Una certa inquietudine la invase appena sveglia. Come ogni mattina si diresse in cucina per prepararsi un caffé macchiato. A volte le succedeva di sentirsi così, e tutto sembrava triste, assolutamente insensato. Dopo aver bevuto il suo caffé si mise in movimento sperando che quel malessere passasse, e invece qualunque gesto compiva le sembrava ancor più privo di significato. Quando stava male sapeva che prima o poi avrebbe ferito qualcuno con le parole, infatti si diceva: il mio momento sincero.
Per fortuna la mattina scorse serena, si fece una doccia, si lavò i capelli e ascoltò musica. Niente di particolare, anche perché fuori il caldo era veramente insopportabile. Prima di pranzo si distese un po' per leggere e quasi si addormentò. Fece un sogno senza sogni, pieno di tanto e tutto e quando lo squillo del telefono la svegliò, ricordava solo una grande confusione di persone, un bambino e qualcuno che si sarebbe dovuto prender cura di lui, ma era sordomuto. Chissà cosa volesse dire quel sogno, nella testa ancora tanta confusione, mentre riscaldando il pranzo sentiva solo la voglia di far finire in fretta quella giornata.
E così trascorse anche il pomeriggio, si rimise a leggere e si addormentò senza sogno, si risvegliò col desiderio di un caffé mentre l'inquietudine aumentava e non riusciva a prenderla. Per che cosa stava male non riusciva a spiegarselo, cosa la rendeva ferma non sapeva ancora, era passata più di metà della giornata e ancora si faceva quelle domande.
Decise di uscire.
Ma perché poi l'inquietudine si pensa debba esser curata fuori di casa? O forse è un'esigenza di alcuni, sua in particolare, in quel momento. Certo uscire la distolse da un pensiero senza pensieri. Comprò una birra bionda grande e andò a sedersi di fronte ad una fontana.
Mentre beveva si sentì euforica, avrebbe voluto baciare chiunque, si sentì più sollevata e fu come se tutta la mattina e il pomeriggio trascorsi a pensare non ci fossero stati.
Avrebbe concluso lì la sua serata senza speranze, e invece ecco giunse a proposito la ferita da infliggere. Fu a fine serata, quando guardando negli occhi il suo uomo le uscirono dalla bocca parole senza senso. Non mi hai mai detto ancora che sei innamorata di me, lui le disse e lei non seppe che rispondere. Si arrampicò come stesse scalando una parete liscia, e quando lui andò via avrebbe voluto dirgli quello e ancor di più. Le sembrò d'esser stata glaciale, e di aver aggiunto appunto la ferita.
Avrebbe voluto gridare in mezzo a quel rumore assordante di moto in moto, che lei dentro si portava ancora le sue ferite, la sua paura forse, l'insicurezza, era poi questa la sua inquietudine?
Contava poco, la ferita l'aveva inferta ed era ormai troppo tardi per rimediare.
E' vero non aveva ancora parlato, non aveva ancora detto a lui di quanto lo amasse, e sapeva in cuor suo che non lo amava ancora, ma che gli piaceva da matti. Bastava? Sarebbe bastato per far crescere qualcosa? E sarebbe poi cresciuto, oppure no? Che ne sapeva, lei, in corpo aveva solo la sua ferita e quella che infliggeva con le parole. Avrebbe voluto recuperare quelle parole con le corde, sentiva d'esser stata fredda, con quel silenzio a tratti indifferente di quando uscendo non si guardavano nemmeno negli occhi, uno di qua e uno di là, mentre invece avrebbe voluto solo dire: Grazie.
Gli occhi cominciarono a chiudersi per il sonno, lo sentì come un augurio per il nuovo giorno. Si spogliò, si mise a letto e si addormentò dicendo a domani, domani saprò cosa fare.