Le idee non si pagano
«Le idee non si pagano, che siamo matti? pensi che io, col lavoro che faccio, debba dare il pizzo all’architetto che m’ha messo sulla strada giusta? ha avuto ragione, chi lo nega, ma i soldi li ho messi io, io ho rischiato e ho vinto». «Ma senza di lui i soldi rimanevano in banca, o un’altra strada avrebbero preso, questo è innegabile, e non si sarebbero moltiplicati». «Ma se ci mettiamo a pagare le idee dove finiamo? che vogliamo metterci il copirait su ogni stronzata ci esce dalla bocca?», «su ogni, no. Ma su quelle bone …».
Quella discussione con l’amico e socio di una vita l’aveva innervosito, non riusciva a raccapezzarcisi: da una parte si sentiva dal giusto, da un’altra non trascurava la sua contraddizione. Non aveva fatto anch’egli affari intuendo una crepa nel sistema, che la giusta zeppa poteva allargare a sufficienza per passarvi comodamente in mezzo? ma l’idea era stata sua, suo l’istinto e, soprattutto, suoi i soldi che avevano allargato la crepa bastevolmente. Tutto tornava, ma in quell’altra faccenna la cosa era più complicata: dove mettere la zeppa del suo potere finanziario gliel’aveva indicato un altro. Certo, quello, non aveva rischiato niente di suo, e il suo contributo era tutto nell’aver alzato un dito e indicato il punto preciso, nient’altro. Quanto vale quel gesto? qualcosa in mezzo tra il niente e il tutto. Ma comunque, in ogni caso, sarebbe stata elargizione riconoscente, magnanimità: nessun diritto, nulla a pretendere, nessun copirait, insomma.
Non amava i pensatori, gli “uomini d’ingegno”, come se noi fossimo stupidi, quelli che si fanno vanto di aver studiato, capaci di mettere du parole in fila in grado di abbindolarti. Li guardava dall’alto in basso, conscio di quanto poco potessero da soli, anzi nulla potessero, e albergassero ai piedi della so mensa, a raccogliere le briciole. Utili manovali all’abbisogna, da accogliere a giornata, meglio a prestazione, che raccoglievano quelle briciole di carta moneta tutti sorridenti, prima di andarsene scodinzolando, increduli di come, con poco sforzo, fossero riusciti a mettere insieme un pranzo e due cene. Lui aveva studiato ben più di loro, in mezzo alle strade sterrate, nei cantieri, per una vita. Rubando con gli occhi, fin da bambino, dai più grandi, dal suo mentore e dai suoi collaboratori. La laurea sel’era presa su quelle palanche, traversate su due bidoni, altro che. E nessuno poteva fargli abbassare lo sguardo, perché era pari, se non superiore, a qualunque “dottore”, con la sua laurea all’università della vita.
Se pagava quell’architetto quanto avrebbe dovuto dare a suo nipote che l’aveva aiutato, dopo che la segretaria era già andata via, a spedire la mail con la risposta a quel preventivo? Qual è il valore di quei due clik? E un sorriso? una parola gentile? quanto valgono? son cose preziose, ma senza valore. Lui paga il lavoro ben fatto, non le idee, non siamo a Holliwood.
Il libro remunera l’autore, ma il libro è un oggetto, è solido, occupa spazio, è logico abbia un valore. Così un disco. Uguale un film, al cinema o in DVD. Ai concerti, e a tutto ciò che oggi chiamano eventi, non andava: perché pagare per qualcuno che si agita su un palco? che mi rimane poi? chi lo chiamava effimero non aveva tutti i torti. Non si paga per l’effimero, come per le idee, ecco come la pensava. Non si paga per il software, si scarica, così la musica e i film. È giusto siano gratis, per tutti. Alla faccia di tutti quegli spot sulla pirateria che è furto; ne subiamo tanti noi di furti che stiamo solo riprendendoci quanto ci hanno tolto.
L’economia è quello che produce beni materiali, beni durevoli: soldi in cambio di beni. Per questo non aveva mai capito la finanza, la borsa, le azioni. Le banche sì, le capiva, anche i soldi hanno un prezzo. Prendi soldi in prestito, paghi la tua mercé, si capisce. Ma le azioni che salgono, che scendono secondo l’umore, le speculazioni di ignoti magnati della finanza non le capiva e se ne era tenuto, sempre, doverosamente, alla larga.
Ma in fondo al cuore cominciava a sentire che questa logica stringente, su cui aveva basato la propria vita, aveva qualche incrinatura. Ed era proprio la storia di quell’architetto ad aver assunto ruolo emblematico. Quanto valeva quel dito alzato ad indicare?