Autore Topic: Servus  (Letto 1186 volte)

Doxa

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Servus
« il: Novembre 22, 2015, 00:07:00 »
“La condizione dei servi è miserabile perché è contro natura in quanto “la natura li ha generali liberi, ma la sorte li ha fatti servi. Il servo è costretto a patire e non si ammette che nessuno ne abbia compassione, lo si costringe a soffrire e non si permette a nessuno di soffrire con lui”.

Però, anche quella del padrone, in rapporto a quella dei servi, è una condizione umana miserabile: “se egli è crudele, i servi, depravati, come sono, lo rispettano e lo temono, se è clemente è disprezzato dai suoi sottoposti, che si fanno sfacciati. Il timore, perciò, affligge chi è severo, il disprezzo degrada il mansueto, infatti la crudeltà partorisce l'odio e la confidenza il disprezzo”.


Quanto sopra è nei capitoli 16 e 17  del primo libro nel volume titolato: “De contemptu mundi sive de miseria humane conditionis”, più noto in seguito con l’abbreviato titolo: “De contemptu mundi” (= “Il disprezzo del mondo”),  scritto  nel 1191 da  Lotario, della nobile famiglia Conti,  di Segni, un paese nella provincia di Roma. Egli visse dal  1161 – 1216. Fu eletto al soglio pontificio nel 1198 col nome di Innocenzo III, che indisse la IV  crociata in Oriente ed una crociata in Francia contro i Catari o Albigesi,  preludio della legittimazione dell’Inquisizione nel 1233: l’eresia doveva essere punita per il bene spirituale dell’individuo ma soprattutto per la conservazione della Chiesa cattolica. Nel 1199 emanò la bolla papale “Vergentis in senium” con la quale equiparava l’eresia al reato di lesa maestà. Nel novembre del 1215 convocò il IV concilio lateranense (il dodicesimo concilio ecumenico), che emanò settanta decreti di riforma. Tra questi venne definitivamente dichiarata la superiorità della Chiesa rispetto a qualunque altro potere secolare, quale unica depositaria della grazia divina ed esclusiva mediatrice tra Dio e gli uomini.

Lotario scrisse  varî trattati teologico-ascetici, tra cui, come suddetto,  il “De contemptu mundi” che redasse quand’era cardinale. In quest’opera letteraria che suscita angoscia e disperazione, attenuate dalla speranza nella salvezza eterna, ci sono citazioni bibliche che propongono riflessioni impietose sulla condizione umana.

Il testo è diviso  in tre tomi, secondo  l’evoluzione dell’età. 

Nel primo libro, titolato “De miserabili humane conditionis ingressu” ((= “Lo sventurato ingresso nella condizione umana”),  Lotario nei 31 capitoli descrive la miseria della condizione umana dal momento  della nascita alla morte.

Nel secondo libro: “De culpabili humane conditionis progressu”  (= “Il colpevole sviluppo della condizione umana”) in 43 capitoli espone con intento etico la classificazione dei sette vizi capitali. Lotario passa in rassegna i “beni”  ai quali di solito gli individui aspirano nella loro vita terrena (le  ricchezze che portano alla malvagità, il sapere che porta al  dolore, il potere e gli onori che portano alle vanità, i piaceri che portano alle indecenze) e mostra come la ricerca di questi beni terreni induca inevitabilmente ai vari peccati capitali di cui  l’uomo è l’unico artefice e colpevole.
 
Il terzo libro “De damnabili humane conditionis egressu” (=La condannabile uscita dalla condizione umana), in 17 capitoli descrive la fine del mondo (l’Apocalisse), il momento della morte e le pene  infernali.  “Dove andranno a finire vi sarà pianto e stridore di denti, gemiti e lamenti, ululati e tormenti, stridore e grida, timore e tremore, dolore e pena, ardore e fetore, oscurità ed ansia, durezza ed asprezza, sciagure e miseria, angoscia e mestizia, oblio e confusione, torcimenti e punture, amarezza e terrore, fame e sete, freddo e calura, zolfo e fuoco ardente nei secoli dei secoli”. (cap. 24) Ecco le fandonie che dicevano nel medioevo i preti e la gerarchia vaticana.  Le diverse sofferenze elencate sembrano resoconti da parte di clerici che erano stati nell’oltretomba ed erano tornati per raccontare. E’ roba da matti. Penso con compassione a quella povera gente intimorita. Perciò plaudo al tempo in cui viviamo, con la Chiesa emarginata per sua stessa colpa.   

Doxa

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Re:Servus
« Risposta #1 il: Novembre 23, 2015, 00:04:09 »
Ecco un’altra opinione angosciante e disperante di Lotario nel volume  “De contemptu mundi” (= “Il disprezzo del mondo”), citato nel precedente post:  “l'uomo è nato per la pena, il timore e il dolore e, ciò che è più miserevole, per la morte”. Perciò “egli commette azioni vane per cui trascura ciò che è serio, utile e necessario. Diventerà nutrimento del fuoco che sempre arde e brucerà senza mai estinguersi; alimento del verme che sempre rode e divora senza mai fine; ammasso di putredine che sempre puzza e che orrendamente è sozza”. 

Nel primo libro (De miserabili humane conditionis ingressu) Lotario descrive  la miseria della condizione umana dal momento in cui il neonato percepisce la luce del mondo. Tale miseria esistenziale trae la sua origine dal fatto che:  “Duplice è la colpa che il concepimento comporta, una sta nel seme, l'altra in ciò che da questo seme nasce; la prima viene commessa e la seconda viene contratta. I genitori, infatti, commettono la prima colpa, la prole la seconda. Chi, infatti, non sa che il coito, anche se coniugale, non può mai verificarsi senza il prurito della carne, senza l'ardore della libidine e senza il fetore della lussuria? Per questo i semi concepiti insozzano, si macchiano, si corrompono, onde l'anima in questi infusa, contrae la tabe del peccato, la macchia delle colpe, la sozzura dell'iniquità” (cap. 14).

Lotario spiega che Adamo fu procreato da terra vergine invece l’uomo da seme umano proveniente da un immondo peccato. L’uomo infatti è concepito «in molte iniquità e nei peccati di sua madre». Sin dal concepimento ereditiamo una duplice colpa: la prima sta nel peccato che  accompagna l’emissione del seme e la seconda ci viene trasmessa. I nostri genitori ci hanno dato la vita mentre erano avvolti dal peccato: “L’uomo viene concepito dal sangue putrefatto per l’ardore della libidine”.

L’implacabile concetto di giustizia di Lotario sembra ignorare il perdono di Dio. Essendo l’individuo corrotto fin dalla nascita non può salvarsi durante la sua esistenza in quanto egli eredita una duplice colpa: la propria e quella dei genitori, i quali gli hanno dato la vita mentre erano storditi e avvolti dal “fetor luxuriae”.

Nel secondo libro Lotario dice che il vizio della lussuria corrompe, crea disordine, perturba vecchi e giovani, uomini e donne senza distinzione: prudenti e semplici, superiori ed inferiori, anche gli stessi sacerdoti che di notte abbracciano Venere e di mattina onorano la Vergine Maria e offrono sull’altare sacro il corpo di Gesù.

Non vi è cosa più difficile della castità, ammette Lotario.  Bisogna combattere l’angelo Satana che induce gli uomini in tentazione perché  stimola la carne usando le armi della bellezza. Gli uomini cadono nel peccato perché vedono e desiderano possedere. Il miglior modo per non bruciare di libidine è unirsi in matrimonio. Ma la miseria del marito si manifesta con i molti problemi che causano i figli, la moglie, i servi e le ancelle. E se poi la moglie è gelosa delle altre donne se sono meglio vestite di lei, se hanno oggetti preziosi che lei non ha, comincia ad odiare il marito. Quindi il marito è costretto ad amar tutto ciò che la moglie ama e odiar tutto ciò che lei odia.... Se il marito la lascia la spinge al tradimento, e questo è sbagliato perché non bisogna commettere adulterio.

Lotario  elenca poi i falsi beni che di solito gli uomini aspirano nella loro vita terrena: le  ricchezze che portano alla malvagità, il sapere che porta al  dolore, il potere e gli onori che portano alle vanità, i piaceri che portano alle indecenze.  “La concupiscenza della carne appartiene ai piaceri, quella degli occhi alle ricchezze, la superbia della vita agli onori. Le ricchezze generano appetiti e avidità, i piaceri partoriscono la gola e la lussuria, gli onori allevano la superbia e l'ostentazione”. (cap. 22)

Nel XV capitolo spiega la miseria del povero e del ricco: i poveri vengono disprezzati, la loro condizione è miserabile; un esempio è la condizione del mendicante che se mendica è pieno di vergogna e se non mendica è consumato dalla povertà. Quindi Lotario conclude che è meglio morire che essere povero e cita il poeta latino Ovidio (“Tristia” I, IX, 5 – 6) per sostenere che  “Fin quando sarai felice avrai molti amici, ma quando i tempi si faranno bui (nell’avversa fortuna) rimarrai solo”. Quindi è facile avere degli amici nella buona sorte, mentre nelle avversità si rimane in solitudine.

Doxa

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Re:Servus
« Risposta #2 il: Novembre 24, 2015, 00:02:12 »
Questo topic l’ho titolato “Servus” perché nell’incipit del primo post ho scritto: La condizione dei servi è miserabile perché è contro natura…“. Avrei voluto continuare l’argomento scrivendo nel secondo post di questo topic su alcuni aspetti della schiavitù in epoca romana, ma ho preferito dedicarlo ancora a ciò che scrisse il cardinale Lotario di Segni riguardo ai sette peccati capitali, in particolare la lussuria.

Dopo la digressione torno nel tema.

In lingua latina schiavo si diceva  “servus” oppure “ancillus”. Il titolare del diritto di proprietà sullo schiavo era detto dominus.  Per questi soggetti nel tempo furono promulgate alcune leggi che regolavano la schiavitù,  e  furono anche oggetto di ”senatoconsulto”: in latino senatus-consultum, è una deliberazione del  senato dell’antica Roma per casi specifici.   

Nell’epoca augustea il senato su proposta dei consoli ed in  accordo col principe, emanava decisioni normative, come  il senatoconsulto Silaniano del 10 d.C., durante il principato di Cesare Ottaviano Augusto.

Il predetto senatoconsulto è detto “Silaniano” dal nome del console Gaio Giunio Silano, uno dei due consoli in carica quell’anno; l’altro console era Publio Cornelio Dolabella il Giovane, che  fra l’altro fece costruire a Roma l’arco di Dolabella, (parziale sostituzione della Porta Celimontana nelle mura urbiche), sulla collina del Celio, uno degli storici sette colli di Roma.
 
Secondo questo senatoconsulto in caso di assassinio di un dominus nella propria casa i servi che gli appartenevano dovevano essere torturati  o puniti col supplizio se omettevano di soccorrere il loro padrone.

In quel tempo lo schiavo era considerato solo come una  res, una “cosa vivente”, uno "strumento” di lavoro, e non poteva permettersi di minacciare il dominus.
 
Fu il timore della servile violenza sovvertitrice a motivare  l’emanazione del provvedimento Silaniano. Dalla sua applicazione derivava la tranquillità non solo per il dominus ma anche per i domini, cioè per gli abitanti liberi della domus.

Un altro interessante senatusconsultum  fu quello Claudianum del 52 d.C., promulgato su proposta dell’imperatore Claudio : se una donna libera dell’ambito familiare  del padrone di casa aveva rapporti sessuali con uno schiavo (servus) di cui non era proprietaria, veniva diffidata (denuntiatio) per tre volte dal dominus.  Se la relazione illecita persisteva la donna perdeva il proprio status libertatis, di donna libera,  e automaticamente diventava  anche lei schiava del dominus, il quale poteva acquisire anche i beni della donna. Scopo della disposizione non era la moralità femminile, ma la necessità di tutelare l’interesse patrimoniale del dominus. Il coito con uno schiavo che non apparteneva alla donna costituiva la lesione di un diritto altrui del quale la donna non aveva la titolarità. Poiché nel diritto romano i figli illegittimi assumevano la condizione della madre al momento della loro nascita, se la donna con la quale lo schiavo intratteneva rapporti non era una schiava, i figli nati da tale relazione non diventavano schiavi e, dunque, non entravano a far parte del patrimonio del dominus, cosa che invece poteva accadere qualora lo schiavo avesse dei figli da un'altra schiava.

In epoca successiva per evitare abusi cadde l’automatismo della riduzione in schiavitù della donna che intratteneva rapporti con uno schiavo che non le apparteneva.  Divenne necessaria l’autorizzazione dell’autorità competente, secondo quanto disposto da  una legge dell’imperatore Valentiniano I del 365.