Accetto di passare il nostro pomeriggio, quello che riusciamo a ritagliarci ogni quindici giorni, all'Ikea. Non č il massimo, ma ogni cosa che faccio con lei č speciale, vale perchč sto con lei; anche attaccare un lampadario o fare la spesa al supermercato. Mi manca cosė tanto condividere le piccole cose quotidiane che riesco a gioire di ogni dettaglio.
Mi faccio trascinare in quel trambusto e iniziamo il giro con un enorme carrello che, ad ogni passo, si riempie sempre pių. Piccoli attrezzi per la cucina, tovaglie, cuscini colorati, pile (quelle sė che sono convenienti), insalatiere per uno (odio condire l'insalata nei piatti che non riesci agirarla) e altri oggetti affascinanti quanto inutili. L'ultima volta avevo speso pių di cento euro per un carrello cosė, questa volta, probabilmente, avrei replicato. Comunque, dopo un'ora abbondante di spesa, eravamo esaustici ma felici; avevamo soddisfatto il nostro bisogno di consumatori, avevamo desiderato e scelto, orientandoci sapientemente tra migliaia di offerte che occhieggiavano dagli scaffali: talvolta facendoci sedurre, altre reclinando con un augusto diniego. Eravamo stati bravi, avevamo detto molti no, e qualche sė che aumentava il peso verso l'uscita. Ci basta un occhiata per intenderci, un'altra occhiata per cercare telecamere nascoste, poi, parcheggiato il carrello in un angolo a far bella figura di sč, ci allontaniamo fingendo interesse per un altro acquisto per poi, mano nella mano, correre a pedifiato verso l'uscita, sperando che nessuno mai ci avrebbe chiesto conto e ragione di quell'oltraggio a regole non scritte.