La ronda
Il Sergente Garibaldi insieme ai suoi compagni di ronda raggiungeva i sei metri di altezza, messi per largo quasi altri sei. Una ronda da fare paura a vederla, in realtà erano solo ragazzi un poco gasati dalla loro gioventù e da quella sintonia che si trova solo tra militari di leva.
Di solito passavano dal porto divertendosi a mettere paura ai marinai di primo pelo, a volte si infilavano in un cinema e non sortivano più; spesso gironzolavano intorno alla stazione per dare noia a trans, ma quando un giorno si trovarono accerchiati da maschioni veri e propri in numero maggiore di tre, pensarono che era meglio smettere.
Scelsero allora altre strade , che tra il porto, la stazione e la caserma erano inevitabilmente piene di prostitute.
La ronda era giovane, ma di sani principi, mai avrebbe approfittato del suo ruolo per ricevere favori mentre era in divisa, ma in borghese sì, perché no, la gioventù richiede certi sforzi se non certe usanze.
I ragazzi della ronda, Garibaldi, Capuozzo e Minghi parlavano delle loro prodezze sessuali, esagerando se non proprio inventando ed una sera che erano in libera uscita e un poco bevuti decisero un raid nelle famose stradine.
In giro quella sera c’erano poche ragazze, forse perché il libeccio divideva in due persino l’anima per il freddo, ma loro ormai si erano lanciati nell’avventura e non intendevano ritirarsi. In realtà nessuno di loro tre era mai stato con le donnine, finora non ne avevano avuto la necessità. In cuor loro ognuno rimuginava sul fatto che trovavano la cosa abbastanza imbarazzante, pericolosa per via dell’A.I.D.S. e per nulla divertente, ma non sapevano come fare a fare marcia indietro senza sembrare stupidi.
Alla fine trovarono una biondina che in un angolo quasi buio si riparava dal vento dietro un muro.
Dopo i primi approcci scherzosi, che servivano più che altro per farsi coraggio, riuscirono a contrattare con la ragazza un prezzo ragionevole, insomma adatto a militari.
Lei davanti, loro dietro, camminarono per dieci minuti mentre il vento strappava loro i capelli, sino ad un portoncino di una casa vicino al porto. Una lunga scala da mozzafiato portava al pianerottolo della stanza da lavoro della biondina.
Entrarono e già la loro presenza riempiva il piccolo soggiorno. La ragazza li fece accomodare e come una donnina ospitale chiese se volevano un poco di caffè per scaldarsi. Loro accettarono, rimandando così il fatidico e reale approccio, sentendosi ridicoli come tre orchi in una casa di bambole.
Si accorsero che le mancava un dente davanti, che era magra come una scopa sciupata e i capelli stopposi la rendevano solo patetica. Però cercava di essere carina e gentile.
Tendine a fiori alle finestre, piccole stampe alle pareti, un vaso di fiori finti sul tavolo con una tovaglia di pizzo di plastica cercavano di appagare la desiderio di “casa”.
Mentre prendevano il caffè videro su un mobile la foto di una bambinella di circa tre anni e chiesero se era la figlia.
Al che la ragazza con gli occhi luminosi iniziò a parlare della sua bambina, e con occhi non più luminosi dei suoi problemi finanziari, del lavoro perso, del disgraziato che l’aveva messa in cinta, era una settimana che lavorava troppo poco e il pappone …..
I tre ragazzi capirono che non raccontava balle, era la pura verità: la storia di un destino sbagliato.
Dentro di loro si formò un nodo di commozione, bastò uno sguardo e tutti e tre seppero che cosa dovevano fare.
“Garibaldi si è fatto tardi, se non torniamo in caserma in tempo, ci tocca lavare i cessi per una settimana, sarà meglio andare!”
La ragazza li guardava imbambolata, vedeva i ragazzi andare via e non poteva farci nulla, avrebbe dovuto ritornare sulla strada e aspettare ancora e ancora e ancora.
“Capuozzo, e che non ce lo so? Quello stronzo del sergente aspetta solo di mandarci in punizione.
Senti- rivolto alla ragazza- il caffè è stato davvero buono, ma è meglio che ce ne andiamo. Naturalmente ti diamo quello che si è promesso, il tempo te lo abbiamo fatto perdere lo stesso, sei una ragazza simpatica, sai?”
Mise sul tavolo tutti i soldi che aveva in tasca, sperando che lei non dicesse nulla e soprattutto che non si rendesse conto della pena che aveva suscitato.
Capuozzo e Minghi fecero altrettanto, anzi, Minghi ci lasciò pure le sigarette, di più non poteva fare.
La biondina non disse nulla, se non un semplice “ Grazie, venite a trovarmi quando volete.”
La ronda uscì incontro al libeccio, senza dire una parola per non sembrare stupidi romantici che vanno a donne e pagano per non fare nulla.
In cuor loro però sapevano che era giusto così e ricordando quel dente mancante sentivano che era un vero inno alla tristezza.
Arrivarono davanti alla caserma e finalmente Garibaldi disse ciò che c’era da dire.”Ragazzi che merda è il mondo!”