Autore Topic: La forza del sì  (Letto 982 volte)

presenza

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La forza del sì
« il: Settembre 25, 2011, 23:59:56 »
Il "sì" può cambiare la tua vita, la qualità della tua vita, perché significa fluire con la vita. Vivere nel "no", volere che le cose siano diverse da come in realtà sono, significa lottare e combattere.

Sì a te stesso, incluso il tuo corpo: tutto nell'esistenza è unico, incluso tu. L'esistenza ti ha aspettato per milioni di anni, probabilmente aveva bisogno di te e se non ti piaci è come se stessi dicendo "no" all'esistenza, è come se le stessi dicendo che ha sbagliato.

Sì alle crisi nelle relazioni : la condivisione priva di accuse è il punto di partenza per il raggiungimento di una maggiore intimità.

Sì alla fine di una relazione: è stato bello finché è durato, e adesso è ovvio che per te le cose sono cambiate, e benché mi dispiaccia vederti andare via, ti dico addio con amore e gratitudine per tutto quello che abbiamo condiviso.

Sì agli altri: sotto ogni aggressione si nasconde sempre un ego ferito.

Sì alle emozioni: tutto ciò che rifiutiamo diventa importante in quanto gli permettiamo di avere potere su di noi. Conosciamo due modi per gestire le emozioni, reprimerle o esprimerle, ed entrambi sono distruttivi. Ma c'è una terza strada che consiste nel riconoscere l'esitenza dell'emozione, assumerci la responsabilità del fatto che è nostra e osservarla senza lasciarci possedere da essa.

Sì alle situazioni: quanto tempo e quanta energia sprecata nel volere che le situazioni fossero diverse!

Sì ai cambiamenti: nella vita non esiste alcuna sicurezza, tutto è impermanente. E se accettiamo questo ne consegue che l'unico modo per sentirci vivi e pieni di energia è avere il coraggio di vivere nell'insicurezza dicendo sì ai cambiamenti.

Sì alla vita qualunque cosa ci porti.

Sì non significa rassegnazione: concentrarsi su quello che va bene nella nostra vita non è negazione, è accettare che le cose sono in un certo modo e che lottare con questo dato di fatto è uno spreco di energia e di gioia.

(Anando)

chospo

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Re: La forza del sì
« Risposta #1 il: Ottobre 02, 2011, 15:17:26 »
Citazione
Vivere nel "no", volere che le cose siano diverse da come in realtà sono, significa lottare e combattere.

Ci sono certe cose che vanno al dì là delle capacità dell'uomo, e per quelle posso benissimo comprendere questo discorso sull'accettazione, sul concentrarsi sulle cose che "vanno bene" nella nostra vita. D'altro canto però, se viviamo in un determinato tipo di realtà, di situazioni, è perché nessuno ha più voglia di combattere, di complicarsi la vita, di incazzarsi quanto basta (poiché quella che in apparenza sembrerebbe serenità in realtà è solo rincoglionimento globale); non c'è più il senso del collettivo. Il singolo da solo non riesce a far nulla in questo senso; più si batte per quello in cui crede, più viene deriso e gli vien detto: "Ma come? Perché lo fai? Ti è forse utile a qualcosa? Goditi la vita e lascia stare!". E questo perché nessuno ha più la concezione di cosa sia giusto o sbagliato, ma soltanto di cosa sia utile o dia un profitto personale. Lottare e combattere è difatti inutile; e nessuno prende più posizione. Ecco perché di fronte all'orrore che ci circonda siamo ormai passivi, rassegnati, agitati quel tanto che basta a indignarci sul momento, narcotizzati e indifferenti a ciò che diamo per scontato debba essere la nostra realtà di ogni giorno. Quando poi l'accumularsi di ciò che digeriamo di giorno in giorno diventa insopportabile e dentro abbiamo l'inferno, quando l'effetto pentola a pressione raggiunge la soglia limite, si pensa che finalmente ci sia il risveglio, l'insurrezione, ed invece no: non si è più capaci di vomitare.

presenza

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Re: La forza del sì
« Risposta #2 il: Ottobre 02, 2011, 18:37:51 »
Citazione
Vivere nel "no", volere che le cose siano diverse da come in realtà sono, significa lottare e combattere.

Ci sono certe cose che vanno al dì là delle capacità dell'uomo, e per quelle posso benissimo comprendere questo discorso sull'accettazione, sul concentrarsi sulle cose che "vanno bene" nella nostra vita. D'altro canto però, se viviamo in un determinato tipo di realtà, di situazioni, è perché nessuno ha più voglia di combattere, di complicarsi la vita, di incazzarsi quanto basta (poiché quella che in apparenza sembrerebbe serenità in realtà è solo rincoglionimento globale); non c'è più il senso del collettivo. Il singolo da solo non riesce a far nulla in questo senso; più si batte per quello in cui crede, più viene deriso e gli vien detto: "Ma come? Perché lo fai? Ti è forse utile a qualcosa? Goditi la vita e lascia stare!". E questo perché nessuno ha più la concezione di cosa sia giusto o sbagliato, ma soltanto di cosa sia utile o dia un profitto personale. Lottare e combattere è difatti inutile; e nessuno prende più posizione. Ecco perché di fronte all'orrore che ci circonda siamo ormai passivi, rassegnati, agitati quel tanto che basta a indignarci sul momento, narcotizzati e indifferenti a ciò che diamo per scontato debba essere la nostra realtà di ogni giorno. Quando poi l'accumularsi di ciò che digeriamo di giorno in giorno diventa insopportabile e dentro abbiamo l'inferno, quando l'effetto pentola a pressione raggiunge la soglia limite, si pensa che finalmente ci sia il risveglio, l'insurrezione, ed invece no: non si è più capaci di vomitare.

Intanto ti dico subito che l'accettazione vale proprio per tutto ciò che è reale, così com'è e fa parte delle capacità umane,e proviamo sofferenza perché facciamo resistenza verso tutto ciò che è perché non ci piace e vorremmo diverso. Ma accettare tutto così com' é non ci creerebbe sofferenza.

La realtà in cui viviamo è frutto della"negatività e dello scoraggiamento globale a voler vedere solo e soltanto decadenza, dandola perfino per scontato, senza invece soffermarsi su ciò che scontato non è, a partire dal fatto che ci si alza la mattina e c'è il sole, o la pioggia.

Ognuno di noi è solo, è una realtà, non è il demandare alla collettività che ci rende più forti, o ci sostiene nelle idee. Ognuno di noi sa cosa è giusto o sbagliato, solo che sceglie secondo il proprio momento, la propria attitudine, il proprio "codice" e via di questo passo. Dici: "nessuno prende più posizione. Ecco perché di fronte all'orrore che ci circonda siamo ormai passivi, rassegnati, agitati quel tanto che basta a indignarci sul momento, narcotizzati e indifferenti a ciò che diamo per scontato debba essere la nostra realtà di ogni giorno". In verità tanti sono gli esempi di chi prende e mantiene una posizione, è attivo e pronto a portarla avanti affrontando passo dopo passo ciò che tale atteggiamento comporta.
Krishnananda afferma che quando cominciò il suo tirocinio di psichiatria, riconobbe che stava entrando in un mondo in cui avrebbe dovuto probabilmente confrontarsi con molte idee conservatrici intorno alle ragioni per cui la gente ha problemi emozionali. Prosegue dicendo d'essersi sentito come un ribelle arrabbiato, con un suo proprio punto di vista, di critica nei confronti di una tendenza secondo la quale  bastava una pillola per liberare da ansia e paure. E durante il suo tirocinio lui si espresse più volte contro questa tendenza.

La collera spesso è la porta verso un sentimento profondo di tristezza per ciò che abbiamo dovuto soffrire, pertanto abbiamo bisogno di tutta la nostra forza per poter vivere pienamente qui e ora, e per proteggerci da ciò che non ci sembra giusto. e questa forza è la stessa che poi ci porterà a sentire gratitudine e apprezzamento per ciò che abbiamo ricevuto. E quando ritroviamo la forza, la nostra forza, abbandoniamo l'illusione di essere vittime, o cloni inconsapevoli.

chospo

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Re: La forza del sì
« Risposta #3 il: Ottobre 05, 2011, 23:39:15 »
Ammetto che il mio intervento era piuttosto personale e dettato dalla mia attuale situazione (che porta non poco stress). Quando parlavo di persone insensibili, automatizzate, ho sicuramente generalizzato troppo. Concordo con te quando dici che la collera porta inevitabilmente ad un sentimento profondo di tristezza, ed è proprio quello che sto scontando di questi tempi sulla pelle, di giorno in giorno. Spero di ritrovare quella forza.

presenza

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Re: La forza del sì
« Risposta #4 il: Ottobre 07, 2011, 22:55:34 »
Ammetto che il mio intervento era piuttosto personale e dettato dalla mia attuale situazione (che porta non poco stress). Quando parlavo di persone insensibili, automatizzate, ho sicuramente generalizzato troppo. Concordo con te quando dici che la collera porta inevitabilmente ad un sentimento profondo di tristezza, ed è proprio quello che sto scontando di questi tempi sulla pelle, di giorno in giorno. Spero di ritrovare quella forza.

Ogni intervento è personale, e dettato dalla situazione che si vive, sia essa serena, sia stressante. Ma, la risposta l'hai già data a te stesso quando hai concordato con me circa il fatto che la collera porta alla tristezza. Dunque, Chospo, perché continuare ad essere in collera e non invece, ribaltare l'energia che ti proviene dalla collera, e votarla al positivo, al creativo... bene questo tuo scrivere, ma, se permetti, sembra essere fisso in una sola direzione, e spesso succede che quando si guarda solo in un senso, ci si fissa e non si scorge la soluzione...

chospo

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Re: La forza del sì
« Risposta #5 il: Ottobre 08, 2011, 13:24:08 »
Quello che scrivo non è legato in alcun modo alla mia "collera", ma bensì alla mia soluzione, l'unica che ho sempre trovato: l'umorismo. Non vedo altro sbocco alla sofferenza del nostro vivere, che purtroppo, almeno nel mio caso, non dipende solo ed esclusivamente da un momentaneo stato di collera. Spero appunto di ritrovare quella forza, di ridere un po' di più della mia attuale condizione per poter guardare oltre, verso nuove soluzioni.
Tieni presente che i miei racconti non vanno presi sul serio, esagero quello che vedo per sminuirlo e renderlo ridicolo, piccolo piccolo, nella sua vera forma insomma. Dovresti provare a leggerli anche in questa chiave. Ho caricato un immagine personale che può aiutarti in questo senso  ;D
« Ultima modifica: Ottobre 08, 2011, 13:53:13 da chospo »

presenza

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Re: La forza del sì
« Risposta #6 il: Ottobre 08, 2011, 15:10:05 »
Quello che scrivo non è legato in alcun modo alla mia "collera", ma bensì alla mia soluzione, l'unica che ho sempre trovato: l'umorismo. Non vedo altro sbocco alla sofferenza del nostro vivere, che purtroppo, almeno nel mio caso, non dipende solo ed esclusivamente da un momentaneo stato di collera. Spero appunto di ritrovare quella forza, di ridere un po' di più della mia attuale condizione per poter guardare oltre, verso nuove soluzioni.
Tieni presente che i miei racconti non vanno presi sul serio, esagero quello che vedo per sminuirlo e renderlo ridicolo, piccolo piccolo, nella sua vera forma insomma. Dovresti provare a leggerli anche in questa chiave. Ho caricato un immagine personale che può aiutarti in questo senso  ;D



L'umorismo come soluzione... Pirandello dice: « Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di qual orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili. Mi metto a ridere. "Avverto" che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa espressione comica. Il comico è appunto un "avvertimento del contrario";  Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente, s'inganna che, parata così, nascondendo le rughe e le canizie, riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l'umoristico »
   
(L. Pirandello, L'umorismo, Parte seconda[19])

 Se è vero che l'umorismo per te è una soluzione, allora i tuoi scritti vanno presi sul serio, perché dietro l'umorismo si nasconde il sentimento della fragilità umana, che genera compassione per le debolezze altrui, ma che poi sono anche le proprie.