Sferrare
C'è un momento nella vita di ognuno, o forse solo di qualcuno, nel quale d'improvviso accade. E ciò soltanto dopo aver sentito le catene, quelle che stringono e lasciano i segni ai polsi e alle mani, quelle che diventano, a volte, così pesanti che si fa fatica a camminare e ci si trascina come un asino la sua zavorra. E quello è il momento, l'attimo in cui accade e senza chiedersi perché subito si sferra un colpo e si tocca la libertà.
A lei toccò il suo attimo di gloria quel pomeriggio di un giorno qualunque. Aveva fatto l'abitudine a trascinare i piedi e chi la vedeva da lontano scorgeva perfino una lieve gobba, forse quel peso, forse le catene. Se le era messe senza nemmeno accorgersene, come tanti, come tutti e andava in giro mentendo come gli altri: “tutto bene, sì tutto bene, sono felice, sei felice”. Complimenti di poco conto, frasi stampate senza verità come i sorrisi e le caramelle al limone.
Non credeva bisognasse chiedere, tutti in un volto, un'unica espressione dunque era vero, era così che si doveva fare, vivere a quel modo senza nemmeno vivere, e chiamare vita tutto per dimostrare di conoscere come una pagnotta, come la frutta su un banco al mercato. Così si fa, continua così è quotidiano il tuo continuo peso, dicevano le amiche e le presenze esterne fatte di tutto senza verità. Non si sentiva proprio, lei così ingombrante con quel suo peso portato a spasso ovunque e dove, eppure sarà vero, se questo è il vero, diceva a se stessa in un attimo di sé.
La madre, il padre, ed i fratelli tutti sì, le dicevano, continua così che sei più brava, sostieni e porta, porta soltanto e questo il compito di ognuno, non c'è lamento, non c'è sostegno, soltanto tu ed il peso di te stessa, appesantita dalle tue catene, dai ferri del mestiere, di te persona in giro per il mondo.
Andò così per anni, forse millenni per ogni anno vissuto in questo modo, e poi venne il risveglio. Quel pomeriggio, quel giorno senza tempo, sferrò il suo colpo e liberò se stessa. Un grido, un battito di cuore, e larghe braccia e piedi e mani, ed il sentire pieno e felice di lei, se stessa in fondo alla radice. E la montagna dall'alto dell'altura, è lì che andò sentendosi nel corpo la libertà dell'anima, nell'anima del vuoto. Tutto gettò, ferri e mestiere, per liberarsi e credere perfino nel dolore, per risentirsi nuova e vivere di sé, per ricongiungersi ancora nella strada del perché. Sfiorò le foglie e le cortecce d'albero, i fiori e i sassi e gli uccellini in volo, toccò la terra e s'impastò le mani, colorò il suo viso col fango e con la pioggia e nulla le impedì di essere una cosa: tutto e niente divenne in quel momento, come una cosa quando la si posa, come tanti come tutti come nessuno nemmeno particolare.
Il volo d'angelo spiccò da quell'altura, senza preoccuparsi di chi l' avrebbe presa, se stessa aveva e questo già bastava.