Un giorno una vicina di casa vedendola cucire un paio di pantaloni le propose: su m’insigna a cusiri i causi, iu ci mettu i soddi p’accattari a magghina.1 Accettando la proposta, entrambe trovarono beneficio dal sodalizio.
A seguito della morte del padre e del trasferimento da un quartiere all’altro, Graziella si trovò a cambiare anche scuola. L’unico passatempo dei suoi nuovi compagni era quello di soprannominare la bidella “Teresa tuppiddu”, per via dei pochi capelli raccolti in un misero tuppo. Quest’ultima dal canto suo, non sopportando la sfacciataggine dei mocciosi, li rincorreva da una parte all'altra del cortile, servendosi, per minacciarli, di un manico di legno e inscenando in tal modo un quadretto alquanto comico. Le vicine che la conoscevano ormai da tanto tempo, pur nascondendo a malapena l’istinto di ridere, le consigliavano di lasciar perdere perché non avrebbe fatto altro che accendere ancor di più gli animi allo scherno.
Graziella si adattò poco alla nuova scuola e ancor meno mostrò simpatia per la maestra, della quale tra l’altro non tollerava il tono cadenzato col quale pronunciava i rimproveri, accompagnato dal lento battere della bacchetta di legno sulla cattedra. Questo aspetto fu tanto insopportabile che Graziella un giorno, presentandosi dinanzi alla madre, le annunciò il proposito di non voler più andare a scuola. La madre non poteva permettere che la figlia non prendesse la licenza. Caso volle che accanto a loro abitasse una signorina che dava ripetizioni, e le fu chiesto di seguire Graziella nello studio.
La signorina aveva un fratello, il quale si invaghì piano piano di Grazia, tanto che non perdeva occasione per stuzzicarla al suo passaggio. Graziella dal canto suo, infastidita da tale comportamento e temendo un rimprovero dalla madre qualora si fosse confidata con lei, ne parlò alla zia Grazia, aggiungendo che avrebbe preferito allo studio il lavoro.
Seguirono giorni di confusione, ma alla fine si trovò una soluzione. Zia Ciccia, una sorella del padre, aveva un laboratorio di sarta per donna e alle sue dipendenze 24 signorine, pertanto le fu chiesto di prendere con sé anche la nipote. Iniziò in tal modo il lungo praticantato di Grazia, finalmente felice di andare anche lei alla “mastra”.
Il laboratorio era molto grande e composto da due piani; al piano terreno un immenso stanzone costituiva la sartoria vera e propria, dove ad ogni ragazza veniva assegnato un compito specifico: chi tagliava, chi imbastiva, chi cuciva a macchina, chi rifiniva…; al piano superiore oltre ad esserci l’appartamento della zia, c’era anche una stanza nella quale veniva provato il vestito alla cliente. Gli abiti ultimati invece facevano bella mostra sui “figurini” fino a quando non fossero stati ritirati dalle clienti. La cliente aveva anche la possibilità di scegliere il modello del suo abito, grazie alle innumerevoli riviste di moda quali “Femmina chic”, “La moda di domani” in bella vista sul tavolo da lavoro.
Era eccitante stare tutto il giorno tra stoffe, spagnolette, aghi e nastrini, specie se si era responsabili del materiale in questione. Infatti il compito di Grazia era proprio quello di distribuire il materiale di cui le lavoranti avevano di bisogno.
Nel suo andirivieni verso l’armadio in cui erano riposte le spagnolette, gli aghi e l’occorrente in generale, si imbatteva spesso nel cugino Melino. Il giovane aveva uno strano modo di guardarla e spesso scorgendolo nella penombra provava timore. A Grazia non piaceva l’atteggiamento di Melino, e meno ancora quando lo vedeva allontanarsi con la sua camminata claudicante. Si diceva a tal proposito che da bambino aveva avuto una “botta di latte” che lo aveva lasciato zoppo. Ad ogni modo Melino l’aspettava spesso nel buio delle scale, e un giorno osò afferrarla rubandole un bacio. Grazia adirata lo allontanò bruscamente, e rossa dalla rabbia, nascose a malapena la sua indignazione dinanzi a tutte.
Il cattivo esito di tale avvenimento giunse alle orecchie di zia Ciccia, la quale sotto sotto aveva sperato in un fidanzamento della nipote con il figlio, così che con il matrimonio la nipote avrebbe ereditato anche il laboratorio di sartoria, che sarebbe rimasto in famiglia e quindi in mani sicure. Ma il rifiuto del figlio generò nella madre ostilità nei confronti della nipote, tanto che a quest’ultima fu riservato un trattamento di secondo piano impedendo in tal modo la riuscita nell’apprendere il mestiere della sarta. La ragazza non si diede per vinta, e sfogandosi con la zia Grazia, le confessò che fino ad allora non le era stato affidato un vestito da cucire tutta da sola, e per di più le sue rimostranze erano state messe a tacere con lavoretti di poco conto. Tale confessione sortì l’effetto desiderato, e un pomeriggio al laboratorio si presentò zia Grazia, la quale affrontando subito l’argomento con la comare, concluse dicendo: su non ci faciti pruvari a cusiri, a carusa quannu s’ha ‘nsignari ?2
Il lunedì si iniziavano i lavori nuovi, e alle ragazze veniva assegnato un abito a scelta, tenendo conto però delle capacità di ognuna di loro; durante la spartizione dei lavori zia Ciccia allora, rivolgendosi a Grazia con tono ironico, le chiese quale vestito volesse per lavorare, e la ragazza rispondendole con la stessa ironia, scelse il più difficile che le fu tempestivamente consegnato, accompagnato da un commento di disapprovazione - si sicura ca u sa fari?3 - al quale non seguì alcuna risposta.
Da quel giorno in poi Graziella conquistò sempre più dignità, tanto che le fu riconosciuta capacità, competenza, ma anche vivacità ed entusiasmo. Infatti riusciva a creare all’interno del laboratorio un clima di serenità e spensieratezza, e durante l’ora di intervallo era lei che intratteneva le compagne con cazzicatummuli,4 piroette e salti da vera acrobata. A fine spettacolo e come da copione passava tra le compagne a raccogliere il compenso per le sue prestazioni, consistente in mezza fetta di mortadella, due olive, una fettina di salame, due pezzetti di formaggio e perfino una fetta di ciambella. In tal modo risparmiava i quattro soldi che la madre ogni mattina le dava per comprare il companatico, e li conservava nel suo caruseddu;5 quando era abbastanza pieno lo rovesciava per poi farsi comprare ciò che le occorreva, un paio di scarpe o un taglio di stoffa per un vestito.
Il marito di zia Ciccia, al contrario della moglie, provava simpatia disinteressata per la nipote, e molto spesso trovandosi padrone della cucina si dilettava a preparare piatti difficili, ma prelibati; quando cucinava aggrassato,6desiderava che Graziella fosse accanto a lui e le diceva: nsignatillu, accussì quannu ti mariti ci sai cucinari a tto maritu!7
Così trascorrevano le ore al laboratorio, e dopo una giornata intensa, ritornando a casa il pomeriggio, l’attendeva la madre e insieme preparavano la cena. La sera si premunivano di chiudere ben bene tutte le porte di casa, maggiormente mamma Maria che non nascondeva di certo i suoi timori: era lei infatti che anche durante la notte non si faceva scrupolo di svegliare la figlia se sentiva voci di uomini per la strada e sussurrando diceva: Raziedda, Raziedda, ci su i latri arreru u purticatu!8
La domenica era il giorno dedicato al Cimitero e alla visita ai fratellini in collegio. Per le due donne sembrava normale e scontato l’appuntamento settimanale con la “morte”, non c’era angoscia, paura o tristezza nei loro animi, era come andare a trovare un parente vivo ed era un appuntamento al quale non avrebbero rinunciato per nulla al mondo.
Mamma Maria era di indole timorosa e riconosceva in Grazia la sua confidente, a lei infatti manifestava i suoi dubbi e le sue paure, e a lei si rivolgeva per chiedere consigli di ogni sorta; a Grazia confidava a quanto ammontava il loro piccolo patrimonio e con quanto quotidianamente dovevano vivere.
Grazia dal canto suo si mostrava alquanto matura nonostante la sua giovane età, e pur ricoprendo un ruolo importante, non dimenticava mai di rivolgersi alla madre soltanto come una figlia, dandole sempre del “vossia”, appellativo al quale non si disabituò mai anche quando al “voi” subentrò il “tu”.
Santa Barbara nei munti stava, dei lampi e trona non si scantava, si scantava di l’ira di Diu, Santa Barbara cori miu!9 Con tali parole Mamma Maria scongiurava la paura del temporale, e rannicchiandosi in un angolo buio della casa, aspettava con ansia che il brutto tempo passando riportasse la tranquillità. Graziella solo in questi momenti guardandola sorrideva bonariamente lanciandole di tanto in tanto qualche battuta.
All’età di tredici anni Grazia “divenne signorina”.
Di questa trasformazione e conseguente maturazione del suo corpo la madre non le fece alcun cenno, di ciò non era pensabile parlare. Ad ogni modo fu difficile accettare i dolori che venivano forti e intensi e l’abbondanza del ciclo che costringeva Graziella a sporcare più di quindici “pannetti” al giorno. La madre aveva un bel da fare a lavarli e bollirli per darle in fretta il cambio pulito. Quando stava così male zia Ciccia non le dimostrava alcuna solidarietà, e a volte la costringeva a lavorare anche mezz’ora in più fingendo noncuranza, ma ritornando a casa, Grazia poteva riposare a letto risparmiandosi le fatiche domestiche.
Di fronte la casa delle due donne abitava una certa Marietta e suo marito Paolino, due vicini alquanto gentili che alla sera avevano preso l’abitudine di trascorrere le ore tenendo compagnia a madre e figlia. Si chiacchierava del più e del meno mentre mamma Maria cuciva e Graziella ricamava o faceva u gionninu.10
Paolino era ciò che si dice un brav’uomo e un onesto lavoratore. Al tempo del loro fidanzamento, i due giovani avevano dovuto fronteggiare i contrasti da parte delle famiglie, e tutto perché Paolino, avendo riportato un difetto alla gamba a seguito di un incidente in guerra, era stato costretto a servirsi delle stampelle. Marietta nonostante tutto, dimostrando d’amarlo, lo sposò malgrado il dissenso della famiglia.
Note:
14 Se m'insegna a cucire i pantaloni, io ci metterò i soldi per comprare la macchina.
15 Se non la fate provare a cucire, la ragazza quando dovrà imparare?
16 Sei sicura che lo saprai fare?
17 Capitomboli
18 Salvadanaio
19 Stufato
20 Imparalo, così quando ti sposerai saprai cucinare a tuo marito!
21 Graziella, Graziella, ci sono i ladri dietro il portone!
22 Santa Barbara nei monti stava, dei fulmini e dei tuoni non si spaventava, si spaventava dell'ira di Dio, Santa Barbara cuore mio!
23 Punto a giorno.