Autore Topic: Le Virtù  (Letto 349 volte)

Doxa

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Le Virtù
« il: Dicembre 07, 2024, 22:31:26 »
Le Virtù

Del sostantivo virtù è difficile darne una definizione che comprenda tutte le attribuzioni e i modi di intenderla.

Virtù,  in greco antico "aretè":  secondo la remota filosofia  ellenica la virtù in origine non era connessa all’azione per il conseguimento del bene, ma alludeva  al coraggio, alla forza morale e fisica di un individuo, alla sua capacità di compiere un atto o una mansione in modo ottimale.

Nella lingua latina la virtù era denominata "virtus", da “vir” (= uomo), che in epoca romana  designava il valore  dell’individuo durante una battaglia, il suo coraggio, la sua forza (vis), anche spirituale e morale.

Dante Alighieri nel “Convivio” (IV, XVI  7) dice:  “Ciascuna (cosa) è massimamente perfetta quando (l’individuo) tocca e aggiugne la sua virtude propria”.

Nel nostro tempo la virtù di solito la consideriamo come la disposizione d’animo volta al bene.

Il Catechismo della Chiesa cattolica non fa riferimento alla virtù in senso generale ma alle virtù, che possono essere umane,  cardinali e teologali. 

Le virtù umane sono attitudini, disposizioni dell’intelligenza e della volontà che regolano le nostre azioni e fanno praticare il bene. Sono virtù morali che si perfezionano con l’abitudine vengono acquisite tramite l’apprendimento e la pratica (n. 1804).

Virtù umane:

Virtù intellettuali
quelle che perfezionano l'intelletto.

Virtù morali quelle che orientano la volontà al bene.

Virtù naturali, quelle attinenti al compimento di atti buoni.

Virtù religiose, cristiano-cattoliche, vengono infuse  in ogni anima da Dio, tramite lo Spirito Santo, durante il battesimo. La tradizione cristiana ha individuato un settenario di virtù fondamentali, distribuendole in due versanti: le quattro virtù cardinali e le tre virtù teologali.

Virtù cardinali:  prudenza, giustizia, fortezza e temperanza; così dette perché hanno la funzione di “cardine” della vita virtuosa (n. 1805).  Per esempio,  la temperanza è la virtù morale che dà il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti “dell’onestà” (n. 1809).

Virtù teologali: le virtù umane si radicano nelle virtù teologali: fede, speranza e carità; così dette perché è Dio che  le concede  e dispongono i cristiani a vivere “in relazione con la Santissima Trinità” (n. 1812).

Le virtù teologali fondano, animano e caratterizzano l'agire morale del cristiano (n. 1813). 

Non basta,  le virtù sono comprese tra i nove ordini delle schiere di angeli:  Serafini, Cherubini e Troni; Dominazioni, Virtù e Potestà; Principati, Arcangeli e Angeli.


Firenze, battistero di San Giovanni Battista,  le Virtù nei mosaici.

Questo battistero è di fronte la cattedrale di Santa Maria del Fiore


Firenze, battistero di San Giovanni Battista

Lo Pseudo-Dionigi l’Areopagita nel libro “De coelesti hierarchia” indica la “Lettera agli Efesini” (1, 21) e la “Lettera ai Colossesi” (2, 18), scritte da Paolo di Tarso,  come base per costruire lo schema di tre gerarchie, sfere o triadi di angeli, ognuna delle quali contiene tre ordini o cori. In decrescente ordine di potenza esse sono:

prima gerarchia:  Serafini, Cherubini e Troni;

seconda gerarchia: Dominazioni, Virtù, Potestà;

terza gerarchia: Principati, Arcangeli e Angeli.


Le Virtù  sono il quinto ordine degli angeli e presiedono i sette pianeti conosciuti nell’antichità: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno.

Il papa Gregorio I, detto Gregorio Magno, pontificò dal 590 al 604, anno della sua morte,  fece conoscere nell'Occidente latino i cori angelici. Pospose rispetto a Dionigi le Virtù al settimo posto della gerarchia angelica: la collocazione fu ripresa nel “Convivio”(II, 5) da Dante Alighieri, ma  ripristinò lo schema originario di Dionigi nella Divina Commedia (Par. III, vv. 73-75, 79-81) con le Virtù nella quinta posizione. Dante li considera angeli combattenti che presiedono ai grandi cambiamenti della storia. 
« Ultima modifica: Dicembre 08, 2024, 16:00:41 da Doxa »

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Re:Le Virtù
« Risposta #1 il: Dicembre 08, 2024, 12:06:35 »
Nel precedente post ho scritto che in greco antico la virtù è denominata  “areté”, ed allude all’individuo  che si dedica al “bene” e ad agire in modo ottimale.

Nell’antica filosofia greca, la concezione dell'areté non era connessa all'azione per il conseguimento del bene, ma indicava  come qualità il coraggio, il vigore morale e anche fisico, come  gli eroi omerici,  o alcuni statisti ateniesi, indicati da Platone nel “Menone”: Temistocle, Aristide e Pericle; essi ebbero la capacità di ben governare con moderazione e giustizia ma non furono in grado di trasmettere le loro virtù morali ai figli.

Per Platone le virtù corrispondono al controllo delle passioni. Ne “La Repubblica” indica per la prima volta le quattro virtù, che  nella seconda metà del IV secolo dal vescovo  di Milano,  Ambrogio (meglio conosciuto come Sant’Ambrogio),   furono denominate "cardinali", cioè "principali":

la temperanza, intesa come moderazione dei desideri che, se eccessivi, sfociano nella sregolatezza;

il  coraggio, necessario per mettere in atto i comportamenti virtuosi;

la saggezza o prudenza, considerata la base delle altre virtù;

la giustizia, è quella che realizza l'accordo e l'equilibrio di tutte le altre virtù presenti nell'uomo virtuoso e nello Stato perfetto.

Platone indica la saggezza per l'esercizio della virtù, Aristotele nel secondo libro dell’Etica Nicomachea specifica che le virtù etiche non si possiedono per natura, anche se l'uomo ha dimostrato di avere la capacità di acquisirle; vengono individuate soltanto in base a determinate azioni, nella disposizione a scegliere "il giusto mezzo" fra  due estremi.

La saggezza la considera  una "virtù  dianoetica" (dal greco “dianoètikòs” e questo da “dianóēsis” = pensiero): nella gnoseologia aristotelica allude all’attività mentale, che viene agita dal pensiero e  ispira la condotta umana, inoltre permette l’esercizio delle "virtù etiche" nell'azione concreta.

Le virtù dianoetiche che presiedono la conoscenza sono cinque: l’arte , la scienza, la saggezza  o prudenza, l’intelletto e la sapienza.

La saggezza è propria di colui che, pur non essendo filosofo, è in grado di agire in modo virtuoso.
 
Aristotele dice che se si dovesse acquisire la sapienza filosofica per praticare le virtù etiche questo comporterebbe che solo chi ha raggiunto l'età matura, divenendo filosofo, potrebbe essere virtuoso mentre invece con la saggezza, grado inferiore della sapienza, anche i giovani possono praticare quelle virtù etiche che permetteranno l'acquisto delle virtù dianoetiche.

La saggezza permette una vita virtuosa, premessa e condizione della sapienza filosofica, intesa come "stile di vita" slegato da ogni finalità pratica, e che pur rappresentando l'inclinazione naturale di tutti gli uomini solo i filosofi realizzano.

La saggezza può esser fatta conseguire ai giovani tramite l'educazione, che i saggi, o quelli ritenuti tali dalla collettività, impartiscono anche con l'esempio della loro condotta.

Il giovane apprende che le virtù etiche consistono nella capacità di comportarsi secondo il "giusto mezzo" tra i vizi ai quali si contrappongono (ad esempio il coraggio, considerato  l'atteggiamento mediano tra la viltà e la temerarietà), sino a conseguire con l'abitudine l’agire spontaneamente virtuoso: infatti “La virtù è una disposizione abitudinaria riguardante la scelta, determinata secondo il criterio  che determina l’individuo saggio.
« Ultima modifica: Dicembre 08, 2024, 12:41:05 da Doxa »