E' l'ordine delle cose tutte, o forse il disordine per chi comune mortale si aspetta che qualcosa si avveri come il disegno che ha in testa. Lui se lo aspettava quel disegno, per questo lo chiamava il disordine, perché ancora ciò che voleva non era accaduto e forse mancava del tempo. Tempo, sempre quello, non lo voleva più, quand'è che sarebbe venuto il momento, quello di una rivalsa su chi non ci credeva, su chi pensava che non ne sarebbe stato capace, su tutto quell'inizio dentro al quale lui voleva mettere fine. E poi che cosa avrebbe fatto, quando sarebbe arrivata quella fine all'improvviso? Se la sarebbe goduta, nel corpo e nell'anima, questo desiderava fermamente.
Già era mezzogiorno, aveva stappato una bottiglia di vino rosso come il sangue, quello che avrebbe voluto vedere scorrere a fiumi da quel corpo vuoto, sì, quello della sua donna che lo aveva lasciato senza una parola. Doveva pagare, lei, così bionda e fredda, senza il suo calore sembrava una statua tutte le volte che guardandola aspettava quel momento. Dopo aver bevuto si disse allora questo è il momento, era venuto finalmente, l'ordine delle cose, quello che lui voleva dare, senza che la vita ci mettesse il suo zampino. Lei sarebbe uscita dall'ufficio alle tre del pomeriggio, lì in quella piazza grande dove c'era la sua banca, sarebbe stato troppo rischioso accoltellarla, troppa gente e troppi poliziotti amici suoi. No, aveva stabilito un piano, doveva morire in un luogo isolato e sola con negli occhi lo sguardo di lui che la guardava mentre finiva i giorni e le speranze. Le parole, ormai ne aveva abbastanza delle sue, di quando per pietà le aveva chiesto una spiegazione e lei gli aveva detto solo e soltanto non ti amo più. Che voleva dire quella frase inutile ed insulsa, le aveva dedicato gli anni migliori, per lei aveva rinunciato alle trasferte, sarebbe potuto diventare il miglior direttore e invece era tornato a Bologna solo per il suo bel volto. Quella casa che avevano voluto, che lei aveva voluto ad ogni costo gli era costato comprarla e ristrutturarla, ora ci viveva da sola, la signora, e lui come una cane dentro una soffitta chiamata mansarda, con un affitto da capogiro e quattro mobili comprati a rate. Nemmeno un oggetto si era portato di suo, voleva tutto e lei doveva andarsene, doveva uscire definitivamente e senza dignità. Quanti gioielli le aveva regalato per rivestirla di vanità. Lei se ne andava in giro con le amiche, e lui soffriva in un angolo come una scarpa vecchia che non serve più e non ha un'anima. Dieci gli anni trascorsi insieme, e poi che cosa era successo, perché era finito per lei e non per lui? E gli anni successivi a chiedersi come fare per riconquistarla, mentre lei non lo voleva più. Invece lui sperava, ancora avrebbe voluto lottare per quel loro amore, per quella loro vita insieme, non potevano vivere da separati, non sarebbe stato giusto.
Così con quella testa tutta piena di pensieri e del suo progetto, uscì dall' appartamento. Aveva con sè un coltello, uno di quelli che usava per pulire il pesce e poi affettarlo, lo aveva comprato apposta perché ad entrambi piaceva il sushi, e gli amici nel tempo avevano potuto apprezzare le loro preparazioni, erano diventati esperti entrambi in poco tempo. Subito guardando quel coltello gli venne in mente una valanga di ricordi e il suo sorriso, dio quanto lo amava ancora adesso con la sua rabbia in corpo, era così bella quando sorrideva, aveva denti bianchi e perfetti. Per un attimo rimase come incantato a ricordare, a metà tra la porta d'ingresso e il pianerottolo, poi si decise ad andare e non si voltò più a guardare indietro. Quel giorno Bologna era sotto l'acqua forte, fece fatica a posteggiare senza che la sua auto desse nell'occhio, poi seduto dentro l'abitacolo aspettò con pazienza senza nemmeno un pensiero, senza un ricordo, solo presente in quel momento e con il suo coltello. Doveva chiudere ad ogni costo il suo cerchio con tutto quello che c'era dentro. Gli occhi bruciavano per il vino che aveva bevuto, e la fatica di tenerli fissi a quella porta scorrevole all'altro capo della strada. Guardò per l'ennesima volta l'orologio, sembrava che le lancette avessero arbitrariamente deciso di rallentare il passo, tanto gli sembrò lungo quel tempo lì in attesa. Finalmente cominciò a vedere gente, i colleghi salutarsi, qualcuno attardarsi davanti all'ingresso, di lei ancora niente.
Ad un tratto il cuore fece un balzo, eccola, sicura con i suoi tacchi alti. Lui scese allora dalla macchina senza nemmeno pensare e cominciò a seguirla senza esitare. Sì, lei andava dritta per quella stradina come da programma e una volta lì l'avrebbe prima chiamata. Invece fu lei a girarsi sentendo quei suoi passi pesanti, appena furono uno di fronte all'altra lui sentì venire meno il coraggio, l'amava troppo per non lasciarla andare. Così lasciò cadere dalle mani quel coltello e cominciò a piangere senza fermarsi. Lei non disse nulla, era gelata dalla paura, rimase ferma lì fino a guardarlo andare via senza la sua dignità addosso. Lui se ne andò sì, e per sempre, nemmeno a se stesso rivelò i luoghi dove andare per vagare o rimanere. Lui senza un futuro, e con tutto il suo passato addosso come un cappotto troppo stretto da indossare.