UN PO' DI TEMPO FA SCRISSI QUESTA SORTA DI RECENSIONE SUCCESSIVAMENTE ALLA LETTURA DI "LA CORRIERA STRAVAGANTE" DI JOHN STEINBECK.
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PRIMA DI PARTIRE PER UN LUNGO VIAGGIO
"E se si fosse sfasciata, allora poteva piantarla lì e andarsene. Era un senso assai gradevole di libertà, quello che provava e la faccia gli sfavillava dal piacere mentre risaliva in macchina"
(John Steinbeck, 1902-1968)
Rinnegare se stessi, mollare tutto, morire ad un luogo per rinascere ad un altro, dimenticare, ricominciare: la tentazione è forte sulle strade della Callifornia, anche alla guida di una semplice quanto improbabile corriera.
Questo è lo spirito che deve aver animato lo scrittore americano John Steinbeck nel 1947 nella stesura di "The wayward bus-La corriera stravagante" e Juan Chicoy, personaggio chiave del romanzo, deve averci fantasticato innumerevoli volte traghettando, giorno dopo giorno, perfetti sconosciuti alle volte di L.A..
La giusta risoluzione interiore e ciò che un tempo premeva e tratteneva, appare improvvisamente sfocato e secondario. Bene la responsabilità, il rispetto di termini, scadenze e convenzioni.
Se però tutti si aspettano di vederti uscire dall'entrata principale, l'alternativa è sgattaiolare per la porta sul retro.
E fuori succeda quel che succeda.
Di fronte alle solite insidie del viaggio. il protagonista è ora pieno di un'insolita eccitazione: "- Non so se ce la faremo oppure no - disse Juan allegramente; e i passeggeri provarono una certa preoccupazione di fronte a tanta esuberanza".
Mute e mutue interazioni interessano persone diversissime, estratte a sorte tra le varie categorie sociali, costrette a condividere per qualche ora lo stesso autobus: il giovanotto in pieno tumulto adolescenziale, la coppia di ricchi borghesi con tanto di figlia contestatrice, la spogliarellista compiacente, il commesso viaggiatore volgare e pedante, la ragazza piena di sogni e speranze, il vecchio petulante e timoroso.
Bloccati dal maltempo in una strada pressoché impraticabile e lontana dall'abitato, in attesa di poter proseguire il viaggio , i personaggi si concedono un'indulgente pausa dalle rispettive ripetitive e abitudinarie esistenze.
Basta allora poco perché, messe tra parentesi le consuete preoccupazioni, la lontananza da casa allenti le maglie della censura e rilassi i freni inibitori, svelando l'identità nascosta appena dietro il velo delle apparenze: esperimento sociale con tanto di cavie umane.
C'è voglia di non tornare indietro - "poiché ora non sono più quello che ero prima, i miei amici mi sfuggirebbero e mi prenderebbero in odio. Ma ho veduto le stelle, ditegli così" - e sfiorato il punto di non ritorno, perentorie si impongono scelte e decisioni definitive.
Ne deriva una particolareggiata galleria di ritratti e bozzetti da cui prorompe, irruenta, l'amarezza di Steinbeck per la società americana del dopoguerra. Giudizio che si spinge al di là di apettative o prospettive di cambiamento, ma che si fa a tratti indulgente, consapevole di come l'immediata soddisfazione dei desideri possa regalare l'illusione di felicità: potente narcotico in grado di annebbiare una realtà inaccetabile, eppure così passivamente accettata.
Juan riuscirà a rimettere l'autobuis in carreggiata, restituendo alla fine i personaggi alle rispettive occupazioni e lasciando che ognuno segua la propria strada- fermate più o meno programmate della vita.
Tanto rassegnato fatalismo, egoismo e inerzia, cui l'autore contrappone le descrizioni di una natura còlta nel pieno rinnovamento e fermento primaverile.
Impalpabili vibrazioni rendono il vigore di una campagna che, dopo il lungo rigore invernale, si riveste ora di nuove energie e torna a traboccare di una compiuta e inattesa luminosità.
Steinbeck è abile a coglierne il sotterraneo movimento: "un venticello soffiava sui campi diffondendo il profumo dei lupini e l'odore di una terra turgida, frenetica di produzione (...). Al mattino ti rendeva come un nodo alla gola e a sera ti dava un senso di gioia dolorosa alla bocca dello stomaco".
Rinnovamento inaccessibile all'esperienza del pensiero e alle sottigliezze dell'analisi, eppure permeabile a livello intuitivo, a patto di spostarsi verso più sottili e sottesi piani di percezione.
Armonia come concordanza tra le parti, immagini puramente visive e altamente evocative, assonanze che frantumano l'esasperante quadro dei rapporti umani.
Il senso si fa manifesto, il cerchio si chiude e le inevitabili dissonanze diventano funzione di una più generale veduta d'insieme: la natura invernale, impastata di oblio e malinconia, contiene in nuce la futura redenzione.
E dopo tanta pioggia, si torna infine a respirare la terra e il suo sentore primitivo.