anche delle questioni riguardanti la liturgia e la religiosità popolare, per denunciare gli errori e condannare gli abusi.
 
La Riforma cattolica favorì la creazione e la diffusione dei pii esercizi per la difesa della fede, incoraggiò lo sviluppo delle confraternite devote ai misteri della Passione di Gesù, alla vergine Maria e ai santi.

Nell’epoca dell’Illuminismo si accentuò il distacco tra la “religione dei dotti”, potenzialmente aderenti alla liturgia, e la “religione dei semplici”, o religiosità popolare, intrisa di fanatismo e superstizione.  Ma di fatto dotti e popolo erano accomunati dalle stesse pratiche religiose.

Nel XIX secolo, superata la crisi della rivoluzione francese, che nel suo intento di sradicare la fede cattolica avversò il culto cristiano, ci fu la “rinascita” della liturgia e un incremento della pietà popolare in riferimento ad eventi prodigiosi (miracoli, apparizioni) che ottennero successivamente il riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa, la creazione di santuari (esempi Madonna di Fatima, Madonna di Pompei, ecc.)  che diventarono e ancora sono  meta di pellegrinaggi.

Nel nostro tempo il rapporto tra liturgia e religiosità popolare è controllato dalle direttive impartite dalla Costituzione "Sacrosanctum Concilium", le quali sono ordinate alla ricerca di un rapporto armonico tra le due espressioni. 

La religiosità popolare permette alle persone “semplici” di  avvicinarsi spiritualmente a Dio con parole che  comprendono, invece la liturgia costringe a dire parole estranee alla loro cultura, e più che un mezzo si rivela un impedimento per la vita di preghiera. La non conoscenza del linguaggio proprio della liturgia (i segni, i simboli e i gesti rituali) impedisce a quei fedeli di capire il  significato della celebrazione eucaristica. Ciò può ingenerare in essi l’impressione di essere estranei all’azione liturgica; allora sono facilmente indotti a preferire i pii esercizi, il cui linguaggio è più conforme alla loro formazione culturale, o le particolari devozioni più rispondenti a esigenze e situazioni concrete della vita quotidiana.

La ritualità in cui si esprime la pietà popolare è recepita e accolta dal fedele, perché vi è corrispondenza tra il suo mondo culturale e il linguaggio rituale; la ritualità propria della liturgia è invece incompresa, perché i suoi moduli espressivi provengono da un mondo culturale che il fedele sente diverso e lontano.

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Re:Credere nel trascendente
« Risposta #11 il: Luglio 10, 2016, 15:16:14 »
Liturgia e pietà popolare sono due espressioni del culto cristiano, anche se non omologabili. La Chiesa cattolica non respinge la religiosità popolare con i suoi valori simbolici ed espressivi perché attira molta gente, comunque cerca di armonizzarla con la liturgia ufficiale, descritta nella Costituzione liturgica "Sacrosanctum Concilium”.

I documenti magisteriali rilevano alcuni atteggiamenti interiori e alcune virtù che la pietà popolare valorizza in modo particolare: la pazienza e la rassegnazione cristiana nelle situazioni irrimediabili; l’abbandono fiducioso in Dio; la capacità di soffrire e di percepire il senso della croce nella vita quotidiana; il desiderio sincero di piacere al Signore, di riparare le offese a Lui arrecate e di fare penitenza; il distacco dalle cose materiali; la solidarietà e l’apertura  verso gli altri. Nella pietà popolare occupano largo spazio la considerazione del mistero dell’aldilà, il desiderio di comunione con gli abitanti del cielo, la beata Vergine Maria, gli Angeli, e i Santi, e la preghiera in suffragio delle anime dei defunti.

La Chiesa mette in luce i valori della religiosità popolare, nel contempo non trascura di segnalare alcuni pericoli che possono minacciarla: l’insufficiente presenza del significato salvifico della risurrezione di  Gesù Cristo, la scarsa attenzione verso la Trinità, la poca conoscenza della Bibbia, la concezione utilitaristica di alcune forme di pietà, l’eccessivo uso di segni, gesti e formule che rischiano la superstizione, la magia. 

Soggetto importante della pietà popolare sono le confraternite e altre pie associazioni di fedeli.
Spesso le confraternite hanno, accanto al calendario liturgico, una sorta di calendario proprio, in cui sono indicate feste particolari, gli uffici, le novene, i settenari, i tridui da celebrare; i giorni penitenziali da osservare e i giorni in cui svolgere processioni e pellegrinaggi o compiere determinate opere di misericordia. Hanno pure libri devozionali propri e peculiari segni distintivi, quali scapolari, medaglie, abitini e cinture, e talora luoghi di culto proprio e propri cimiteri.
La Chiesa riconosce le confraternite e conferisce loro personalità giuridica, ne approva gli statuti e ne apprezza le finalità e l’attività cultuale. Richiede tuttavia che questa, evitando ogni forma di contrapposizione o di isolamento, sia inserita nella vita parrocchiale.

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Re:Credere nel trascendente
« Risposta #12 il: Luglio 12, 2016, 07:02:37 »
Il Medioevo fu un’epoca particolarmente feconda per lo sviluppo della devozione popolare. Per “cristianizzare” le popolazioni rurali, ma anche urbane, la Chiesa dei primi secoli accolse e reinterpretò alcuni riti pagani. Un esempio è il cosiddetto “ferragosto”, parola che deriva dalla contrazione della locuzione latina “feriae Augusti” (riposo di Augusto).

Il  16 gennaio del 27 a.C. a Roma il Senato conferì ad Ottaviano il titolo di  “Augustus”. Per ricordare l’evento Cesare Ottaviano Augusto nel 18 a.C. istituì per l’1 agosto la “feriae Augusti”, che riuniva in un unico festeggiamento alcune ricorrenze in quel mese, per esempio quella dedicata alla dea Spes (la Speranza), quella dedicata alla dea Salus, (dea della Salute); il 13 agosto c’erano i festeggiamenti in onore della dea Diana.  Oltre alle divinità romane il 12 agosto veniva onorata  nell’Urbe la dea egizia Iside; il 21 si svolgevano i Consualia in onore del dio Conso (divinità protettrice dell’agricoltura).

Le festività  pagane vennero abolite con l'editto di Tessalonica del 27 febbraio 380 emesso dall'imperatore Teodosio I,  quando il cristianesimo divenne religione di Stato e l’agostana “feriae Augustales” da antica ricorrenza laica divenne giorno liturgico dedicato all’Assunzione in cielo di Maria. La festività fu poi spostata dall’1 al 15 agosto.
 
Fu il concilio di Efeso nel 431 a  proclamare Maria "Madre di Dio", ma il primo scritto attendibile che  narra dell’assunzione di Maria Vergine in cielo, come la tradizione fino ad allora aveva tramandato oralmente, si deve al vescovo Gregorio di Tours ( 538 ca.- 594), storico e agiografo.

La cosiddetta assunzione in cielo di Maria è descritta soltanto in alcuni vangeli apocrifi, ma fu fatta propria dalla Chiesa e diffusa in Europa.

A Roma, per la festa dell’Assunta si svolgevano spettacolari processioni notturne durante le quali veniva trasportata l’antica immagine del Salvatore. Il  percorso iniziava dalla Cappella di San Lorenzo in Laterano, oggi all’interno del santuario della Scala Santa,  per arrivare fino alla basilica di Santa Maria Maggiore. L’immagine di Cristo, proclamata acheropita, cioè non dipinta da mano umana, ma secondo la tradizione dagli angeli, veniva prelevata dal papa nella sera del 14 agosto e deposta su una portantina che veniva trasportata in processione alla luce delle fiaccole. Partecipavano le corporazioni, i dignitari e tanta gente del popolo.

Dalla loro religiosità popolare deriva anche la devozione al “Sacro cuore  di Gesù”, verso la cui immagine  i cristiani cattolici  si rivolgono in adorazione. I primi impulsi alla devozione del Sacro Cuore di Gesù provengono dalla mistica tedesca Matilde di Magdeburgo (1207-1282). Nel nostro tempo sono numerose le congregazioni maschili e femminili che sono sorte in correlazione allo sviluppo del culto del Sacro Cuore.

Oltre al cuore di Gesù la Chiesa onora il “Cuore immacolato di Maria”. La contiguità delle due celebrazioni voluta come segno liturgico del mysterium.
La devozione al Cuore immacolato di Maria si è molto diffusa a seguito delle apparizioni della Madonna a Fatima, nel 1917.  E nel 1942 Pio XII consacrò la Chiesa cattolica e il genere umano al cuore immacolato di Maria.

La “vivisezione” del corpo di Gesù da parte della Chiesa continua con  la festa del “preziosissimo sangue di Cristo”, celebrata l’1 luglio.  Dal culto liturgico la venerazione del sangue di Cristo è passata alla pietà popolare con le sue numerose espressioni. Tra queste sono da ricordare: la “Corona del sangue prezioso di Cristo” (oggetto di pia meditazione), le  “sette effusioni di sangue” di Cristo ricordate nei Vangeli (il sangue versato nella circoncisione, nell’orto degli ulivi, nella flagellazione, nell’incoronazione di spine, nella salita al Monte Calvario, nella crocifissione, nel colpo inferto dalla lancia);  le “litanie del sangue di Cristo”, ispirate da passi biblici; l’”ora di adorazione al sangue prezioso di Cristo”,  con lodi e ringraziamenti per i benefici della redenzione e l’intercessione per ottenere misericordia e perdono; la “via sanguinis”, un pio esercizio che ha avuto origine in Africa: come nella “via crucis” i fedeli si spostano da un luogo all’altro davanti a delle immagini per ricordare gli avvenimenti in cui Gesù effuse il suo sangue.

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Re:Credere nel trascendente
« Risposta #13 il: Luglio 22, 2016, 09:56:17 »
L’antico culto per i martiri ed i santi è attestato dalla prima metà del secondo secolo.
 
La Chiesa venera i santi  nella liturgia e regola verso di loro le espressioni della “pietà popolare”: questa locuzione designa le diverse manifestazioni  di culto privato o comunitario che nell’ambito della fede cristiana si esprimono non con le modalità della liturgia, ma nelle forme peculiari derivanti dalla tradizione.

La celebrazione di una festa in onore di un santo o di un beato è un’espressione del culto verso di lui. Per determinare il “giorno della festa”  vengono considerati fattori storici, liturgici e culturali.

Per la Chiesa sono santi anche gli angeli, che li propone come verità di fede.

Nell’Antico Testamento il salmo 103  ci dice che gli angeli sono messaggeri di Dio, esecutori dei suoi comandi e del suo disegno salvifico.
La Chiesa celebra la memoria degli angeli in determinati giorni dell’anno liturgico, per esempio,  il 29 settembre quella degli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, il 2 ottobre quella degli angeli custodi.

Nel tempo i fedeli hanno tradotto in espressioni di pietà i convincimenti della fede riguardo al ministero degli angeli: li hanno assunti come patroni di città e protettori di corporazioni; in loro onore hanno innalzato celebri santuari come Mont-Saint-Michel in Normandia, san Michele della Chiusa in Piemonte e san Michele al Gargano in Puglia, e stabilito giorni festivi; hanno composto inni e pii esercizi. L'espressione pio esercizio indica le preghiere o gli atti di devozione che hanno rilevanza per i fedeli  ma non per la liturgia. La Chiesa non interviene per regolarle con testi e tempi. Sono pii esercizi: l’adorazione eucaristica, il Rosario, la Via Crucis e la Via Lucis, i sette venerdì in onore del Sacro cuore di Gesù, i 13 venerdì a san Francesco di Paola, ecc..

In particolare la religiosità popolare ha sviluppato la devozione all’angelo custode.

Il vescovo e teologo greco Basilio vissuto nel IV secolo insegnava che ogni fedele ha al proprio fianco un angelo come protettore.
Anche il monaco ed abate francese Bernardo di Chiaravalle (1090 – 1153) fu un promotore per la devozione popolare verso l’angelo custode. Bernardo  dice che gli angeli quando sono al servizio degli uomini, non si distaccano da Dio, ma continuano a contemplarlo.

Bernardo accetta la divisione gerarchica in nove cori secondo l’elenco stilato  dallo Pseudo Dionigi che poi è stato inserito nella tradizione anche occidentale latina dal pontefice Gregorio I, detto Magno, vissuto dal 540 al 604.  Egli ha accolto questa divisione ma dando ad ognuno un significato e la suddivisione per ordine gerarchico.

L’ordine più basso comprende gli angeli, gli arcangeli e le virtù.

Gli angeli sono spiriti assegnati ad ogni uomo per assistere coloro che devono ereditare la vita eterna.  Ognuno di noi  ha un angelo accanto a sé perché possiamo meritare la salvezza.

Gli arcangeli sono iniziati ai misteri divini e sono inviati agli individui solo per missioni  di eccezionale importanza, come Gabriele per l’annuncio dell’incarnazione del Verbo (il concepimento di Gesù)  a Maria.

Gli angeli virtuosi,  Virtù, intervengono con segni prodigiosi.

L’ordine centrale è composto dalle potestà, principati e dominazioni.

Le potestà sono  capaci di annientare le potenze infernali.

I principati fondano e sorvegliano i diversi poteri laici per il buon andamento della vita pubblica.

Le  dominazioni sono degli intermediari, comunicano i voleri divini agli altri cori angelici subalterni perché li eseguano. 
 
Al grado più alto, al primo ordine vicino a Dio ci sono i troni, e fra loro troneggia assiso Dio, come giudice supremo. Essi sono angeli che sostengono la gloria di Dio.

Dopo i Troni vengono  i cherubini oranti, che hanno una particolare luce divina e contemplano la verità di Dio. Conoscono i suoi desideri, i suoi progetti per l’umanità. Accanto ai cherubini ci sono i serafini  ardenti dell’amore divino.

il culto cattolico agli angeli è stato incoraggiato dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, che, nel Direttorio su pietà popolare e liturgia del 2002, riguardo alla devozione cattolica ai “Santi Angeli di Dio” afferma, al N°217, che “la pietà popolare verso i Santi Angeli è legittima e salutare”.

Molta gente ha ancora bisogno di credere in simili sciocchezze e la Chiesa approfitta della credulità popolare per fare proseliti.
Dal Medioevo nulla è cambiato !

Tra le preghiere all’Angelo Custode è particolarmente diffusa l’orazione “Angelo di Dio”, che accompagna pure la recita dell’Angelus Domini.
 

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Re:Credere nel trascendente
« Risposta #14 il: Luglio 24, 2016, 00:13:28 »
La devozione popolare ama condurre in processione in alcune strade dei centri abitati la statua del santo patrono, oppure della Madonna, del Cristo morto, ecc.

Il sostantivo femminile “processione” deriva dal latino “processionis”, che significa procedere, avanzare. 

La processione religiosa è una cerimonia liturgica, un omaggio di devozione popolare verso la divinità o un simbolo considerato sacro. Si trasporta immagini divine o simboli sacri in un itinerario previsto e con un corteo ordinato secondo  un cerimoniale: regole e consuetudini da applicare durante le cerimonie, sia pubbliche che private.

La processione può avere uno scopo espiatorio, propiziatorio, di gratitudine ed anche onorario. Viene formata da ecclesiastici,  fedeli ed  autorità cittadine che sfilano in corto  dietro il simulacro del santo patrono o di altra divinità in un determinato  percorso, di solito tra due chiese. Durante la processione i fedeli pregano, cantano inni religiosi, recitano parti di salmi, dicono litanie. Se possibile,  con l’apporto di strumenti musicali o l’accompagnamento della banda musicale.

L’usanza della processione è antica. Veniva svolta in Egitto, in Grecia, e in epoca romana.  Dopo il riconoscimento del cristianesimo  come culto ammesso da parte dell'imperatore Costantino I nel 313, , cominciarono a svolgersi liberamente le processioni cristiane, che ebbero ulteriore impulso dopo che l’imperatore  Teodosio I proibì i culti pagani.

La Riforma protestante soppresse le processioni in onore della Madonna e dei santi ed anche le processioni eucaristiche (come quella in occasioni del Corpus Domini). Mentre alcune correnti del protestantesimo come i calvinisti non approvano alcun tipo di processione, gli anglicani, i metodisti e alcune chiese luterane effettuano una processione con la Croce il Venerdì Santo in ricordo della Passione di Gesù.