La mente impone costantemente di pensare, lega mani e piedi con catene invisibili e tuttavia robuste. E' un rumore di fondo che non finisce e accompagna ogni momento presente. E' un vivere ossessionato da ciò che è aria, pesante sì ma, pur sempre aria. Un pensiero ne genera un altro e un altro ancora e anziché lasciarlo andare diventa realtà, s'infiltra nel corpo, tra i pori della pelle paralizzando attraverso la paura, attanagliando inutilmente. Tempo trascorso a pensare se mai dovesse accadere qualcosa e poi non accade niente, rimane lo spreco di ore preziose, di giornate presenti. E al pensiero segue il desiderio di possedere ciò che non si ha. Il presente è sempre povero, il futuro ricco di tutto, e quando il futuro diventa presente non basta nemmeno quello.
Non esiste ciò che si ha, ma solo ciò che non si ha e che si vorrebbe avere a tutti i costi illudendosi di decantare così la felicità. “Ah se solo avessi... sarei felice”. Il poco è niente, il più è poco e tutto non è mai abbastanza.
Conoscevo una donna, mi cercava per sfogare la sua insoddisfazione. Viveva con un marito taciturno e un figlio simile al padre mentre lei avrebbe desiderato più parole, più vitalità nella sua casa spesso silenziosa, serena e senza troppe pretese.
Quasi ogni giorno quella donna piangeva, diceva di vivere a monosillabi, vedeva muri invalicabili. E poi affermava: “ah se solo lui parlasse di più, c'è freddo nella mia casa anche quando siamo tutti”. Poi un giorno mi rivelò: “ho deciso di lasciare mio marito, è lui la causa del mio dolore, del freddo che sento, del vuoto nella mia casa, se solo lui andrà via io riuscirò a vivere di nuovo, a ritrovarmi e a risentire la vita”. Ero contenta per lei, se solo avesse trovato la pace, se solo quel gesto avesse placato il suo malessere, se solo bastava a farle comprendere come avrebbe voluto vivere piuttosto che subire. Passarono giorni, forse mesi o addirittura anni, e per caso la risentii certa che dopo la sua decisione l'avrei ritrovata finalmente serena. Mi rispose avvizzita, abbrutita dal quotidiano che le pesava ancor di più perché era sola a doverlo affrontare. Mi disse: “ adesso non è più semplice come prima, che credi”. Non passò tempo che la risentii, stava sempre a lamentarsi di tutto, non le andava mai bene niente: “ ah se solo avessi più soldi, potrei farmi un bel viaggio e rompere con questa quotidianità che mi pesa!”.
La condizione presente non è mai bella e si vuole sempre di più. Non si accetta il proprio presente e si soffre perché lo vorremmo diverso, sempre.
Ma è nell'accettare ciò che è così com'è che si ritrova il senso della vita; esso sta tutto in una maggiore consapevolezza della propria interiorità, nella quale la compassione e il non attaccamento guidano il sentire umano. Il senso della vita in generale, è quello d'essere così com'è e di accettare tutto per quello che è; allinearci ad essa senza resistenza, ma con accoglimento. E' credere anche quando tutto il resto del mondo dice il contrario, e non rinunciarci sacrificandosi dietro vuote illusioni. Il senso della vita è avere sempre intenzione piuttosto che desiderio, sentire il cammino e non solo la meta, la gioia piuttosto che l'importanza. La gioia di ciò che non si cerca, ma di cui si sente il respiro.
Ma la condizione dell'uomo è quella di un navigatore scontento, vuol raggiungere la meta e non vede i passi che compie, non gode dei profumi e rimanda le sensazioni a quando avrà raggiunto l'obiettivo, lo chiama “verità” e non sa cosa sia. Il navigatore scontento non riconosce le acque che sta percorrendo, non si ferma abbastanza nei porti che incontra durante il cammino. La sua condizione non è mai quella giusta e si chiede sempre qual'è il giusto, o non se lo chiede affatto e si lascia scivolare sulle acque senza vedere quanto esse siano blu profondo o verde smeraldo. E' un albino, il navigante insoddisfatto, pensa alla sua condizione come inaccettabile, invivibile ma, non dice mai a se stesso: “questa di adesso, è l'unica condizione veramente possibile”.
Sono stata anche io “navigante insoddisfatta”, ho percorso il tempo sentendolo sfuggire e rincorrendolo. E la mia corsa ha impedito di viverlo. Oggi i miei sensi sono presenza e navigo su un mare il cui fondale ha alghe verdi come i cocci delle bottiglie, dolci come “il mauro”, un'erba marina che cresce sugli scogli neri del Mediterraneo. Il porto in cui attracco pullula di vita che si mescola alla mia e i miei occhi vedono tutto e non più ciò che la mente vuol farmi vedere. Per questo mi capita, così senza un motivo, d'avere un moto di gioia e non ho più bisogno d'altro.