Autore Topic: Immolarsi  (Letto 644 volte)

chospo

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Immolarsi
« il: Febbraio 15, 2012, 22:47:09 »
Ricordo, ricordo un parco...
E forse era un sogno, perché il parco... bé, il parco era immenso, tetro, illuminato dai soffici raggi lunari. Faceva un bel fresco, di quelli notturni, di cui talvolta sembra quasi di potersi saziare.
C'era odore di libertà, ma anche un particolare tanfo di benzina. Lunghe ombre si stagliavano tristi, tra gli alberi rumorosi e le placide e inerti panchine di legno. Qualche foglia rotolava piano piano, come a non volersi far sentire, ma più era cauta, più...
E.. sì, sì, doveva essere un sogno. E del resto, perché mai non doveva esserlo? Chi si aggira a quell'ora di notte in un parco?
Di certo non io, e forse neppure coloro che mi circondavano.
Non ero difatti solo.
Disposte in cerchio con il sottoscritto c'erano almeno una cinquantina di persone. Gente casuale, di quella che si confonde facilmente nella folla, di cui non noti nulla perché non vuoi notare nulla. Buona parte si massaggiava di continuo il mento, con totale tranquillità e un espressione in viso che suggeriva pensieri profondi; come avessero voluto ostentare un qualche tipo di conoscenza superiore.
Di primo impatto mi piacque, di questi individui, l'assoluto silenzio. Purtroppo questo non era destinato a durare a lungo. Ben presto difatti capii dì essere partecipe a un piccolo spettacolo, credo una cosa di poco conto, ma comunque abbastanza importante per dare aria alla bocca di quei rispettabilissimi signori dal mento indurito.
Protagonista di questo intrattenimento era un giovane piantato come un palo proprio al centro del nostro assemblamento.
Da lui ci separavano una trentina di passi. Lo accerchievamo. Era quanto bastava a renderlo isolato. Indossava giacca e cravatta, un cappello a larghe falde (nella speranza di coprire un incipiente calvizie),  e aveva occhi irrequieti e ansiosi che sembravano schizzargli ora da una parte ora dall'altra, come alla ricerca di possibili pericoli.
"Che nessuno, che nessuno mi fermi," borbottò sin da quando ebbi coscienza di vederlo, e, mentre con una mano ben aperta in segno di stop, si teneva a distanza da noi curiosi, con l'altra si versava addosso del liquido scuro da una tanica marrone; la poggiò a terra dopo essersi imbevuto per benino.
"Perché, perché si vuole far del male?" chiese uno dei miei compari, e fu come se la domanda fosse stata posta anche da tutti gli altri in coro.
"Qui vorrei precisare," disse il giovane, "che non voglio farmi del male, bensì voglio darmi fuoco!"
"C'è una bella differenza!," aggiunse poi, e, mutato il volto nella più ferrea maschera di compunzione, si mise a cercare qualcosa nelle tasche. Muoveva solo le mani, freneticamente, e con gli occhi ci invitava a sfidarlo.
La puzza di benzina era un avvertimento piuttosto chiaro, eppure tra di noi qualcuno se la rideva, se pur sommessamente. Il giovane però non sembrò dar peso a quell'evidente scherno.
"Non cerco.. non voglio la vostra approvazione, né il vostro aiuto. Andate, andate via!" disse, continuando maldestramente a setacciarsi le tasche. Dovevano essere enormi, e quante cose contenevano! Con il passare del tempo vicino ai suoi piedi si vennero a creare montagnette di foglietti sbiaditi, scontrini fiscali accortocciati e non, tessere del videonoleggio, della libreria; insomma, di tutto fuorché un portafoglio.
"Ci dica almeno perché, ci racconti la sua storia," incalzarono nuovamente in due o tre. Ed erano decisamente i più preoccupati. I restanti sbadigliavano un po' risentiti. Si sentivano commenti poco gradevoli, bisbigliati con aria di complotto: "Ma quando si decide?" "Qui facciamo l'alba!" "Che delusione." "Tornerei a casa volentieri, mi aspettano degli ospiti domani e.." "Vedi tu che ha dimenticato.."
Notai che i più audaci offrivano loro stessi l'accendino al giovane. Ma questi rifiutava con sdegno.
"No, solo con il mio! Il mio! Dev'essere il mio! Cosa volete da me? Perché siete qui? Potreste, potreste non osservare?" diceva frugandosi ormai anche nei calzini a caccia del suo strumento fatale.
Poi alle continue e insistenti domande di chi voleva sapere, rispose che il suo non era un gesto di protesta, che non voleva rivendicare una vita difficile, una storia di povertà o maltrattamento, né tantomeno era disoccupato o in preda a chissà quale morbosa depressione. Semplicemente desiderava darsi fuoco.
"E perché ha scelto un luogo pubblico?"
"Saranno pur fatti miei!"
E detto ciò si dilungò nel spiegare che di certo non si aspettava che in un parco, alle quattro di notte passate, potessero esserci una tale quantità di appassionati curiosi e professionisti del sociale. Uno dei tanti detrattori del giovane suicida, un uomo sulla quarantina infagottato in un maglione a rombi rosa, sì obbligò a fare un passo, tremando come una foglia, e si sperticò in una ramanzina sconcertante.
"No, ma deve capire che essendo un luogo pubblico.. cioé.. disturba.. e.. poi, di quale utilità è? Sà, lo si dice per lei, se ne ricavasse qualcosa da questa scemenza.. magari.. Domani, assolutamente domani in centro città, a mezzogiorno, in piazza! Ho degli amici in comune, potremmo organizzare la cosa.. acquisterebbe una certa notorietà.."
In molti approvarono quel discorsetto. Il suicida mostrò il pugno all'uomo che aveva osato avvicinarsi.
"Scusi.. ma andare a casa sua a fare certe cose, no eh?" biascicò da qualche parte una voce femminile intrisa di vera indignazione.
Intercettai con la coda dell'occhio costei e, notai basito che tutta quell'indignazione non l'aiutava di certo a muovere un solo passo da qualche altra parte. Ma del resto non potevo giudicarla, io stesso non riuscivo ad andarmene.
Ero fulminato dalla curiosità. Anzi, non che io fossi realmente curioso, ma dentro di me ugualmente sentivo qualcosa di simile alla curiosità, una specie di richiamo affascinante, e per forza di cose, per quanto ne fossi inorridito, il mio corpo si rifiutava di assecondare il disgusto che provavo in quel momento verso me stesso. Ricordo che proprio allora ebbi la chiara visione di un incidente stradale, di corpi carbonizzati tra le lamiere, e nelle tasche forse, invece di un accendino, cercai una macchina fotografica.
Poi sputai per terra, contrariato.
Ah! Infame debolezza! Ancora poco e avrei aperto anch'io la bocca insieme a tutti quegli altri! Riuscivo solo a odiarmi, a odiarmi senza tregua.
Il giovane nel mentre aveva finalmente trovato il suo amato accendino, uno di quelli a benzina, costosi, ricaricabili, tutto tutto platinato. "Guarda.. guarda che accendino.." bofonchiò qualcuno, "No no, non è disoccupato."
Notai che il ragazzo avrebbe voluto seguire il consiglio della signora; era evidente che non se la sentiva più di darsi in pasto al suo pubblico, e, tentennante, indietreggiava a caccia di una via di fuga.
Ma ugualmente si guardava attorno sperduto, spaurito, con il terrore vivo come non mai negli occhi. Forse in quegli istanti pensava che qualche brav'uomo gli sarebbe saltato addosso per consegnarlo ad un istituto d'igiene mentale, alla polizia, o a qualche altra associazione benefica, a salvaguardia della vita umana e del prossimo, ma soprattutto dell'equilibrio e della serenità da cui dipende l'ordine pubblico. E i suoi timori avevano fondamento, poiché, del mio gruppo non ce n'era uno solo che, se pur mostrando un apparente disinteresse alla sorte del malcapitato, indietreggiasse o lo lasciasse libero di scappare.
Anzi, ora che l'uomo aveva trovato l'accendino, ecco che gli osservatori prendevano coraggio e di passettino in passettino lo stringevano sempre più in una morsa letale. Avrei voluto aiutarlo ma da solo non potevo fare la differenza, né tantomeno sentivo di possedere le capacità adatte a corrompere qualcuno dei miei compagni di sventure.
Di salvarlo dalle fiamme non né avevo alcuna intenzione: non erano fatti miei quel che voleva fare del suo corpo. E da sempre ricordo le parole di una canzone famosa, da me pienamente condivise:

"Io sono libero di morire quando lo desidero."

Sicché, ancora immobile nel mio rimescolio di pensieri contradditori e di rimorso cocente, venni spinto in avanti da due signori che mi tenevano stretto stretto per le ascelle.
Erano due bassi omini pelosi, con la coppola grigia e dai cui sguardi potevo chiaramente leggere: "Lo sappiamo, lo sappiamo cosa vorresti fare.."
"Lontani, lontani," gridava disperato il suicida, e ci minacciava vanamente con l'accendino proteso verso tutti quei volti a lui ostili.
Ma in cuor suo penso avesse timore di coinvolgere qualcuno nelle fiamme.
Quell'uomo aveva scelto uno spiazzo isolato del parco, forse per tramutarsi in cenere senza recare danno alcuno neppure agli alberi. Immaginai che avesse scelto questo luogo appunto per rimirare per un ultima volta quel poco di verde che aveva da offrire la città, lo spettacolo della luna, il fragile silenzio di quella notte stellata.
Ma erano solo supposizioni, non osai chiedere. Anzi, mi vergognai di quelle supposizioni!
La piccola cerchia avanzò lentamente d'un altro passo. Sembrava volessero, anzi, sembrava volessimo torturarlo piano piano, toglierli il respiro a poco a poco, sadicamente. In quell'istante dalla disperazione dei suoi occhi capì che aveva compreso: ormai non si sarebbe potuto più togliere la vita neppure di fronte a noi! Il rischio di un incidente era troppo elevato, o al primo tentativo qualche onesto cittadino (poiché ce n'è sempre qualcuno) si sarebbe scagliato verso la sua mano tentando di portargli via l'accendino. "Perché? Cosa volete?" mormorava tra sé e sé, come un disco rotto.
Era incredibile come nel mio gruppo tutti fossero compatti nell'accerchiarlo nonostante il vociare indicasse sempre i differenti propositi. C'era sempre chi si augurava che facesse in fretta, altri che volevano salvarlo, chi ancora consigliava di rimandare la cosa all'indomani per un successo garantito di pubblico, etc...
Ma ora tutte queste cose le bisbigliavano sommessamente, in un brusio continuo, con gli occhi luccicanti di un piacere vibrante e sconosciuto.
Pure io mi sentii gli occhi bagnati, ma, con mio stupore, non ebbi la debolezza di pensare a delle lacrime. Anche la mia era sordida eccitazione, e non potevo evitarla; mi ero come sdoppiato: la voce della mia coscienza, di un altro me, risuonava dalle profondità di un lungo e buio cunicolo, infliggendomi terribili tormenti.
Ma erano utili solo a sentirmi umano. In un flash vidi ancora macchine contorte, corpi carbonizzati, impietose sirene di ambulanze... e nella mia testa già si andava formando una volontà superiore, un piano ben preciso, per sfuggire a quell'orribile supplizio. Dovevo solo tentare la fortuna, solo tentare la fortuna, solo tentare la fortuna... e... con un colpo veloce mi liberai dei miei aguzzini, e sgusciai veloce verso la nostra vittima. Di primo impatto lui rimise in tasca l'accendino, parandosi il volto con le mani, ma io mi ero già apprestato alla sua tanica, rovesciandola speranzoso sulla mia testa.
Tirai un sospiro di sollievo scoprendo che avevo avuto fortuna: c'era ancora abbastanza benzina anche per me. Guardando i miei ex compagni con occhio di sfida gridai:
"Mi darò fuoco! Ma con un accendino a vostra scelta! Tirate a sorte!"
Io sì, io volevo attenzione. E quella variante, se pur banale, colpì nel segno l'uomo alla costante ricerca di una novità.
La piccola folla ammutolì di colpo, si fermò come una combricola da cui sprizza quel tanto di vita che si può vedere in un gruppo di morti viventi disorientati. Notai felicemente che alcuni di loro già tornavano a lisciarsi il mento, e indietreggiavano osservandomi incuriositi.
Altri ancora si stropicciavano le mani. Ero il nuovo fenomeno del momento, assai più interessante di quello vecchio, poiché avevo sicuramente motivazioni differenti dalle sue, da studiare, da capire, da contestare, in profondità, in tutte le direzioni, bramosamente, fino a rosicchiarne le ossicina. E poi, accipicchia, si poteva tirare a sorte e scegliere l'accendino!
Il ragazzo suicida mi guardò con occhi letteralmente fuori dalle orbite, forse voleva chiedermi perché, perché lo avessi fatto, ma suppongo non ne avesse il coraggio, e così supposi un altra volta, e un altra volta nella mia supposizione risposi:
"Io sono libero di morire quando lo desidero."
Forse la mia ipotesi era corretta, perché lui sorrise, mi strinse la mano, e un attimo dopo già correva lontano, ormai dimenticato dalla folla che adesso aveva occhi solo per me.
Un minuto dopo vidi in lontananza un piccolo fuoco che avvampava frenetico; che danzava libero nell'oscurità di una notte dove la luna era già sepolta da fitte nubi. Alle narici mi arrivava un tenue odore di carne bruciata.
"Allora," dissi a quelle carcasse, "Chi tira per primo a sorte?"
Ma quelli neppure mi risposero, e da subito compresi a cos'ero destinato.
Il primo chiese:
"Perché, perché si vuole dare fuoco?"
Oh, c'era stata quindi un'evoluzione!
Ma non mi interessava seguirne il seguito, e quindi mi accinsi a rompere a mia volta le regole del gioco: estrassi il mio accendino finché avevo tempo a disposizione. Osservai la lunga fiamma, mentre quelli già avanzano borbottando le solite frasi sconnesse.
Pensai: "Per quale motivo dovrei farlo? In fondo non mi sono già immolato?"
E difatti suppongo che un motivo non c'era... eppure quel fuoco, maledizione, quel fuoco era così invitante...
Ma ripensandoci bene... forse... forse, sì, forse era stato solo un sogno.

Brunello

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Re:Immolarsi
« Risposta #1 il: Luglio 25, 2012, 10:02:03 »
Un altro ''zero commenti'' molto bello, io l'ho letto con piacere. :rose:

nihil

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Re:Immolarsi
« Risposta #2 il: Luglio 25, 2012, 14:31:41 »
Fortunatamente Brunello ha tirato fuori questo bel pezzo. Terribilmente sarcastico nel mettere al centro un uomo circondato dalla società con i suoi diversi atteggiamenti, ma pur sempre impietosi.
Credo che il nocciolo stia nella frase....da solo non posso fare la differenza...
Un poco debole la chiusura, confronto al racconto. Nel sogno si giustifica tutto, nella realtà no. ;)
« Ultima modifica: Ottobre 17, 2012, 09:09:27 da nihil »