E’ tutta questione di orizzonte. L’anima ritrova se stessa quando ha di fronte un orizzonte immenso.
La città dove vivo si affaccia sul mare; si potrebbe arguire che offra un interminabile blu. Invece quando vai sul lungomare, da qualsiasi pontile ti affacci, il blu si ferma presto. Troppo presto. Maledetto stretto di Messina: solo illusione di uno sguardo libero. Tre chilometri separano la costa calabrese da quella siciliana; nelle giornate dal cielo terso ti sembra di scorgere i tetti delle case della riva opposta. La Sicilia ti appare come una sterminata sequenza di colline; piccoli punti di luce dorata e d’argento si accendono al crepuscolo. Non fraintendetemi, chissene del blu marino che si rispecchia nel violetto del tramonto! Qualcuno fermo sul lungomare di Reggio riterrà la vista dello stretto un magnifico spettacolo, ma io non mi faccio incantare! Sono stufa marcia: non ne posso più di vivere in un posto dove la gente ha una mentalità chiusa - un orizzonte limitato in testa che si traduce in un qualunquismo senza speranza, in una grettezza d’animo – quella di chi non cerca neppure di capire ciò che pensa.
Che c’è di male se ho deciso di fare la carriera militare?
- Che assurdità! – mia madre e mio padre per la prima volta in vita loro erano d’accordo tra loro. Non sapevo se mettermi a ridere o fanculizzarli subito tutti e due. Sia chiaro, ora ci rido sopra, ma a diciott’anni una ragazza che voglia pensare con la sua testa non ha la vita facile in una città chiusa come Reggio Calabria.
I miei genitori è un po’ che sono una tiritera continua: mi dovrei trovare un fidanzato e smetterla di avere la parete della stanza tappezzata di poster con elicotteri militari e tute mimetiche da marines.
So bene cosa pensano di me: ritengono che la loro benamata figlioletta Adriana non sia normale; sperano che presto lascerò perdere queste “fantasie da adolescente” – le chiamano così - e che comincerò a pensare a cose giuste per una ragazza della mia età. Si ostinano a tirarmi dietro perle di saggezza:
- Sei così brava a scuola, non puoi pensare davvero alla carriera militare!
- Ti devi iscrivere all’università di giurisprudenza come ti ha consigliato Giorgio.
Giorgio è un amico dei miei. Un vecchio panzone stempiato che si fa il figo solo perché è un avvocato azzeccagarbugli. E in questa cittadina di merda di ingarbugli non ne mancano mai: la gente è litigiosa perché si sentono tutti importanti. Il motto dei calabresi è “Se non ma vanti tu, ma vanto ieo!” che tradotto significa… No, non sto neppure a scriverlo: caro diario, ti meriti di meglio!
Devo vestirmi per uscire. Metto i miei soliti stivali di cuoio, leggins e mantella scozzese verde marrone. In piazza mi aspetta Gaetana. Poverina, che nome del cazzo! Appunto un nome così te lo affibbiano solo in una città come Reggio.
- Allora sei proprio decisa ad andare via? – lecca il suo gelato. Siamo di fronte alla gelateria Cesare, seduta su una panchina. E’ la migliore gelateria e questa sera potrebbe essere un’altra da passare insieme. Alle nostre spalle si ergono alberi secolari di ficus; hanno foglie lucide che tremano sospinte dal vento freddo di novembre.
- Domani presento la domanda in Accademia – a queste parole gli occhi neri di Gaetana si fanno più grandi. Con tono indifferente stempero – non credo che mi prenderanno.
- E’ inutile che dici così… – lei ha smesso di leccare, vengono giù rivoli di crema bianca e nera sul cono.
- Guarda che ti sporchi! – provo a dirle e lei si tocca gli occhi. In effetti si capisce che è pronta a piangere. Una lacrima le ha già stinto la matita. Mi verrebbe da dire “prima intendevo il gelato” e invece prendo dalla borsa un fazzoletto di carta. Lei non lo prende. Si alza e va a gettare il meraviglioso cono di Cesare in un cestino alla nostra destra. Poi resta di fronte a me. La faccia gonfia. Una brezza di vento freddo la induce a mettersi con le braccia conserte.
Dall’altro lato del marciapiedi – la strada in mezzo – un ragazzetto ci guarda. Ci spia. Non è la prima volta. Un viso rosso di brufoli e capelli unti che per sfogare la sua infelice esistenza cerca di rubare l’immagine di un calore altrui. Lo ignoro e cerco lo sguardo di Gaetana:
- Vieni qua! –
Un solo passo di tacchi, poi mi guarda e di fronte alle mie braccia aperte è tentata di tuffarsi dentro. Si pulisce una lacrima col dorso di una mano spalmando l’ombretto dappertutto.
- Mi ero fatta bella per te – singhiozza.
Mi avvicino a lei, ma è un attimo. Si mette a correre. Fugge via. Dall’altro lato della strada lo spione se la ride. In una mano stringe un panzerotto alla crema; l’altra mano è affogata dentro una tasca dei pantaloni. Non bado a lui e lascio che mia amica - più che amica - corra via con la sua tristezza.
Che posso farci? Quando sono indecisa so che è meglio così: mi defilo. Abbandono il ring. In amore come nella vita. E’ tempo per me di cambiamenti. Gaetana – quattro mesi insieme - era già “presa” da me che invece desidero solo andare via. Lontano da questa cittadina con un orizzonte limitato; solo tre chilometri, poi il blu s’infrange nel nero delle coste messinese. Mi affaccio dalla balaustra di fronte al mare. Le onde spumeggianti di un bianco smorto si muovono senza senso. E’ un ondeggiare che non porta da nessuna parte. Un rimbalzare da una costa all’altra. Io sogno una vita diversa. C’è aria di cambiamento. Mi alzo dritta e fiera. Con una mano mi lego i capelli. Presto li taglierò. Sono lunghi e non vanno bene.
A Reggio un vento non smette di soffiare interminabile quasi ogni giorno dell’anno. A novembre – oggi – è proprio freddo, anzi gelido. “Addio Gaetana”, ripenso ai piccoli momenti insieme. Ai nostri sogni di farfalle rosse.
A piccoli passi mi dirigo a casa pensierosa. Ancora pochi giorni, poi dirò addio anche a questa ridicola città.
FINE