Sui giornali compaiono deplorazioni nei confronti di chi diffonde le proprie poesie in Internet.
Il giornalista, scrittore e poeta Roberto Cotroneo ha scritto un articolo titolato: “Con Internet ci stimiamo un po’ troppo. Siamo sommersi da una marea di poeti improvvisati che si credono grandi. Una distorsione causata ed esasperata dalla rete”, pubblicato sulla pagina 24 del settimanale “Sette” del Corriere della Sera del 24 aprile 2015.
“Il mondo attorno ad Albert Einstein è pieno di citazioni e frasi che probabilmente lui non ha mai detto. Tra le più famose c’è questa: ‘Non avrete capito fino in fondo una teoria se non sarete in grado di spiegarla a vostra nonna’. E’ molto suggestiva, forse con un duro impegno si potrebbe riuscire a spiegare la relatività ristretta alla nonna, magari anche un po’ sorda. Ma diventa assai più difficile raccontarle la fisica quantistica. Da un po’ di tempo ricevo molte mail, di spam, dove vengo invitato a partecipare a concorsi di poesia via web e più generalmente a premi letterari. Probabilmente navigo troppo in siti di letteratura. Mi sono così incuriosito che sono andato a cercare blog di poesia e di critica letteraria e ho scoperto che oggi in Italia abbiamo circa tre milioni di poeti. Il dato è incerto, ovvio, ma somma all’incirca poesie e autori che bloggano i loro versi, che pubblicano con piccoli editori a pagamento o direttamente su Amazon, che continuano a postare sui social i loro componimenti. Tre milioni di poeti sono tanti, anche se i componimenti per la maggior parte sono molto semplici, elementari, raccontano lo stupore, le emozioni, l’amore naturalmente, il fiorire di una pianta, il sorriso di un bambino, e tutto quello che in generale definiamo poetico. E che naturalmente poetico non è. Sono in versi liberi. Niente endecasillabi o settenari. Sono fondamentalmente pagine private dove si raccontano le proprie passioni, il proprio stare al mondo andando a capo un po’ più spesso del solito. Ma leggendo queste poesie mi sono chiesto: riuscirebbero questi poeti improvvisati, questi appassionati di germogli e di tramonti, di carezze e di mari in tempesta a spiegare Silvia Plath o Sandro Penna alla loro nonna ? Non la loro poesia, che spiegano benissimo nelle biografie che aggiungono a margine nei siti dove pubblicano. Ma le poesie dei grandi per capire come scrivere poi versi per se stessi. Non credo si pongano il problema. Ed è un peccato”. I motivi li hanno capiti due signori che insegnano alla Cornell University, e che si chiamano David Dunning e Justin Kruger. Hanno elaborato niente di meno che l’Effetto Dunning-Kruger. Si trata di una distorsione cognitiva a causa della quale individui inesperti tendono a sopravvalutarsi, giudicando a torto le proprie abilità come superiori alla media. Lo chiamano effetto perché non si può considerare certamente una teoria. Il punto è questo perché ci sopravvalutiamo ? E portando il ragionamento nel mondo dei poeti online: perché tutta questa valanga di versi senza cuore e amore e senza qualità ? Dunning e Kruger hanno provato a elaborare la risposta nel 1999 quando il web era agli albori. E le distorsioni erano minime. Oggi l’effetto Dunning-Kruger andrebbe certamente aggiornato.
Il teorema di Thomas. E’ il web che esaspera questa distorsione. La rete, come tutti la chiamano, si comporta come fosse una vera e propria rete fisica. Tiene tutto assieme, compatta ogni cosa e impedisce di cadere. Un altro sociologo, William Thomas della scuola di Chicago, nel 1928 elaborò il teorema di Thomas. Con questo enunciato: ‘Se gli uomini definiscono reali le situazioni esse saranno reali nelle loro conseguenze’. Bene, il teorema di Thomas unito all’effetto di Dunning-Kruger sono il nucleo, il carburante atomico, che rende questa distorsione cognitiva una malattia sociale. Se posso diventare un poeta nel web (ma anche un critico, un giornalista, uno scrittore, un fotografo, un manager, uno startapper, un allenatore di calcio) è perché la rete rafforza questa mia percezione. Per cui se tutto questo è reale, come dice il teorema di Thomas, le conseguenze saranno reali. E la realtà sarà questa: avremo milioni di poeti che non sapranno spiegare Montale alla nonna, e tantomeno ai propri figli. Ma stipati e protetti, stretti stretti, nelle maglie del web e dei social, si elogeranno, spesso senza leggersi, a vicenda. E faranno nuovi adepti. Con buona pace di tutti”.
Il 26 aprile 2015 sul sito della scrittura online “Rosebud” all’articolo di Cotroneo ha risposto la signora Rina Brundu per dire: “Non so chi sia questo autore (Roberto Cotroneo) e non intendo googlarlo per verificarne i claims-to-glory, ricordo solo che in altra occasione ebbi a confutarne il fine cogitare (non intendo neppure ricercare il motivo della prima confutazione su questo stesso sito, time is money!). Com’è come non è, dopo un incipit che cita a mo’ di cammeo la fisica quantistica, materia che ci è molto cara al cuore e che meriterebbe un dato rispetto (così come lo meriterebbe l’Einstein un po’ restìo ai misteri delle particole subatomiche), scrive Cotroneo: “Da un po’ di tempo ricevo molte email, di spam, dove vengo invitato a partecipare a concorsi di poesia via web e più generalmente a premi letterari. Mi sono così incuriosito che sono andato a cercare blog di poesia e di critica letteraria e ho scoperto che oggi in Italia abbiamo circa tre milioni di poeti…. (…)… Tre milioni di poeti sono tanti, anche se i componimenti per la maggior parte sono molto semplici….”.
Mi fermo qui perché almeno tre domande mi si presentano pregnanti e spontanee alla mente: 1) Ma chi è che sollecita poesie e scritti letterari to-remember a Roberto Cotroneo? Che si palesi, si confessi, ci spieghi il motivo di cotanta impudenza. 2) Dove ha vissuto questo signor Cotroneo fino ad oggi? Sono vent’anni che mi occupo di argomenti letterari in Rete e garantisco che la moderna poesia digitale – con tutti i suoi limiti – è stata una delle prime forme artistiche ad approdare online, come è giusto che sia essendo la scrittura digitale la prima figlia del “mood” di cui essa stessa si nutre. 3) Sostiene, il signor Cotroneo, che la poesia digitale si risolva in componimenti tutto sommato “semplici”. Domanda: qual è la definizione di poesia di Roberto Cotroneo e quale “difficoltà” vede questo editorialista del Corriere nel datato e santificato costrutto “M’illumino di immenso”? Uno che cita Einstein dovrebbe essere comunque in grado di “viverlo” con una data serenità intellettuale, così come dovrebbe vivere con una certa tranquillità anche le metafore più complicate della poesia metafisica, o mi sbaglio?
Risparmio quindi al mio annoiato lettore l’usata tiritera retorica (tipica in verità del giornalismo e dei giornalisti d’antan, per inciso gli stessi che hanno vissuto e prosperato all’ombra della casta durante l’ultimo quarto di secolo), con cui continua e si conclude l’editoriale citato nel primo paragrafo e di cui al titolo, risparmio al lettore l’usata confusione tra il modus formalizzante di “fare poesia” dei tempi andati (si veda per tutte l’interessante opposizione Percy Bysshe Shelley (Poeta Laureato della corte di Sua Maestà) vs Mary Shelley (l’autrice di Frankestein nonché sua moglie) e la loro macro-parabola artistica), e le “necessità” di libertà dalla forma (finanche dalle tematiche ben definite) del poetare digitale che nel giusto tempo produrrà i suoi grandi autori e i suoi grandi poeti; risparmio al lettore la solita sconsolante tirata sulla somma che non farebbe il totale e sulla poesia che avrebbe validità solo quando “consacrata” dall’editore noto (almeno questa è la morale che io ho ricavato dalla lettura del breve scritto in questione), come se vivessimo ancora i giorni del Bardo, mentre le necessità e i profondi dolori dell’anima fossero un altro uditorio qualsiasi da modellare e ammaestrare secondo canoni strutturati a monte; risparmio al mio lettore distratto la curiosa equazione “artistica” che si legge tra le righe e suo malgrado assimila il canto dello spirito che è il fare poesia, alle necessità del giornalismo asservito, e più in generale dell’editoria italica tuttora determinata a vivere di marchette televisive e giornalistiche compiacenti e agiografiche sprecate a piene mani per libri che non hanno nè arte né parte.
Last but not least, non so quali siti-dedicati abbia visitato il dottor Cotroneo prima della stesura del suo ultimo pezzo, ma sono pronta a scommettere che non sia stato molto fortunato in questo suo viaggio-ideale, non si spiegherebbe altrimenti l’obsoleta filippica. Per quanto mi riguarda posso dire che la mia esperienza digitale è stata molto diversa, anche se ritengo che i poeti digitali veramente degni di questo nome siano molti di meno dei “tre milioni” indicati da Roberto Cotroneo. In realtà è stato solo in Rete che ho incontrato alcune tra le anime poetiche che più hanno toccato l’essenza del mio spirito colpevolmente moderno. Ne deriva che non cesserò mai di ringraziare i ricercatori del CERN, geniali “poeti” del protocollo web – per avermi permesso di ammirare, per esempio, l’arte sublime del calabrese Vincenzo Guarna, un’arte che non vive tra le pagine degli attuali sussidiari scolastici, i quali potrebbero essere le sole fonti “autorevoli” capaci di determinare la beatificazione estetica ricercata dal dottor Cotroneo, ma che non per questo ne risulta minimamente sminuita.
Il resto sono dettagli, scriveva Einstein. Sic.
P.S – Preciso infine che l’articolo meriterebbe altra confutazione anche sulla psicologia spicciola citata e applicata alle cose della creatività nell’web – sebbene supportata dal solito nome e dalla solita teoria straniera di grido (si fa per dire), ma la questione esula dal punto che volevo fare con questo commento. Certamente, prima si passerà (anche sul format cartaceo in via di esalare l’ultimo respiro) ad una nuova modalità di fare giornalismo impegnato, dove questo termine sia sinonimo di know-how tecnico piuttosto che costrutto sartriano snervato, meglio sarà.