Autore Topic: I piaceri del pessimismo  (Letto 916 volte)

Doxa

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I piaceri del pessimismo
« il: Gennaio 22, 2018, 23:07:14 »
Il pessimismo ci libera dal dovere della felicità.

Il “pessimismo cosmico” di Giacomo Leopardi: “Io era spaventato nel trovarmi in mezzo al nulla, un nulla io medesimo. Io mi sentiva come soffocare considerando e sentendo che tutto è nulla, solido nulla” (dallo “Zibaldone”).
 
Leopardi osservava: “… quel piacere che l’animo prova nel considerare e rappresentarsi non solo vivamente, ma minutamente, intimamente, e pienamente la sua disgrazia, i suoi mali; nell’esagerarli, anche a se stesso, se può (che se può, certo lo fa), nel riconoscere, o nel figurarsi, ma certo persuadersi e procurare con ogni sforzo di persuadersi fermamente, ch’essi sono eccessivi, senza fine, senza limiti, senza rimedio né impedimento né compenso né consolazione veruna possibile, senza alcuna circostanza che li alleggerisca; nel vedere insomma e sentire vivacemente che la sua sventura è propriamente immensa e perfetta  e quanta può essere per tutte le parti, e precluso e ben serrato ogni adito o alla speranza o alla consolazione qualunque, in maniera che l’uomo resti propriamente solo colla sua sventura…”.

L’infelicità emerge come conseguenza di circostanze avverse.

Il filosofo romeno Emil Cioran scrisse: “Il solo modo di sopportare un disastro dopo l’altro è amare l’idea stessa di disastro. Se ci riusciamo, niente più soprese: siamo superiori a tutto quel che accade, siamo vittime invincibili”.
 
Vittime invincibili ! Ecco un curioso ottimismo celato nel pessimismo. Non tutti i pessimisti hanno la stessa vocazione per la comicità stravagante.

Ancora un aforisma di Cioran: “A differenza di Giobbe non ho maledetto il giorno della mia nascita; gli altri giorni, in compenso, li ho coperti tutti di anatemi”.

1.   Or poserai per sempre,
2.   stanco mio cor. Perì l’inganno estremo
3.   ch’eterno io mi credei. Perì. Ben sento
4.   in noi di cari inganni,
5.   non che la speme, il desiderio è spento.
6.   Posa per sempre. Assai
7.   palpitasti. Non val cosa nessuna
8.   i moti tuoi, né di sospiri è degna
9.   la terra. Amaro e noia
10.   la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
11.   T’acqueta omai. Dispera
12.   l’ultima volta. Al gener nostro il fato
13.   non donò che il morire . Omai disprezza
14.   te, la natura, il brutto
15.   poter che, ascoso, a comun danno impera,
16.   e l’infinita vanità del tutto.
(Giacomo Leopardi: “A se stesso”)

Platino

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Re:I piaceri del pessimismo
« Risposta #1 il: Marzo 02, 2018, 20:50:52 »
Non credo, che come fatto da tanti altri, sia possibile chiudere il Leopardi in questi (imposti) confini. Ognuno dovrebbe leggerlo, capirlo a sua misura, non di altri. Non a caso Giacomo, è sempre tra i primi amati autori italiani, anche dalle nuove generazioni, anche da quelli che lo leggono sull'i-pod, sul tablet o lo smartphone, anche trovandolo al solito girando, random. Permettetemi l'espressione inglese, ma potrei dire senza meta o target, la normalità di oggi, reale espressione di pessimismo. "Sempre caro mi fu quest'ermo colle... " , appunto.
« Ultima modifica: Marzo 03, 2018, 13:32:59 da Platino »

piccolofi

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Re:I piaceri del pessimismo
« Risposta #2 il: Marzo 31, 2018, 18:30:19 »
 Non so quanto si possa generalizzare quel piacere che Leopardi ci descrive acutamente, e che è il piacere, più che del pessimismo, dell'introspezione ed auto-contemplazione commiseratoria.
Leopardi certo ha saputo descriverla perché l'ha provata, ed è una sorta di auto-amore di chi, sommamente solo, si circonda da solo la spalla, come potrebbe fare un amico, dicendosi : " Quanto sei disgraziato, poveretto, come si è accanita con te la sorte! "
E come ci sentiamo minimamente sollevati da questa sorta di empatia con-dolente che ci fa essere perlomeno protagonisti e degni di attenzione nel dolore, così si espande il nostro animo anche nell'autocommiserarci : da qui il piacere nel contemplare ed anche gonfiare le nostre difficoltà e disgrazie.
Leopardi parla all'animo di tanti, in tutte le epoche.  Ognuno di noi è un filtro e dunque le stesse parole, le stesse righe, possono produrre sensazioni e riflessioni diverse. Ma quello che importa, secondo me, è la capacità tipica del poeta vero, del pensatore che ha dei contenuti, di essere come un ispiratore, uno che getta semi, che lascia una traccia.
Ecco perché certe persone meravigliose del passato parlano ancora oggi, e lo faranno anche nel futuro.
Nonostante l'infinita vanità del tutto... rimangono, immortali.
Fino a quando qualcuno sarà come un terreno fertile per i semi gettati nel passato.. chi li ha gettati godrà di quel tipo di immortalità che si può permettere l'uomo : umile immortalità, eppure vera.

Platino

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Re:I piaceri del pessimismo
« Risposta #3 il: Aprile 01, 2018, 16:51:38 »
Piccolofi, un'intervento davvero piacevole e sostanzioso. Condivido questa tua descrizione del Leopardi, del suo attraversare tempi e mode, seppur nel suo pensiero non sempre compreso, da ognuno.