LA GUERRA. L’ARGENTERIA E IL CORREDO DI MIA MADRE.
La descrizione del magazzino mi ha fatto tornare alla mente un episodio che accadde durante la guerra. Quando, nella città in cui abitavo, cominciarono sia i bombardamenti dal cielo, che i cannoneggiamenti dal mare. Mio padre e mia madre ritennero opportuno trasferirsi in campagna e per mettere al sicuro sia l’argenteria di famiglia, che il corredo di mia madre decisero di inviarla in casa di mio nonno in quanto ritenevano che quello fosse un posto più sicuro. Così mio nonno mandò don Vincenzo con il carretto e su questo furono caricate quattro casse con le cose più preziose della famiglia e portate in casa di mio nonno.
Invece … le cose andarono proprio all’opposto. Le truppe tedesche, dopo lo sbarco alleato in Sicilia ripiegarono e per evitare gli attacchi dal mare da parte della flotta inglese e americana si spostarono verso l’interno. Così la città dove abitava mio nonno divenne il crocevia della ritirata tedesca. Gli aerei, le fortezze volanti che partivano da Malta e dal nord Africa martellavano le truppe tedesche ed ovviamente anche le città che esse attraversavano. La città dove abitava mio nonno fu ripetutamente bombardata e terribilmente danneggiata. Anche la casa di mio nonno venne colpita. Una bomba caduta nel cortile sfondò la porta del magazzino quello adiacente alla carretteria dove si trovava il carretto con le casse e da quel varco tutto fu depredato. Quella porta sfondata poi venne murata.
Durante questo periodo mia zia mi raccontava che mio nonno era cieco a causa della cataratta, dovuta all’età, ma che certamente lo stress dovuto alle vicende belliche aveva fatto precipitare. Loro si erano trasferiti nella casa che si trovava nella campagna di Ciaramitaro che distava pochi chilometri dalla città. Mia zia raccontava che sentivano il rombo dei motori degli aerei da caccia inglesi e americani che perlustravano la campagna alla ricerca di truppe tedesche o di nidi di cannoni antiaerei e mi riferiva che spesso, guardando da dietro gli scuri socchiusi delle finestre, vedeva l’aereo che volava a quota tanto bassa che quando sorvolando il terreno passava dal vigneto all’uliveto dovevano salire di quota per non urtare contro gli alberi. Una volta un aereo di questi passò tanto vicino alla casa che mia zia riuscì proprio a distinguere il viso del pilota. Invece quando passavano i bombardieri che volavano a stormi compatti alti sulla loro testa il rombo era completamente diverso, era perfettamente distinguibile ed era terrificante. Sapevano che venivano per bombardare dall’alto la città. Inizialmente si sentiva sparare la contraerea nascosta tra le montagne e poco dopo il loro passaggio si udivano a distanza le esplosioni terribili delle bombe e se questo avveniva di notte si vedeva anche il rossore degli incendi. Loro, pur sapendo che erano al sicuro perché lontani, si abbracciavano tutti insieme, famiglia e servitù, perché avevano paura e angoscia per le vittime che ci sarebbero state e per i danni che la città avrebbe subito.
In genere, di tanto in tanto, mio nonno malgrado fosse cieco, voleva tornare in città per controllare se la casa avesse avuto danni. Veniva con loro anche don Salvatore, l’anziano uomo di fiducia di mio nonno, che era sfollato anche lui nella stessa casa. Lo aiutava a salire a cavallo e accompagnato da mia zia, che non lo lasciava mai solo, e dal resto della servitù, tornava in città. Una volta, trovarono il portone di ingresso principale aperto (quello che non veniva mai utilizzato). Tutti insieme salirono timorosi le scale, tenendo per mano mio nonno. In casa c’erano diversi soldati tedeschi ed anche qualche ragazza tedesca che seguiva le truppe. Si riconosceva dal biondo dei capelli e dalla carnagione chiara. Dal pianoforte posto nel salotto si udivano suonare le note di Chopin. E mia zia, che suonava, mi raccontava che quella sicuramente è stata la musica più bella e struggente che mai sia uscita dalle corde di quel piano. I soldati si resero immediatamente conto che i nuovi arrivati erano i padroni di casa ed anche delle condizioni di salute precarie di mio nonno e nessuno li disturbò. Mia zia accompagnò mio nonno alla sua scrivania e lo fece sedere. Mio nonno aprendo i cassetti, che erano ancora chiusi a chiave, trovò la chiave dal portone al suo posto. E inizialmente non riuscivano a capacitarsi come i tedeschi lo avessero aperto e fossero entrati in casa (solo dopo scoprirono che l’esplosione della bomba aveva divelto il portone di ferro e che il portone principale era stato aperto dall’interno). Era chiaro che i tedeschi avevano utilizzato la casa come accampamento, i letti erano disfatti, le stoviglie in cucina erano sporche.
Il pianoforte continuava a suonare Chopin. Mia zia si recò nel salotto e trovò un soldato tedesco, giovanissimo, bello e biondo che suonava con molto sentimento. Quando vide mia zia si fermò. Accanto a lui c’era una ragazza, anch’essa bionda, seminuda, che aveva sulle spalle, a mo’ di scialle il copriletto di pizzo di Cantù del corredo di mia madre. Il soldato disse qualcosa che mia zia non capì e fece la mossa di andar via. Mia zia, a gesti lo invitò a continuare a suonare e fu lei ad allontanarsi. Il piano continuò a suonare ancora per un poco. Poi si sentirono delle macchine e dei camion che si erano fermati sotto casa. Udirono e videro dei soldati salire di fretta, si udirono delle grida concitate, come degli ordini, e rapidamente in breve tempo, tutti, soldati e ragazze, montarono sui camion e partirono. La casa rimase vuota. Poco dopo mia zia raccolse per terra, in mezzo allo sporco e ai calcinacci il copriletto di pizzo di Cantù di mia madre.
Girando per la casa scoprirono che era stata la bomba esplosa nel cortine che aveva aperto il varco attraverso il quale i tedeschi erano entrati. Quella bomba, sicuramente molto grossa, lo si poteva intuire dai danni che aveva provocato, non era caduta a piombo, ma era scesa in direzione obliqua, aveva colpito la casa sfondando il tetto, era entrata in una stanza di quelle che fungevano da deposito, era uscita dalla finestra, in quanto questa era completamente distrutta e non c’erano altri buchi né nei muri, né nel pavimento (li ho visti con i miei occhi questi danni), ed era andata ad esplodere nel cortile proprio davanti alla porta di ferro. Successivamente mia zia si rese conto che prima dei tedeschi erano già entrati in casa altri che avevano già arraffato quanto loro era stato possibile.
Mia zia mandò Vincenza, la donna di servizio a cercare Turi, il muratore. Turi era a casa e venne subito accompagnato da Filippa, sua moglie, che poi era anche sorella di Maria. Insieme discussero come murare la porta sfondata. Per fortuna in un angolo del cortile c’era ancora della calce, cosa mai mancava nella casa di mio nonno? Turi chiamò delle persone del quartiere e tutti insieme, anche se non erano muratori, si misero immediatamente a chiudere quel varco. Mio nonno e mia zia vollero restare in casa finché la casa nono poté nuovamente essere chiusa. Per fortuna in quei giorni non ci furono altri bombardamenti. Forse perché i tedeschi si erano già ritirati.
La città era contornata da un fiume che scorreva in una vallata abbastanza profonda. Questo fiume era attraversato da un alto ponte che era utilizzato dalle truppe tedesche per la ritirata. Questo ponte strategico era uno degli obiettivi dei bombardamenti americani e inglesi. Ma proprio all’altezza del ponte il fiume faceva un gomito a 90°. Però la montagna che circondava il fiume e il promontorio su cui sorgeva la città e per giunta la grande chiesa madre, costruita proprio in quel punto, rendevano difficile colpire quel ponte. I bombardamenti dall’alto non riuscivano a centrarlo, e l’aviazione alleata tentò di colpirlo con i caccia bombardieri. Questi aerei dovevano percorrere il corso del fiume a bassa quota e poi girare subito dove il fiume faceva il gomito e contemporaneamente sganciare la bomba. Il fiume era disseminato di crateri di bombe esplose, ma il ponte rimaneva intatto. Mio nonno una volta mi mostrò due carcasse di aerei che con l’obiettivo di bombardare il ponte stavano percorrendo il corso del fiume, uno da una parte e uno dall’altra e si erano scontrati in volo proprio a livello del ponte.