Io muoio ogni notte, e la mattina, al risveglio, non sento niente. Non ho coscienza di me. Non ho memoria di me. Mi trascino fuori dal letto. La testa mi pesa ma è vuota; dentro sento solo una nebbia che vela ogni pensiero, ogni intenzione per la giornata, ogni proposito per il futuro. Guardo lo specchio e non vedo niente. Anzi, forse vedo un uomo, ma non so dire con certezza chi sia. Vorrei fare la sua conoscenza. Così vi avvicino una mano, ne sfioro il viso, e con un sorriso sulle labbra osservo il suo sorriso, osservo la sua mano che si tocca l'altra mano. Ma non c'è nulla da fare. Mi lavo, mi vesto, faccio colazione, come se non fossi io a volerlo, ma fosse un altro a guidarmi di stanza in stanza. Ed intanto il tempo passa, passa, svolta chissà dove, e a me non sembra di aver mosso ancora un piede fuori dal letto. Possibile siano già passate due ore? Possibile che tutto questo sia oggi?
Guardo fuori dalla finestra: si, è oggi, è giorno. Il cielo è bianco, quindi è di sicuro giorno. Fosse stato grigio avrei avuto qualche dubbio. Non è ancora ora di lavorare. Io lavoro di sera. Eppure ho voglia di uscire. Qui dentro mi sento soffocare. Metto una giacca, perché forse farà freddo, prendo un libro, perché non vorrei annoiarmi, cerco le chiavi, perché non vorrei rimanere fuori di casa, ed ecco che le prendo, le tengo strette tra le mani, ma poi sento il bisogno di andare al bagno, sento il gorgoglio dello sciacquone, vado alla porta d'ingresso, cerco nelle tasche, ma non sento le chiavi. Dove possono essere? Così torno indietro, tra i mobili, con lo sguardo perlustro la casa intera, alzo i cuscini, scomodo persino il letto e di colpo mi ritrovo davanti al frigo. Lo apro. Ho sete. Prendo l'acqua, la verso, bevo. Torno alla porta, esco, sto per chiuderla ed ecco che appena in tempo vedo le chiavi sul mobile vicino all'ingresso. Le prendo con un gesto secco, esco, mi sbatto alle spalle la porta e chiudo a chiave. Quando sono al piano terra non ricordo se ho chiuso a chiave. Torno su, controllo, spingo con forza la porta: si, è veramente chiusa. Ma non faccio in tempo a scendere qualche scalino che una voce alle mie spalle mi ammonisce:
"Sei sicuro che sia chiusa?"
Mi volto e la porta di casa è spalancata. Sulla soglia c'è lui, l'uomo che vive dentro lo specchio. E' ancora in pigiama quel rammollito. "Non dovresti uscire?" gli chiedo, e vedo la sua bocca muoversi senza che ne esca una sola parola. Il labiale mi sembra chiaro, eppure permane il silenzio. Ripeto la domanda e si ripete la sua mimica facciale. Al terzo tentativo mi guarda con aria beffarda, sorride, e quel suo sorriso mi schiaccia; sento la bocca sforzarsi in una smorfia; i miei occhi si fissano sul suo corpo che lentamente si stacca dallo stipite per strisciare dentro l'appartamento. E' una sorta di ipnosi: decido di seguirlo, penso che sia inevitabile seguirlo. Così mi accosto alla sua schiena e insieme avanziamo lentamente, nell'oscurità, osservandoci l'un l'altro con la coda dell'occhio. Chi è dietro? Chi è davanti? Non importa, so solo che tremo, tremo ad ogni passo che compiamo insieme. Poi finalmente la porta si chiude alle nostre spalle, e rimane solo la paura, la certezza che tutto questo sia inevitabile. Non c'è salvezza, non c'è salvezza per me.