Autore Topic: Io, nel Salento - III Parte  (Letto 569 volte)

Faber

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Io, nel Salento - III Parte
« il: Maggio 31, 2012, 20:29:40 »
III Parte


1.   Una nuova occasione

Non mi sarei aspettato che mi chiamasse.  Che per prima venisse a cercarmi.
Come tutte le donne salentine,  Emanuela era di carattere determinata e volitiva.
Mi disse al telefono che, normalmente, non avrebbe fatto lei il primo passo, ma questa volta sentiva che qualcosa la spingeva a cercarmi per darsi e per dare a noi due una nuova occasione.
Tuttavia, solo su una cosa fu irremovibile: mi sarei dovuto presentare in Piazza del Duomo a Lecce, con una rosa rossa.
Era un venerdì, una sera piovosa, umida e fredda. La Piazza del Duomo, grande e semplicemente stupenda, vestita del suo barocco leccese.
Nonostante il cattivo tempo, si vedevano molti turisti parcheggiati nei lati estremi della piazza, per meglio ammirarne l’architettura e la forma.
Altri, invece, che intuivo essere gente del posto, passava via veloce, presa dai mille pensieri e dagli affanni quotidiani, che non aiutano a “vedere” la bellezza da cui sei circondato.
Fu dopo qualche tempo che mi sentii addosso il suo sguardo.
Probabilmente, Lei già da qualche minuto era lì, in uno dei lati della grande piazza, ad osservarmi, incuriosita e, forse, divertita al pensiero che fosse Lei a dirigere le nostre azioni.
Per una volta, non ero io ad avere il controllo della situazione.
La vidi mentre si avvicinava, sorridente e luminosa, i lunghi capelli castano scuro si poggiavano sulle sue spalle, evidenziandole il viso magro e ben proporzionato.
Vestiva dei jeans infilati dentro un paio di stivali alti, un maglione ed un giubbotto di pelle chiara.
Non ci furono né parole né frasi di circostanza, solo un abbraccio appassionato che durò, credo, un’eternità. Fu bello per me perdermi in mezzo a quei capelli, mentre sentivo il suo corpo stretto al mio, insieme al profumo di lei, secco con sentori speziati, che rimandava all’oriente ed a quel mondo misterioso ed intrigante.
Le porsi la rosa rossa, mentre la guardavo in volto e notavo i suoi occhi che splendevano della luce della gioia. Quello sguardo, ancora oggi, mi ritorna in mente.
Fu bello cenare insieme in un ristorante tipico della città vecchia, a due passi da Piazza S.Oronzo, il santo patrono dei leccesi.
Parlammo e scherzammo molto, mentre sedevamo ad un tavolo posto in una stanza al primo piano del locale. Quella sera, non era pieno di clienti, ed il cameriere, professionale e premuroso fu prodigo di consigli, circa i piatti da scegliere ed il vino con cui accompagnarli.
Uscimmo dal ristorante, un paio d’oro dopo, sazi per le molte portate ma non ancora appagati di noi…
Mi chiese: “Dove dormirai questa notte, Uomo del nord?” Le risposi: “Dove vorrai, splendida Donna mediterranea”. Questa volta, fu la passione a condurci nella danza dell’amore, che andò avanti per ore.
La mattina successiva, la pregai di rimanere ancora per qualche ora, almeno per la colazione e poi l’avrei accompagnata.
Dopo la doccia, mi accorsi che Lei, nel frattempo, aveva lasciato la camera dell’albergo, senza negarmi, però, un biglietto, nel quale scriveva: “So bene che il tuo Cuore è già impegnato. Da qualche parte c’è una donna e, forse, dei figli che attendono il tuo ritorno.
Non ti chiedo nulla né nulla mi attendo da questo Amore, fugace ma vero. So che non dimenticherai quello che c’è stato tra di noi. Io, sicuramente, non lo farò. Emanuela”.
Le sue frasi, quelle parole, risuonarono per molto tempo nella mia mente.
Se mi avesse dato il tempo di spiegare avrei potuto dirle che ero un uomo separato, già da qualche anno, e che, si, ero padre di un figlio che avrei voluto poter vedere più spesso.
Avrei potuto anche proporle di dare ad entrambi una nuova occasione.
O, forse, Lei sospettando queste cose di me, non si era voluta concedere una nuova possibilità.
Sono domande che non hanno mai trovato una risposta. Per questa ragione, di tanto in tanto, si riaffacciano alla mente.
 




2.   Il Gruppo operativo interforze

Il viaggio di ritorno fu lungo e un po’ malinconico.
Percorrevo la SS 106, da tutti conosciuta come “la strada della morte”, per i numerosissimi incidenti mortali che vi occorrono.
Ero partito di buon ora da Corigliano d’O. dopo quel breve incontro con Emanuela.
Avevo fatto un’abbondante colazione, per non dovermi fermare successivamente, se non per una breve sosta tecnica.
Superai Brindisi, Taranto e, quindi, puntai in direzione delle terme di Sibari. Lungo il tragitto scorsi alla mia sinistra, bagnato dal mar Ionio, appena superato il confine tra la Basilicata e la Calabria, Roseto di Capo Spulico ed il suo minuscolo castello, appollaiato su di una roccia che guarda ancora oggi il mare, nella direzione del Golfo di Taranto, in attesa di scorgere le navi dei pirati turchi.
Ero nuovamente in Calabria.
L’appuntamento era in una agenzia di pratiche automobilistiche nella parte nuova di Cosenza.
Vi arrivai un’ora prima dell’orario stabilito e ne approfittai per un giro turistico in quella che, a mio giudizio, era la città più urbanizzata della Calabria. Questo, secondo il parere di un uomo venuto dal nord, abituato all’ordine e al rispetto del vivere civile, almeno all’apparenza.
Tuttavia, Cosenza ha anche un Cuore antico, che pulsa unitamente a quello della città moderna. Entrambe, le si possono intravedere, con dovizia di particolari, dall’autostrada A3.
Quando entrai nell’agenzia, l’impiegata (un agente dello Servizio Centrale Operativo della polizia di Stato) dopo che mi ero qualificato, mi disse che il Sostituto Procuratore della DDA di Reggio Calabria mi stava aspettando, unitamente ad una squadra operativa interforze, da poco giunta da Roma.
Dopo le presentazioni iniziali, feci il mio rapporto al magistrato che, da quel momento, avrebbe assunto la direzione delle indagini, svolte da quel gruppo operativo di agenti assegnati alla Direzione Investigativa Antimafia nazionale, appartenenti alle varie Forze di Polizia, che ora stavano seduti davanti a me… in attesa.
Mostrai loro le immagini e le foto fatte durante la mia permanenza nel Salento. Poi mostrai anche il materiale che avevo prodotto con l’aiuto di Mario (l’agente incognito) che non avrebbe potuto partecipare alle operazioni di arresto e sequestro, che sarebbero seguite nei giorni successivi, poiché la sua missione (sotto copertura) doveva continuare.
In virtù della mia recente esperienza esplorativa e delle indagini fatte sul campo, il magistrato dispose che fossi io a dirigere le operazioni della squadra.
In tutto, escluso il magistrato, 12 tra uomini e donne (tre, di cui una ispettrice di polizia, e due agenti della Guardia di Finanza), 4 le macchine a disposizione (di cui un suv), apparati radio digitali, due telefoni satellitari, visori notturni e armi, automatiche e semiautomatiche, di vario calibro e volume di fuoco.
Stabilii che ci saremmo fermati a Cosenza non più di 24 ore, per riposarci. Io, nel frattempo, avrei fatto rapporto al mio capo cellula a Reggio Calabria.
"Tutte le anime sono immortali. Ma le anime dei giusti sono immortali e divine" Socrate

L'uomo non può creare nessuna opera che sopravviva ad un libro