Anno 110 dopo Cristo,
nei pressi del lago Trasimeno.
ITALIA CENTRALE
Il grande generale romano Caio Claudio ha dato le ultime disposizioni ai suoi luogotenenti. E’ ormai sera.
Il giorno seguente, all’alba, in quel piccolo e insignificante lembo di terra si farà la storia: un grande e cruciale scontro, dal cui esito dipendono le sorti del suo imperium ma anche quelle del Senato, e forse della Patria.
Sfolgorante nella sua armatura, il valoroso condottiero vaga inquieto lungo il bordo limaccioso del lago. Nelle vicinanze, un povero villico tutto stracci e rattoppi sta piantando dei fagioli.
Il rude soldato gli si avvicina, controlla che non vi siano orecchie ostili e gli si siede accanto. Comincia allora a parlargli, così, per sfogarsi, come certe volte si fa con gli inferiori di grado, certi di non essere né capiti né tanto meno giudicati.
Il generale parlò per ore. Di battaglie vinte e di battaglie perse, di riserve di grano promesse e mai ottenute, di intrighi di palazzo, di congiure a suo danno da parte del Senato e di congiure sue ai danni dei senatori, senza omettere nessuno di quei particolari che in condizioni normali lo avrebbero condotto dritto dritto davanti ad un tribunale.
“Ma vedi un po” diceva “se io, Caio Claudio, a cui la Storia non tarderà a tributare la gloria e gli onori che merito, e che i contemporanei già chiamano l’Intrepido, vedi un po' se io debbo sopportare l’arroganza e l’inettitudine di un imbecille come Trebonio, un cretino che il Senato ha messo alle mie calcagna solo per controllarmi e che non sa neanche da quale parte si impugna una spada!”.
Il contadino ascoltava, alzando di tanto in tanto la testa, ma senza smettere di lavorare.
“Ah, potessi sfogarmi liberamente davanti al Senato, così come faccio qui, con te! Potente com'è, Trebonio mi farebbe perdere il comando, ma almeno mi toglierei una soddisfazione. Io gli dico: metti alle ali i giovani”, continuava il generale, “i giovani sono veloci e non si perdono d’animo. Nelle retrovie teniamoci i veterani, più lenti ma più incisivi. Niente! Come se io parlassi con l’aria. Che mi fa quell'incapace? Mette i giovani in riserva, con quello che mangiano. Non ho ragione se dico che è un cretino? “
L'uomo fa quasi per rispondere, ma Caio è più svelto di lui:
“... E poi, chiunque ha letto i Commentari di Cesare sa che bisogna evitare di far bere i cavalli prima della battaglia, altrimenti si ingozzano e diventano lenti. E che cosa ha fatto il geniale Trebonio? Ha piazzato la cavalleria tra il boschetto di betulle e il lago. Ma è un criminale! Lascia che lo dica: così come tu fai bene a zappare invece che occuparti di politica, anche Trebonio farebbe bene a comandare un gregge di pecore e non la cavalleria romana. Ma la mia pazienza si è esaurita e ho proprio voglia di dirgliene quattro, e poco m’importa se è il fratello di questo o di quell’altro. Io debbo pensare soprattutto alle sorti del mondo, è il mondo attualmente è Roma. Accidenti come sono vile. Ma a chi le dico queste cose? A te? “disse avvilito il generale, buttando un occhio al solco appena scavato.
Il contadino lo guardò come per dire anche lui: “eh già; a chi le dici queste cose? A me?”.
“ … A te, che non sai niente né di battaglie né di cavalleria e che probabilmente neanche capisci il latino. A proposito: credo di non aver afferrato bene il tuo nome. Come hai detto che ti chiami tu, buon uomo?”
“Tàcito”, rispose il villico.