Il filosofo e sociologo francese Edgar Morin afferma che nel nostro tempo c’è il problema dell’incomunicabilità, invece è importante relazionarsi con gli altri, creare l’empatia e la resilienza. Ma per comprendere gli altri è necessario saperli ascoltare. C’è bisogno di “umanità”, sentimento universale che ci rende simili, solidali.
Un esempio. Il 13 marzo 2013 il neo-eletto papa Francesco dalla loggia centrale della Basilica di San Pietro si rivolse alla folla nella piazza dicendo: “Fratelli e sorelle, buona sera !”.
Quel saluto a molti cattolici evocò il gesto di Gesù risorto che nella sera di Pasqua entrò nel Cenacolo e ai discepoli stupefatti disse: “Pace a voi”, ossia lo “shalom”, che si scambiano gli ebrei e persino gli arabi nella variante “salam”. Quel “Pace a voi” è il Vangelo di Giovanni a ricordarlo (20, 19). Anche due altri evangelisti citano il monito del loro Maestro: “In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa” (vedi Luca 10, 6; Matteo 10, 12).
In prevalenza le persone si scambiano saluti di cortesia o di abitudine, spesso senza pensare al significato delle parole. Lo dimostra l’ormai universale parola inglese “goodbye”, abbreviata in “bye bye”, amputata del nome divino originario: “God bye ye” (= “Dio sia con te”).
Altro esempio. Quando percorriamo i sentieri turistici montani ed incontriamo estranei, per consuetudine e bon ton c’è il reciproco scambio di saluti tra escursionisti. Questa abitudine è molto più di un semplice gesto di cortesia.
La montagna è un ambiente particolare, spesso isolato e impegnativo, in cui la natura impone le sue regole è salutarsi diventa un gesto solidale, tranquillizzante. È un segno di attenzione che, implicitamente, suggerisce: “Ti vedo, non sei solo”. Anche solo scambiarsi un cenno di riconoscimento può infondere un senso di sicurezza.
Salutarsi è un atteggiamento che fa parte di una sorta di codice etico della montagna, un modo per ricordare che, in questi luoghi, è importante prendersi cura l’uno dell’altro.
La peculiarità che rende particolare la prassi del saluto in montagna è il contrasto con la vita quotidiana urbana. Nelle città, il saluto tra sconosciuti è raro. Può persino essere percepito come insolito o invadente. In montagna, invece, è quasi istintivo, diventa un atto di connessione non solo con l’altro, ma anche con sé stesso.
Al saluto, nel suo profilo antropologico-socio-culturale e nelle sue iridescenze religiose, il teologo e vescovo Giovanni Cesare Pagazzi ha dedicato un saggio titolato: “Cosa può un saluto ?” (edit. San Paolo). L’autore dice che il saluto è l’offerta preliminare di sé stessi, l’ingresso nella vita di un altro. Infatti chi saluta per primo si espone e nel contempo s’impone all’altro. Se è così, allora mi espongo, stamane vi saluto per primo, ma senza impormi.
Lieto Capodanno
Il tappo nella bottiglia dello spumante è quasi in dirittura di lancio, le bollicine fanno pressione al sughero inesperto.