In una di queste notti estive mentre guardavo verso il cielo è echeggiata nella mia mente una proposizione attribuita allo scrittore tedesco
Johann Wolfgang von Goethe (1749 – 1832):
“Notte silente, il deserto è in ascolto di Dio. E la stella parla alla stella.” Queste parole mi hanno evocato l’idilio “
La sera del dì di festa”, composto nell’estate del 1820 dal poeta e scrittore
Giacomo Leopardi (1798 – 1837). La poesia inizia con la descrizione dell’ameno paesaggio notturno illuminato dalla luna. La contemplazione sembra protesa verso il trascendente, invece nei versi successivi Leopardi torna all’immanente perché volge il suo pensiero alla donna amata, che è indifferente alle sue sofferenze d’amore. Inoltre, considera l’infelicità impostagli dalla
Natura: "A te la speme | Nego, mi disse, anche la speme; e d'altro | Non brillino gli occhi tuoi se non di pianto" (vv. 14-16):
"Dolce e chiara è la notte e senza vento,
e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
posa la luna, e di lontan rivela
serena ogni montagna. O donna mia,
già tace ogni sentiero, e pei balconi
rara traluce la notturna lampa:
tu dormi, che t'accolse agevol sonno
nelle tue chete stanze; e non ti morde
cura nessuna; e già non sai nè pensi
quanta piaga m'apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
appare in vista, a salutar m'affaccio,
e l'antica natura onnipossente,
che mi fece all'affanno. A te la speme
nego, mi disse, anche la speme; e d'altro
non brillin gli occhi tuoi se non di pianto….”La notte silente immaginata da Goethe mi fa anche pensare al mitologico
dio Arpocrate, considerato dagli antichi Greci e Romani la personificazione del silenzio. Venne denominato
Harpechrat dai Greci ed
Harpŏcrătēs dai Latini. Deriva dall’egiziano dio Horus, figlio di Iside ed Osiride.
La religione egiziana aveva distinto Horus giovane da Horus fanciullo. Questo veniva rappresentato nell’iconografia egizia come un bambino con un ciuffo di capelli sulla testa rasa e con il dito indice della mano destra sulle labbra, ma di questo gesto col tempo si perse l’originario significato e, secondo lo scrittore e filosofo greco
Plutarco, fu sostituito da quello di simbolo del silenzio, in relazione ai misteri inerenti le religioni.
Nell’iconografia greco- romana Arpocrate fu rappresentato in diverse varianti.
(bronzetto che rappresenta Arpocrate; II secolo d.C.)