Autore Topic: Sull'autobus - prima parte  (Letto 2213 volte)

chospo

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Sull'autobus - prima parte
« il: Novembre 15, 2011, 11:21:49 »
William non era mai salito su un autobus così squallido. I vetri dei finestrini erano sporchi e anneriti, i seggiolini scritti e spaccati, dal tettuccio cascava qualche goccina d'acqua. Un po' ovunque saltavano agli occhi bottigliette di plastica, lattine squarciate, al suolo c'era una sporcizia e una polvere da metter paura persino ai topi. William, indignato e impettito nel suo piccolo posto, scuoteva la testa dal ribrezzo. "No, no, così non va" ripeteva ogni cinque secondi, guardandosi attorno schifato. Era un piccolo omino bassetto, con la testa larga larga e due occhi vivaci e cattivi.
Egli era abituato a ben altro genere di mezzi pubblici. Si ricordava con tenerezza della volta in cui, avendo problemi nel salire su di un autobus, un gruppo di passeggeri gli aveva teso la mano. Da subito si erano dati a cedergli il posto, poiché portava due grandi buste della spesa, e tutt'intorno sembravano volersi assicurare delle sue condizioni. L'autobus stesso era cangiante come il cuore dei suoi occupanti, riluceva di una strana serenità; le sbarre a cui tenersi erano bianche e scintillanti; l'autista di tanto in tanto fermava il mezzo, controllava che tutti stessero bene, poi, fischiettando un motivetto, tornava a guidare con calma e sicurezza autoritarie. La strada non aveva misteri per lui, e lo faceva ben capire a William che, seduto a poca distanza, ne ammirava il sorriso e l'aria spavalda.
In quest'altro autobus, purtroppo, il Conducente aveva già dato segni di visibile squilibrio. Il mezzo sbandava a destra e a sinistra, come al ritmo di una strada ubriaca e accidentata. Si potevano vedere i passeggeri scuri in volto, ondeggianti di lato in lato, appesi come salami agli anelli pendenti dall'alto, oppure afflosciati come vegetali sui loro posti a sedere. Il Conducente, così aveva notato William, parlava al cellulare con un suo amico. "E non ha neppure l'auricolare! Quel disgraziato!" pensava William osservandolo a bocca spalancata. Ed effettivamente il lungo autista, un personaggio alquanto sgradevole e dal naso moccoloso, teneva il volante con una sola mano, mentre con l'altra, scossa dal nervosismo, portava all'orecchio un cellulare vecchio modello. Era due volte più grande di un cordless. William era allibito: il Conducente non dava neppure a nascondere il suo crimine efferato! Gridava come se dall'altra parte del filo non potessero sentirlo per qualche strano motivo!
"Si, caro, sono felice, felicissimo per te," sghignazzava stridulo quel povero pazzo in preda all'intimo bisogno di mettere a rischio gli occupanti del mezzo pubblico.
Come se non bastasse, William era costretto a rabbrividire di fronte al comportamento indecoroso dei passeggeri stessi. Aveva notato che in molte occasioni questi si piazzavano di fronte alle entrate, e, appena scorti possibili ospiti indesiderati - vecchi o paralitici - li intercettavano con un calcio in pieno volto. I poveretti rotolavano al suolo sulla strada. Alcuni demordevano, i più coraggiosi, che non avevano voglia d'aspettare il prossimo autobus, tentavano nuovamente la salita e nuovamente venivano respinti tra le risate del pubblico immobile sui propri posti a sedere. Avevano l'aria di grosse civette dagli occhi sorridenti. L'autista, in tutto questo, non solo non interveniva a favore dei disperati, anzi, quando ne notava qualcuno più disgustoso di altri, ecco che gli chiudeva le porte in faccia proprio a un centimetro dal naso. Con alcuni dava il meglio di sé, e, forse fortuna, forse abilità, riusciva a intrappolarli tra le porte; quando succedeva ecco che fermava l'autobus e, applaudendosi da solo, picchiandosi il pugno sul petto dalla soddisfazione, incitava i pestatori a randellare con gioia lo scemo del momento. Questo, dopo esser stato percosso con entusiasmo da chiunque - bambini compresi - veniva sospinto dolcemente fuori dall'abitacolo. Di tanto in tanto i persecutori si prendevano una pausa e qualche vecchietto sgusciava lesto tra le porte. Purtroppo gli toccava rimanere in piedi, poiché nessuno si degnava di cedergli il posto. Neppure a William era concesso di alzarsi per aiutare costoro. Al solo tentativo, veniva immediatamente spinto giù da due energumeni che già da un po' di tempo lo tenevano a bada. "Sei uno strano, " gli dicevano grattandosi il naso, "un tipo rivoltoso."
Ma a parte questi spiacevoli episodi, sull'autobus in questione, l'atteggiamento generale non era dei più sociali. Bastava chiedere "Che ore sono?" e la risposta solitamente avveniva in questi termini:
"Che cazzo ne saprò mai. Vai a fanculo."
William sarebbe voluto uscire da quel covo di pazzi. Già dai primi momenti si era accorto che qualcosa proprio non andava, là dentro. Purtroppo era in ritardo a lavoro. Se abbandonava l'autobus corrente, era costretto ad aspettare il prossimo. E se anche quello fosse stato nelle medesime condizioni? Di quei tempi non si poteva mai dire. Certe storie alla televisione facevano accapponare la pelle. William ricordava di autobus bruciati da soli, come per autocombustione, tra urla indicibili e odore di carne fumante. L'odore appunto non si sentiva, ma la giornalista lo descriveva con una tale enfasi da materializzarlo nella mente del telespettatore.
D'un tratto William, perso nei suoi pensieri, mise una mano in tasca e si accorse dell'assenza del portafoglio. Era stato derubato! Il terrore lo fece sbiancare. Sudava, e gli occhi, inquieti, si giravano di lato in lato a caccia di un possibile colpevole. Aveva l'impressione che tutti i passeggeri riuscissero a intuire il suo disagio. Uno dei tanti disse: "Oh! Oh! Oh! Sembra che qualcuno abbia perso qualcosa!"
Tutt'attorno si era fatto uno strano silenzio. Si sentiva solo l'uomo che aveva parlato, che adesso ruminava frenetico la sua gomma da masticare.
Il primo pensiero di William andò al suo abbonamento annuale. Era perduto insieme al portafoglio! Doveva fare il biglietto. La sola idea di un controllo, di un Controllore, lo metteva in agitazione a tal punto da fargli dimenticare dei documenti d'identità e delle carte di credito ormai in mani estranee.
Tentò di alzarsi ma venne prontamente bloccato da uno dei due omoni a sua guardia. "Dove vai?" gli disse indicando con la testa un vecchio a due passi da loro. Questi piagnucolava come un bambino. Era vestito di grigio, con larghi pantaloni di seta, e le lacrime rilucevano sul suo volto rosso e affossato.
"Devo, devo solo fare il biglietto a bordo." balbettò William.
"Ah sì?" continuò l'omone schioccandoli un'occhiataccia.
"Sei sicuro? Sei sicuro di non voler cedere il posto a questo miserabile?"
"No, cioé.." mormorò William confuso. Non riusciva a pensare. "Le spiego.. fosse per me, sì, fosse per me lo farei sedere.. ma adesso questo sì.. beh, sì, questo adesso non è il mio scopo principale, bensì vorrei timbr.."
"Quindi ti piacerebbe farlo sedere?" gli urlò addosso quell'altro mettendogli il naso a un centimetro dalla bocca. Lo annusava convulsamente.
"Ti piacerebbe farlo sedere?!" gridò adesso, come isterico. Batteva i piedi a terra. Ansimava come un cane in procinto di lasciare questo mondo.
"No.. ecco.. ecco.. io vorrei solo fare il biglietto.."
"Bene, allora dillo."
"Cosa, cosa dovrei dire?" chiese William implorando pietà con le mani giunte all'altezza del viso.
"Dillo! Dillo!"
"Cosa? Cosa?!"
"Dillo! Che non vuoi farlo sedere! Urlalo, adesso, qui, in mezzo a tutti noi! Voglio sentirti gridare! Avanti! Avanti!"
"Non voglio.. non voglio..." diceva William stringendo adesso i piccoli pugnetti. Una lacrima gli rigava il viso.
"Non voglio.. non voglio.."
"Cosa, cosa!? Dillo, dillo!"
"Non voglio farlo sedere!" urlò infine William. Si agitava sul posto come impazzito. Le mani, tese in alto, gli tremavano come farfalle dispettose.
Urlò ancora, più forte di prima: "Non voglio farlo sedere!"
Così l'omone lo prese egli stesso per le spalle, lo alzò a mezz'aria voltandosi verso i passeggeri. Ci fu un boato d'esultanza. Rantoli di piacere, cori infernali di parole incomprensibili, sputi nell'aria, si sovrapponevano sulle labbra di facce feroci contratte in uno spasmo di godimento. Il piacere e la gioia si diffondevano come un passaparola febbricitante. Il vecchio venne circondato, preso per testa e piedi da almeno cinque individui, e poi scaraventato oltre la vetrata posteriore del mezzo. Lo seguirono con lo sguardo, mentre rotolava contorcendosi nell'asfalto bollente. Due macchine lo evitarono al pelo, la terza lo sventrò da parte a parte come un soffice grissino.
"Quello però dovete, dovete pagarlo," disse l'autista continuando a guardare la strada. Le mani gli si muovevano lente e sensuali sul grande volante nero. Gorgogliava come una iena.
William intanto piangeva, piangeva e inseriva le monetine nella macchinetta dei biglietti. Quelle uscivano subito dalla fessura sottostante, senza dare risultato alcuno. Di titoli di viaggio non ve n'era traccia.
"Non funziona, non funziona!" gemeva William battendo le mani su quel pezzo di metallo inanimato. E d'insuccesso in insuccesso si diede a bestemmiare, a picchiare la macchinetta con calci furiosi. "Voglio," pensava in un turbine di raccapricciante esaltazione, "Voglio il mio fottuto biglietto"
Un uomo sottile e allungato come un seme gli si accostò e, allungando la testa verso la macchinetta vi poggiò la lingua lucidandola di centimetro in centimetro. "Prova così, prova così" bisbigliava continuando a leccare come in un accesso di voluttà. Uno dei suoi grandi occhi fissava con insistenza William. Tutt'intorno risate oscene si propagavano come in un'orgia di demenza senile.
William corse verso la cabina del Conducente, respirava a fatica, sentiva la testa girare e ovunque coglieva sguardi di derisione e scherno. "Sei una piccola troia!" gli urlò qualcuno.
"Signor Conducente, signor Conducente," disse William appoggiandosi al vetro della cabina e sgusciando poi con la testa proprio alle spalle dell'uomo alla guida. "Ho un problema. La macchinetta dei biglietti è guasta. Mi hanno rubato il portafogli, ho perso tutto! Ho perso l'abbonamento! Ho paura, ho paura che possa salire il Controllore!"
William non aveva mai visto un Controllore, eppure ne temeva l'esistenza. "Se non si è mai visto," pensava, "è solo perché si confonde tra il resto dei passeggeri. Non si può sapere quando sale, né tantomeno quando scende."
Il Conducente non rispose per qualche interminabile secondo, poi disse, con voce calma e neutrale: "Fai bene, fai bene ad avere paura. Secondo fonti certe oggi i controlli saranno intensificati nell'area urbana e suburbana. E sai," concluse sibilando e contorcendosi sul posto, ".. non me ne frega uno stracazzo di niente se la macchinetta è fuori servizio o se ti sei perso l'abbonamento nel buco del culo."
Poi strinse forte il volante, così forte che le vene gli affioravano sulla pelle come una violacea cartina geografica. Oltre il parabrezza luminescente, William scorgeva il panorama. Un cielo plumbeo era intaccato dal rossore del  tramonto, e tra file di interminabili palazzi si assestavano lunghi cantieri in fase di costruzione.
"Io... io.. io la contesto, le faccio un r-r-eclamo Signor Conducente! Q-q-questo non è l'atteggiamento adat-to! Qui d-d-entro è tutto uno schifo!" balbettò William e senza pensare, senza sapere perché, si volse frenetico e corse verso l'uscita. Accanto alle porte c'era un pulsante rosso, gigantesco, e un martelletto, entrambi chiusi in una scatoletta di soffice vetro. L'etichetta diceva: "ROMPERE IN CASO DI EMERGENZA"
William la infranse con un pugno, si impossessò dell'arnese di ferro e con quello colpì ferocemente il pulsante rosso.
In tutto l'autobus scattò una cacofonia d'allarmi, luci celesti lampeggiavano da moltissime angolazioni, spruzzi d'acqua salata si diffondevano rapidamente ovunque, ed infine il mezzo si bloccò sulla strada come se fosse morto di sua spontanea volontà. Il motore graffiava l'aria con rantoli convulsi.
William riprese fiato, si accasciò al suolo con le mani tra le ginocchia, stremato in tutto il corpo dallo scemare dell'ansia accumulata di minuto in minuto.
Si accorse che tutti i passeggeri erano seduti correttamente, immobili; sembrava che i senza posto fossero stati divorati per l'occasione.
Ora vestivano eleganti, rasati come militari avulsi alla vita mondana, accartocciati nello stesso abito nero e distinto; protendevano il braccio a mezz'altezza, ritto di fronte a loro, e da ogni mano si allungavano piccoli cartoncini bianchi. "Sono, sono dei biglietti", pensava William alzandosi e osservando l'ambiente completamente rinnovato. L'autobus brillava di una luce sulfurea, e l'aria, tutta, era rarefatta e a tratti irrespirabile.
"Attenzione Signori", gridò una voce alle sue spalle, e William si girò incrociando con lo sguardo il Conducente che adesso stava in piedi a pochi passi dalla cabina di guida. Era pervaso da una strana serietà, sul volto non si muoveva neppure un muscolo; lunghe basette nere gli scivolavano caute fino al mento. Indossava una divisa grigia con otto bottoni bianchi, sul petto saltava all'occhio un minuscolo cartellino identificativo. William non riusciva a leggerne le credenziali.
D'un tratto le entrate si spalancarono da sole, e da ognuna delle due emerse un uomo uguale e identico al Conducente. "Che siano gemelli?" pensò William.
"Attenzione Signori," gridò ancora il Conducente. Stringeva una lunga bacchetta  di ferro e la sbatteva con forza su un poggiamano. Quel rumore metallico penetrava subdolamente nelle orecchie di William.
"Attenzione Signori," ripetè per l'ennesima volta. Ora non urlava, solo aveva un tono da nazista moderno, autoritario, alto e preciso, che ti costringeva a sussultare, a porre attenzione ad ogni parola, tra battiti frenetici del cuore, scanditi a meraviglia da quella lunga bacchetta metallica.
"Io sono il Controllore" disse poi il Conducente divenuto Controllore.
"E' in corso una verifica dei titoli di viaggio. Se dovete scendere a questa fermata, indirizzatevi presso i miei colleghi. Il vostro biglietto verrà verificato e sarete lasciati andare"
Nessuno sembrava voler scendere; aspettavano imperturbabili.
Ai piedi del Controllore, una signora di mezz'età, dalla gonna viola di cartapesta, gli si strusciava sulle scarpe come un cagnolino ubbidiente. "La prego, la prego," farfugliava felice, "La prego, parliamo del tempo, dell'andamento dei controlli nell'ultimo mese, della viscida amoralità dei trasgressori, si dilunghi dettagliatamente sulle novità introdotte con l'avvento dell'abbonamento impersonale, mi sorrida, mi sorrida e dica che tutto va bene, mi sorrida e dica che tutto va bene"
"Non c'è bisogno di farla così lunga, signora," disse lui con tono canzonatorio. "Mi mostri semplicemente il biglietto"
Ma la Signora sembrava non intendere, poiché, anche ora che il Controllore avanzava tra i posti a sedere, egli era costretto a scrollarsela di dosso con grandi pedate. Quella lo intralciava senza sosta, sorridendo e biascicando frasi sconnesse sull'umidità e l'effetto serra.
William era tornato al suo posto e seguiva ogni più piccolo movimento del Controllore, cercando di indagare nei suoi occhi, di carpire quale misteriosi segreti celasse quell'individuo fatto tutt'uno con il suo ruolo. Tremava da capo a piedi, come un uovo che sta per schiudersi. Non poteva fuggire e lo sapeva: avrebbe tardato a lavoro, e non solo, gli Aiutanti del Controllore lo avrebbero fermato subito, diffamandolo in pubblico per la sua gravosa mancanza.
Il Controllore, irreprensibile e professionale, esaminava a lungo il biglietto che gli veniva mostrato, serio e impassibile come solo una pietra levigata sa essere. I suoi Aiutanti posteggiavano le uscite, guardandosi attorno e fischiettando. Perennemente picchiavano sui poggiamani con le loro sbarrette di ferro, e perennemente ripetevano parole d'esortazione in tono alto e inflessibile: "Questa è una verifica. Siete pregati di esibire i vostri biglietti."
Schioccavano la lingua come grigi camaleonti giganteschi.
William si teneva una mano sul petto, pronto alla storia da raccontare al Controllore. "Gli dirò della macchinetta, del portafoglio rubato, insomma, sono cose che conosce già! Però gliele ricorderò e lui sarà clemente! Da Conducente non sembrava un brav'uomo, ma adesso, beh, adesso è un Controllore!"
In tempi passati William aveva sperato di incontrarne uno, di questi famosi controllori, di inchinarsi con il braccio verso l'alto per mostrare il suo scintillante abbonamento annuale. Nella sua immaginazione il Controllore sorrideva benedicendolo con un simpatico occhiolino.

Brunello

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Re: Sull'autobus - prima parte
« Risposta #1 il: Novembre 15, 2011, 12:00:45 »
Bello ed avvincente. Bravo!

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Re:Sull'autobus - prima parte
« Risposta #2 il: Febbraio 24, 2012, 18:11:01 »
vita da pendolare? ;D

chospo

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Re:Sull'autobus - prima parte
« Risposta #3 il: Aprile 11, 2012, 17:37:57 »
Citazione
vita da pendolare?

Ahahaha.. sì, mi hai beccato, quaranta minuti di autobus al giorno.

nihil

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Re:Sull'autobus - prima parte
« Risposta #4 il: Aprile 11, 2012, 18:58:09 »
tra pendolari ci si riconosce!  ho pendolato anni, ora pendolo solo tra il pc, la poltrona e la cucina.  :-\

MCF

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Re:Sull'autobus - prima parte
« Risposta #5 il: Novembre 06, 2012, 15:49:19 »
 :rose: Scorrevole, avvincente e ben scritto; che cos aposso dire di più?