Oggi, 17 gennaio, si commemora Sant’Antonio abate, considerato il protettore degli animali domestici.
A questo asceta ed anacoreta egiziano era collegato l’Ordine religioso dei Canonici regolari di Sant'Antonio di Vienne, che curavano le persone affette da ergotismo, nome che deriva da "Ergot", un ascomiceta (fungo patogeno) parassita delle graminacee che contiene alcaloidi velenosi e causa gravi effetti a persone ed animali. Questi alcaloidi sono vasocostrittori e compromettono la circolazione sanguigna, interagiscono con il sistema nervoso centrale e colpiscono i recettori della serotonina.
L'ergotismo era spesso fatale, ed aveva sempre effetti devastanti sulle comunità che ne erano colpite. Questo morbo poteva causare convulsioni, cancrena agli arti, le allucinazioni, e la gente credeva che fosse opera del demonio.
La leggenda narra verso l’anno mille il nobile francese, Jocelin de Chateau Neuf, prima di tornare in Francia da un pellegrinaggio in Terra Santa andò a Costantinopoli (l’attuale Istanbul) e in quella città dall’imperatore romano d’Oriente ebbe in dono le reliquie di Sant’Antonio abate. La parola abate deriva dal latino ecclesiastico “abbas”, e questo dall’aramaico “abba” che significa “padre”, parola inizialmente utilizzata in Siria ed in Egitto come titolo onorifico attribuito ad ogni monaco anziano d’età o noto per la sua santità. A tale titolo onorifico in origine non era collegato l’esercizio di alcuna autorità sulla comunità religiosa, perciò Antonio non fu un abate come lo intendiamo noi, ma un capo spirituale. Dall’Oriente poi il lemma abba arrivò in Occidente e venne usato per designare il superiore di un’abbazia o di un monastero. Comunque l’ eremita Antonio, vissuto nel IV secolo, è considerato il fondatore del monachesimo cristiano e il primo “abate”, perché motivò altri eremiti nella Tebaide alla costituzione di comunità monastiche guidate da un padre spirituale, abbà,
Le reliquie di questo santo portate in Francia da Jocelin de Chateau Neuf vennero custodite a La Motte St. Didier attuale Saint-Antoine-l’Abbaye, vicino a Vienne. Qui nel 1095 fu costituita una comunità laicale con fini ospedalieri, a seguito del voto fatto da un nobile di nome Gastone per aver ricevuto la grazia della guarigione del figlio dall’ergotismo. Assieme al figlio e ad altri cinque nobili formò il primo nucleo. Nel 1297 papa Bonifacio VIII, con la bolla “Ad apostolicae dignitatis” elevò al rango di Ordine l'antica compagine ospedaliera che seguiva la regola di S. Agostino, nacque così l'Ordine ospedaliero dei canonici regolari di S. Agostino di S. Antonio abate di Vienne, detto comunemente degli Antoniani Viennois, che erano infermieri e frati laici di tipo monastico-militare. Il loro Ordine religioso si espanse in Europa e oltre. In Italia costruirono ospedali lungo la via francigena con i proventi delle questue.
La fama del santo che da eremita sconfisse le tentazioni sataniche ed il "fuoco della lussuria", si diffuse come guaritore anche delle malattie della pelle.
L'afflusso di denaro che proveniva dalla vendita delle false reliquie collegate a questo taumaturgo fece nascere forti contrasti nell'ambito di quell'Ordine ospedaliero, col risultato di avere i resti di due corpi interi di Sant'Antonio abate, uno è a Saint-Antoine l'Abbaye, vicino Lione e l'altro ad Arles. La Chiesa ha rinunciato ad esprimersi su quale dei due sia quello autentico.
I Canonici regolari di Sant'Antonio di Vienne furono anche detti cavalieri del "fuoco sacro", perché curavano pure l’herpes zoster, conosciuto nel medioevo col nome di “fuoco di Sant’Antonio”. Essi allevavano i maiali per produrre anche il grasso che usavano insieme ad altri medicinali per lenire “il fuoco di Sant'Antonio”. I maiali erano nutriti a spese della comunità e circolavano liberamente con al collo una campanella, perciò le statue che rappresentano sant’Antonio abate lo raffigurano con vicino ai piedi un maialino, a volte con la campanella al collo, ed altri simboli a lui collegati, come il bastone pastorale, la campana e la croce a T, simbolo del Tau.
In numerose località italiane il 17 gennaio ancora persiste la tradizione di accendere i “falò di s. Antonio”, che evocano una funzione purificatrice e fecondatrice, come i fuochi che nel passato simboleggiavano il passaggio dall’inverno alla imminente primavera.