Autore Topic: Amare il prossimo come se stessi  (Letto 193 volte)

presenza

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Amare il prossimo come se stessi
« il: Gennaio 16, 2014, 11:36:56 »
Se si ha fame, si mangia, non per amore di Dio,
ma perché si ha fame.
Se uno sconosciuto prostrato ai bordi della strada ha fame,
bisogna dargli da mangiare, anche se non ne avesse abbastanza per sé,
non per amore di Dio, ma perché ha fame.
Questo significa amare il prossimo come se stessi.
Dare “per Dio”, amare l’altro “per Dio”, “in Dio”,
non significa amarlo come se stessi.
(Simone Weil - Quaderni IV 155)

presenza

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Re:Amare il prossimo come se stessi
« Risposta #1 il: Gennaio 16, 2014, 18:23:16 »
Amare il prossimo come se stessi significa che se naturalmente si vuole per se stessi la felicità e non il dolore, non è per amore di Dio che lo desideriamo, ma perché è naturale. E se uno sconosciuto ha questa sensazione naturale, bisogna condividere, non per amore di Dio, ma perché è naturale. Se abbiamo il diritto di essere sereni e liberarci dalla sofferenza, non è per amore di Dio, ma perché è un diritto, e se uno straniero è infelice e soffre ha il diritto di essere anch'egli sereno e lo dobbiamo aiutare, non per amore di Dio, ma perché è un suo diritto.

Simone Weill in 34 anni ha vissuto soffrendo e nel contempo si è resa incurante della sua stessa sofferenza, è andata oltre i limiti senza fermarsi se non solo di fronte alla morte. Una vita di esperienza, la sua, che l'ha portata a vivere le condizioni prima di poterne parlare.
Dio era dentro di lei, lo sentiva senza bisogno di intermediari, senza Chiesa o istituzioni ormai piene dei peggiori difetti umani.
Operaia per scelta, donna di valore, attuale nella politica:

“La conclusione è che l’istituzione dei partiti sembra proprio costituire un male senza mezze misure. Sono nocivi nel principio, e dal punto di vista pratico lo sono i loro effetti. La soppressione dei partiti costituirebbe un bene quasi allo stato puro. E’ perfettamente legittima nel principio e non pare poter produrre , a livello pratico, che effetti positivi.”
Brano tratto da Il manifesto per la soppressione dei diritti politici.

Sentire per vivere, è questo che emoziona!

Doxa

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Re:Amare il prossimo come se stessi
« Risposta #2 il: Gennaio 22, 2014, 10:18:20 »
Angelo Panebianco: Troppe ipocrisie sugli immigrati
(Corriere della Sera, 13 gennaio 2014)

La richiesta di Matteo Renzi di inserire la riforma della Bossi-Fini fra i temi del contratto di governo, al di là delle motivazioni del neosegretario del Pd, potrebbe essere una occasione da cogliere per dare basi più razionali alla nostra politica dell’immigrazione. Dobbiamo solo limitarci a tamponare e contenere i flussi migratori o abbiamo bisogno di interventi più attivi e, soprattutto, più selettivi? Una domanda che diventa possibile se ci si lascia alle spalle le ambiguità e le ipocrisie che hanno fin qui dominato il campo. Le ambiguità dipendono dal fatto che sembriamo incapaci, a causa di certe sovrastrutture ideologiche, di decidere una volta per tutte a quale criterio appendere la politica dell’immigrazione: la convenienza oppure l’accoglienza (il dovere di accogliere i meno fortunati di noi)? Troppo spesso i due criteri vengono mescolati, l’immigrazione viene giustificata alla luce di entrambi. Se non che, si tratta di criteri fra loro in contraddizione. Ne deriva l’impossibilità di formulare proposte coerenti.

Le ragioni della convenienza sono note: abbiamo bisogno di contrastare l’invecchiamento della popolazione, abbiamo bisogno - almeno se la ripresa economica, come si spera, prima o poi arriverà - di forza lavoro aggiuntiva e di nuovi consumatori. Ma a queste ragioni, ispirate alla convenienza, ne vengono sovente aggiunte altre di diversa natura, di ordine umanitario (le ragioni dell’accoglienza). I piani si confondono rendendo impossibile fare scelte razionali. L’appello all’accoglienza ha una chiara origine ideologica, nasce dalla confusione, propria di certi cattolici (ma non tutti), e anche di un bel po’ di laici, fra la missione della Chiesa e i compiti degli Stati. È la confusione fra il messaggio evangelico e la politica, fra l’universalismo della Chiesa, che parla a tutti gli uomini, e l’inevitabile particolarismo dello Stato che risponde a un insieme definito di contribuenti.

L’accoglienza non può essere il criterio ispiratore di una seria politica statale. Perché si scontra con l’ineludibile problema della «scarsità »: quanti se ne possono accogliere? Qual è il tetto massimo? Quante risorse possiamo mettere a disposizione dell’accoglienza se la vogliamo decente? A chi e a quali altri compiti toglieremo queste risorse?
L’unico criterio su cui è possibile fondare una politica razionale dell’immigrazione, per quanto arido o «meschino» possa apparire a coloro che non apprezzano l’etica della responsabilità, è dunque quello della convenienza , della nostra convenienza . Una volta adottato con franchezza ci consente di porci il problema - che altri Stati si sono già posti - di come selezionare gli immigrati. È evidente che se usiamo il criterio dell’accoglienza non possiamo selezionare. Invece, possiamo, e dobbiamo, farlo alla luce delle convenienze. Di quali immigrati abbiamo bisogno? Con quali caratteristiche, con quali eventuali competenze? Oggi il problema forse non si pone data l’elevata disoccupazione intellettuale giovanile (che resta grave, anche facendo la tara alle statistiche ufficiali che, fraudolentemente, imbarcano fra i disoccupati anche gli studenti).
Però, domani potremmo avere bisogno di importare mano d’opera qualificata, per esempio in settori tecnici lasciati sguarniti dai nostri giovani. In quel caso, una politica dell’immigrazione lungimirante cercherebbe di attirare quel tipo di mano d’opera a scapito di altri tipi. Considerando inoltre che un Paese economicamente avanzato non può permettersi di importare troppa mano d’opera non qualificata. Oltre una certa soglia, non può assorbirla nei mercati legali, finendo così per favorire quelli illegali, gestiti dalla criminalità. Un effetto collaterale di una politica ispirata alla convenienza è che faremmo star bene anche gli immigrati che accogliamo.

E poi ci sono altre considerazioni che dovrebbero entrare nelle valutazioni di chi decide la politica dell’immigrazione. Per esempio, certi gruppi, provenienti da certi Paesi, dovrebbero essere privilegiati rispetto ad altri gruppi, provenienti da altri Paesi, se si constata che gli immigrati del primo tipo possono essere integrati più facilmente di quelli del secondo tipo. È possibile che convenga favorire l’immigrazione dal mondo cristiano-ortodosso a scapito, al di là di certe soglie, e tenuto conto del divario nei tassi di natalità, di quella proveniente dal mondo islamico. Quanto meno, questo dovrebbe essere un legittimo tema di discussione.

Una politica realistica, fondata sulla convenienza, si dovrebbe insomma porre problemi di scelta, di selezione (da monitorare e rivedere nel tempo, alla luce dell’esperienza). Non si tratta di inventare nulla. Altri Paesi hanno già imboccato questa strada.

Il giorno dopo la pubblicazione di questo articolo dei mascalzoni hanno minacciato il noto docente universitario nell’ateneo di Bologna.   E lo scorso 15 gennaio scorso il giornalista Francesco Alberti ha scritto sul Corriere della Sera:
Fischi e scritte davanti all’ufficio di Panebianco «Fuori i razzisti»

Gli hanno dato appuntamento tramite i social network e ieri a mezzogiorno si sono presentati nel cortile della facoltà di Scienze politiche dell’Alma Mater in Strada Maggiore 45. In una trentina, a volto scoperto, armati di bombolette spray, fischietti, megafono, un fumogeno e due barattoli di vernice rossa che dovevano simboleggiare, nelle loro intenzioni, «il sangue dei migranti».

Angelo Panebianco, 65 anni, ordinario di scienza politica nell’università bolognese, politologo, editorialista del «Corriere della Sera», li ha visti, è sceso in cortile e sperava in un confronto. Sapeva che il motivo di quella (fino a quel momento) colorata e rumorosa invasione era un suo articolo scritto lunedì sulla prima pagina del quotidiano di via Solferino dal titolo «Troppe ipocrisie sugli immigrati» dove si proponeva un approccio diverso al tema dell’immigrazione attraverso una regolamentazione dei flussi che favorisse la manodopera specializzata e una maggiore apertura al mondo cattolico-ortodosso rispetto a quello islamico. Sapeva che il tema è per molti tabù eppure, come ha scritto concludendo l’editoriale, «quanto meno, dovrebbe essere un legittimo tema di discussione». Si sbagliava. Quella trentina di ragazzi del collettivo universitario Hobo, non collegato ad alcun centro sociale, già protagonista di occupazioni, tutto avevano intenzione di fare meno che di discutere. Il professore non ha avuto il tempo di aprire bocca che è stato sommerso da una valanga di fischi e insulti («Panebianco fai schifo», «Via i razzisti dall’università»). E quando il docente si è avvicinato al gruppo («Assurdo darmi del razzista»), uno dei ragazzi ha tentato di appendergli al collo, senza riuscirci, un cartello con frasi offensive. Un gruppo di studenti è poi salito al secondo piano, dove c’è l’ufficio del docente, imbrattando porta e muri con scritte del tipo «Panebianco cuore nero», «Le consegniamo noi un foglio di via». L?episodio, che ricorda quello del novembre 2012 quando un gruppo di studenti fece irruzione all’Alma Mater durante un consiglio d?amministrazione poggiando un cartello sotto la gola del rettore Ivano Dionigi (che ieri ha telefonato al docente per esprimergli solidarietà), avrà strascichi penali: gli attivisti sono noti alla Digos e per loro sono in arrivo denunce per imbrattamento di edificio e altre ipotesi di reato.

Solidarietà a Panebianco dai parlamentari bolognesi del Pd («Anche nel dissenso occorre rispettare le persone»), dalla Lega («Le parole del docente hanno rotto un muro di omertà»), da Pier Ferdinando Casini («Indegna intimidazione») e da Fratelli d?Italia («Pseudostudenti con vocazione distruttiva»), oltre che dal sottosegretario all?istruzione, Gian Luca Galletti: «Vergognoso l?atteggiamento del collettivo».