Non si sapeva da dove venisse, chi fosse e cosa facesse. Lei di lei sapeva d'essere una donna affermata, un avvocato addirittura, una bella casa e un'autonomia da fare invidia. Quella mattina si presentò allo studio medico di una nota ginecologa dicendole del suo ritardo di un mese. Distante, professionale e distaccata quasi il suo corpo non le appartenesse, fosse di qualcun'altra. Quando la dottoressa le comunicò la sua gravidanza, lei non seppe fare altro che buttare giù dalla scrivania tutti gli oggetti che stavano lì in ordine e uscendo dalla porta disse soltanto: “testa di cazzo tu non sai chi sono io e cosa voglio”.
Si licenziò dallo studio vedendo crescere la sua bambina dentro di lei. Andava a prendere il sole sulla terrazza del suo palazzo e un giorno si aggiunse a lei una ragazza cieca. Stava quasi per andarsene che quella udì una presenza e le diede una voce. Cominciò così il loro dialogo fatto di poche parole, e da quel dialogo con quella ragazzina la sua rabbia andò scomparendo cedendo il posto alla comprensione verso sua madre che l'aveva data in adozione appena nata.
La sua bambina no, non avrebbe fatto quella fine, la sua fine. Un giorno cominciò a sanguinare e il medico le disse che sarebbero dovuti intervenire con un cesareo, lei rispose: “la prego non mi addormenti, voglio vedere il volto della mia bambina quando nasce”.
Fu la prima e l'ultima volta che vide sua figlia, gliela poggiarono vicina per un attimo guancia a guancia e poi debole vide sfocare l'immagine e più niente. La coprirono con un lenzuolo azzurro e quella bimba senza una madre, senza sua madre, senza nessuno trovò subito una nuova madre.