E lei ballava senza nemmeno accorgersi di chi c'era lì in mezzo, gente comune affaccendata e intrattenuta in quel salone grande e il pavimento di granito rosso.
E lei sapeva che non la stavano a guardare, doveva muoversi come se fosse automa avvolta dalla sua gonna a ruota con bordi d'oro e maniche di pizzo.
E la sua musica l'accompagnava in mezzo a quel frastuono di bicchieri e chiacchere di poco conto. E si sentì osservata, due occhi verdi e scarpe lucide in mezzo a tante altre.
Silenzio. Pausa. Si fermò nel corpo, la mente inseguì pensieri, lo sguardo corse a cercare lui senza trovarlo. In mezzo a quel salone, chiusa nella sua maschera.
La musica ricominciò e lei sentì il suo volto ed il respiro in mezzo ai suoi capelli e corse via lontano da quel luogo dritta verso la terrazza dai gelsomini rosa. Una rarità. E lì il freddo della sera, la gente in sottofondo, nitrito di cavalli e scalpitio di ghiaia. Attese e poi di scatto si voltò, terrorizzata guardò quel volto strano, deforme ed insensato e quel suo corpo magnifico senza una sbavatura. Perché quello strano scherzo la vita aveva creato? Perché così crudele il cuore di una madre? Allora chiuse gli occhi e si lasciò trasportare da quella mano forte, decisa e senza un graffio, in mezzo alla ferita di quel cuore, e nel dolore suo seppe sentire, e nel dirupo suo sentì precipitare quella sua discesa senza fondo.