Autore Topic: Umbra foglia nera  (Letto 2170 volte)

Leon8oo3

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Umbra foglia nera
« il: Febbraio 21, 2012, 09:16:54 »
UMBRA FOGLIA NERA

"la nebbia"

Arrivò al mattino, la nebbia, densa e odorosa di un sapore nuovo e intenso. In quel piccolo e anonimo villaggio di pescatori, nessuno ne aveva mai nemmeno sentito parlare, della nebbia. E invece venne; si avventò con il passo leggero della morte addosso alle piccole case, insinuandosi come un veleno nelle vie, oscurando l’alba e il primo ritorno a riva delle barche uscite la notte prima. Il piccolo faro era ormai spento e dovettero richiamare in fretta e furia il guardiano dalla sua casetta vicino agli scogli perché lo facesse ripartire, e per tutti fu un correre su e giù in un luogo che era sempre stato la loro casa, forse piccola e sperduta, forse triste e solitaria, ma nota, certa. E invece ora tutti si aggiravano come fantasmi nel buio, senza riconoscersi a vicenda, senza riconoscere le stradine in cui avevano corso da bambini. Così poco era bastato per strappare quella umile gente dalle certezze di una vita intera: là dove non aveva potuto il vento, la pioggia, le maree e i terremoti, là dove avevano fallito gli incendi e le malattie era riuscita invece la silente nebbia dal passo di morte e lo sguardo bianco, che tutto offusca, anche la ragione. Tutti correvano intorno, nessuno sapeva dove andare. La gente si ritrovava nelle case di altri scoppiavano liti improvvise, si accedevano dei fuochi per “veder meglio” come se il fuoco potesse allontanarla, e nel tramestio di questi umili pescatori il fuoco, il panico e la perdita delle percezioni porta rapidamente alla disfatta. Fu per miracolo che non si incendiò la piccola chiesetta. Per miracolo e anche per il tetto in muratura, uno dei pochi nel villaggio. Quel miracolo non graziò la casa della filatrice, che insieme alla sua casa perse anche tutto il suo lavoro, andato letteralmente in fumo in pochi istanti. Qualcuno si fece male scappando, altri sorpresero un vicino che, nella confusione, approfittava per rubare qualcosa nella sua proprietà. Quella strana nube improvvisa sembrava tirare fuori il peggio da loro. Solo una persona, in tutta quella confusione camminava tranquilla. Era una giovane donnetta, Elindora, che in genere non si vedeva mai per strada da sola. Era cieca, la poveretta, camminava sempre con un bastone ma la famiglia la lasciava uscire poco perché sapevano che la gente ne era un po’ spaventata. Aveva gli occhi bianchi, offuscati da un male sconosciuto, e a vederla meglio, ora che camminava con strana sicumera in mezzo a quella fitta nebbia, ci si rendeva conto che i suoi occhi erano di quello stesso colore. Di nube sporca e carica di niente, che pure occupa la strada che percorri. Di un idea di pioggia rimasta abortita tra il cielo a la terra. Di nebbia insomma. Lei camminava mentre la gente correva intorno urtandola a volte, ma sembrava che la cosa non la preoccupasse. Naturalmente di suo, Elindora conosceva bene le strade che percorreva seppure non le vedesse. Sapeva il numero di passi, la approssimata direzione che doveva prendere. Conosceva il terreno sotto i piedi e le case che avrebbe incontrato intorno, aiutata inoltre da quella misteriosa scia che l’intuito crea nelle nostre menti per sopperire alla mancanza di un senso. Ma il suo passo era quello di chi sapeva ancora meglio dove stava andando. Era come se qualcosa la chiamasse. Il fratello e il padre di Elindora, nella confusione si accorsero tardi che lei non era più sulla sua solita sedia e cominciarono cercarla da per tutto “avete visto Elindora?” gridavano alla gente che li strattonava per liberarsi della loro presenza, dovevano solo fuggire. “Elindora!” gridavano, ma lei non si trovava vicino a casa. Tutti sfuggirono dal misterioso abbraccio della nebbia, rinchiusi nelle loro case ad aspettare chissà cosa. Solo il padre e il fratello di Elindora e lei stessa, erano fuori. C’era un silenzio irreale ormai, si sentiva l’odore acre del fuoco che aveva divorato la casa della filatrice e la campana della chiesa salvata per un pelo dallo stesso fuoco. Non un respiro del vento, non un canto di gabbiano, perfino il mare sembrava fermo. Scesero dalla piccola valle arrampicata sugli scogli che era il loro villaggio e puntarono verso il porticciolo, giù alla spiaggia. E gridavano nel silenzio, spaventati a morte, il nome della giovane Elindora che sembrava la vittima perfetta per quella strana essenza che aveva colpito la piccola cittadina. Ma Elindora non era la martire di questa storia. Lei era per metà ricoperta dall’acqua del mare e avanzava verso il fondo tendendo le braccia. I suoi parenti accorsero verso di lei per salvarla, ma era lontana. Alla fine al raggiunsero, correndo ed annaspando nell’acqua “dobbiamo andare” le dissero “dobbiamo andare a casa” ma Elindora si dimenava e urlava, e cercava di dire qualcosa. “No” le dicevano “vieni” e la strattonavano, quasi denudandola del pigiama per la fretta e con tutto il fiato che aveva in corpo, dopo essersi battuta per rimanere dov’era urlò disperata “io ci vedo!”.
E tutto tacque di nuovo. Nemmeno più i loro cuori sembravano battere. Rimasero a guardarsi tra loro, tutti e tre, il padre e i suoi figli. Ed Elindora poteva vederli anche lei, nei suoi occhi la nebbia non c’era più. “Per il potente e misericordioso Dio” disse il padre “davvero ci vedi?” “Sì- pianse lei- io vedo voi, padre, la vostra barba, i vostri occhi azzurri. E vedo anche il mio fratello qui, i suoi occhi sono simili ai vostri di taglio, ma il colore è diverso” disse mentre piangeva, e piangevano tutti e tre su quella spiaggia. Ma mentre piangevano non si accorsero che un suono prendeva corpo nella nebbia. Fu Elindora che se ne accorse per prima e, non seppe mai spiegarsi in seguito il perché, disse “eccola”. E dalla nebbia arrivò una piccola barchetta a remi con una scritta rossa sullo scafo. C’era scritto “Umbra”. Ma nessuno la trasportava, sembrava vuota, Eppure c’era un suono nell’aria, che sembrava venire da quella barca. La barca procedeva mossa da una corrente leggera ma costante, verso di loro. E si fermò proprio davanti ad Elindora. La trascinarono per qualche metro a riva e poi guardarono dentro. Sul fondo della barca, mezzo ricoperta dall’acqua c’era una bambina in fasce che piangeva con tutto il fiato che aveva in corpo. Accanto a lei, una spada, una spada di quelle che in quel villaggio non si erano mai viste, lunga e scintillante, argentata, carica di decorazioni sull’elsa e con una strana incisione nella lama. Era il disegno di una foglia nera, rigogliosa, carica di vita, ma nera come la pece. Non c’era altro nella barca e Elindora prese la bambina a sé come se l’avesse sempre aspettata. La strinse e se la portò via, con il suo nuovo passo sicuro, di donna che aveva ritrovato la vista e sentiva di aver trovato, in un modo molto strano, anche una figlia. Un miracolo per lei, convinta com’era che quella nebbia, il miracolo e la bambina fossero parte dello stesso disegno divino. E lei si caricò di quella infante come i personaggi delle storie che si raccontavano in chiesa, che si caricano le loro avventure che portano al divino e alla santità. Già si vedeva Santa, per aver allevato un essere soprannaturale e miracoloso. Il padre e il fratello rimasero ancora qualche istante sulla spiaggia. Presero a turno la spada che era la cosa più bella e preziosa che quel villaggio avesse mai visto in tutta la sua storia. Il figlio, che non aveva mai impugnato un arma in vita sua, la diede al padre che invece aveva fatto la Grande Guerra dei dieci anni. La guardò, la agitò un po’ all’aria cercando la reazione del peso sul polso “questa è un arma da re” disse.
E tese un fendente verso il mare. In quel preciso istante, la nebbia cominciò a diradarsi rivelando all’orizzonte uno spettacolo davvero insolito per quella pacifica spiaggia. All’inizio era solo una luce fioca, ma sempre più decisa. Poi si videro le prime fiamme e, quando la nebbia abbandono del tutto la cosa, in pochi minuti, si poteva distinguere la chiglia di una grossa nave, un galeone da guerra, sollevata verso il cielo, mentre le fiamme la inghiottivano dividendosi il boccone con le profondità del mare che bramavano la sua preda dal basso. Era uno spettacolo tremendo, si vedevano persone che si buttavano in fiamme in mare mentre l’enorme galeone perdeva pezzi ed esplodevano le cariche di polvere da sparo in ogni direzione. Una pira funeraria gigante, questo sembrava, e ora che il vento spazzava via quello che restava della nebbia, toccava sentire anche le urla tremende dei disperati che affogavano, che bruciavano e subivano ogni sorta di sconosciuta tortura. Dopo poco, la nave era scomparsa e poche ore più tardi, molti cadaveri cominciarono a fare visita alla spiaggia, depositandosi a dimostrazione di ciò che i due uomini avevano raccontato di aver visto al villaggio. I corpi emergevano a distanza di giorni con differenti gradi di decomposizione, trenta il primo giorno, altrettanti il secondo, poi sempre meno, ma sempre qualcuno, ogni giorno per due settimane. Quando non erano in spiaggia erano nel canale, oppure ai piedi del faro. Per due lunghe settimane i pescatori della zona pescarono quasi più cadaveri umani che pesci. Uomini, donne e bambini. Una grande nave da trasporto. Nessuno venne a dire nulla, arrivarono solo dei soldati dalla città a fare dei rilievi, ma nessuno puliva, nessuno domandava. Nessuno si domandò per esempio se c’erano superstiti. E così loro non dissero nulla a quelli della città della bambina miracolosa perché avevano paura che la portassero via con tutto il suo carico di magia positiva. Quando la filatrice vedeva Elindora con la sua nuova piccola sputava per terra, e intanto continuava a costruire la sua nuova casa. Una volta si avvicinò per vederla e disse “questo sgorbietto mi è costata la casa” e andò via. Nessuno sapeva ancora come chiamare la bambina. Qualcuno suggeriva Nebbia- ora che dalla città qualcuno gli aveva spiegato che cos’era la nebbia- ma nessuno voleva pensarci più alla nebbia. E così, la chiamarono con l’unica cosa che la identificava. La chiamarono Umbra, come la barchetta che l’aveva portata a riva, il suo nome completo- doveva averlo, tutti lo avevano- era “Umbra foglia nera” per via del disegno sulla spada. Nessuno sapeva cosa voleva dire ma gli sembrò il migliore dei nomi. Il giorno che Umbra arrivò sulla spiaggia venne con la nebbia che nessuno aveva mai visto prima in quel villaggio. Portò miracoli e sfortune e una scia di morti la seguirono. Era solo l’inizio della sua vita, ma sembrava già carico di conseguenze.
"(...)in quale notte, delirante, malaticcia. Da quali enromi Golia fui concepito, così grande e così inutile".

victor

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Re:Umbra foglia nera
« Risposta #1 il: Febbraio 21, 2012, 11:41:25 »

Leon, bella la tua fantasia …

Bella la tua favola …

Per caso è forse un sogno?

Per il resto leggi cosa ho scritto in “Cosa ti tiene in vita”

Buon lavoro

Victor
Il duro impegno per l'acquisizione delle competenze, la passione e le doti personali creano eccellenza ... e distinguono il professionista dal lavoratore ... Victor

nihil

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Re:Umbra foglia nera
« Risposta #2 il: Giugno 07, 2012, 14:34:28 »
bella storia che sa di leggenda di qualche paesino arroccato da tempo in cima a scogli. Le leggende del mare sono come le onde, si raccontano, si ascoltano e rimangono tra noi come residui di nebbia. abow

Brunello

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Re:Umbra foglia nera
« Risposta #3 il: Luglio 20, 2012, 17:46:56 »
Leggendolo si entra in un mondo incantato, veramente bello, complimenti!

Leon8oo3

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Re:Umbra foglia nera
« Risposta #4 il: Luglio 24, 2012, 14:52:42 »
grazie mille
"(...)in quale notte, delirante, malaticcia. Da quali enromi Golia fui concepito, così grande e così inutile".