Eutanasia/3
“La vita, per l’uomo, è un’esperienza più difficile della morte”. In questo assioma il termine di confronto è il suo antipodo, la vita. La considerazione è di Agostino, vescovo di Ippona, nel suo commento al Vangelo di Giovanni. Vivere può essere più arduo del morire in poche ore o istanti. L’esistenza, invece, si prolunga per anni e con molte sorprese.
Il teologo e filosofo inglese John Henry Newman (1801 – 1890) ammoniva: “Non aver paura che la vita possa finire…”. Però l’individuo, specialmente anziano, pur rimuovendo dalla coscienza il fine vita, gli capita di domandarsi se il tempo che gli resta da vivere sia degno di essere vissuto o meno. Fa una sorta di bilancio “costi-benefici” riguardo al proprio futuro. Avanzando negli anni, tendenzialmente sempre minori sono le probabilità di ottenere ulteriori soddisfazioni e felicità, sempre maggiori quelle di avere in prevalenza sofferenze e dolori.
Comunque meditare sulla fine della propria esistenza sulla Terra significa collocarsi nella storia e nel tempo, facendo salire alla coscienza il proprio vissuto. Però le meditazioni di questo tipo sono per i filosofi e i religiosi. Nella maggioranza delle persone prevalgono la rimozione, la rassegnazione, o l’accoglienza della morte per lenire il dolore o vivere nella gloria di Dio.
Chi non crede nella trascendenza della vita umana, biologicamente considerata soltanto corpo-macchina, la morte è l’interruzione della funzionalità del corpo causata da una malattia o altro accidente. E ci sono pazienti che non sopportano il dolore e pensano all’eutanasia per non soffrire più.
"Non è mai lecito, scrive con sorprendente attualità sant’Agostino, uccidere un individuo: anche se lui lo volesse, anzi se lo chiedesse perché, sospeso tra la vita e la morte, supplica di essere aiutato a liberare l’anima che lotta contro i legami del corpo e desidera distaccarsene; non è lecito neppure quando il malato non fosse più in grado di vivere".
Penso che sia sbagliato voler prolungare la vita con l’accanimento terapeutico, che serve solo a prolungare un eventuale agonia. Però astenersi dall’ accanimento terapeutico può anche significare “omissione di soccorso”, perciò è un’ omicidio, invece l’ eutanasia è una forma di suicidio. In ogni caso scegliere l’eutanasia non è facile, anche perché non correggibile o rimediabile. Anche se la considero un diritto dell’individuo per evitare il dolore fine a se stesso, credo che chi vi ricorre discerne dopo lunghe riflessioni.
Dal punto di vista religioso il suicidio (non il rifiuto dell’accanimento terapeutico) è considerato “peccato mortale” contro la volontà di Dio che “ci ha creati”. Il cristiano deve accettare la sofferenza che deriva dalla malattia ed offrirla in sacrificio a Dio. (?)
Prolungo un poco questo post, che è l’ultimo di questo topic, con un argomento di “alleggerimento”. Mi sovviene alla mente una similitudine, un po’ forzata, tra l’eutanasia del corpo e l’eutanasia dell’amore che fa finire il rapporto di coppia.
Si, certo, penso al romanzo di Giorgio Saviane “Eutanasia di un amore”, edito nel 1976, e da cui fu tratta la sceneggiatura per l’omonimo film del 1978.
L’eutanasia si può praticare anche all’amore di coppia per non prolungare l’agonia con metaforiche “cure palliative”, con le bugie, le illusioni ?
Può accadere di non credere più in una storia d'amore e rinunciarci perché uno dei partner od entrambi hanno esigenze diverse .
Lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet nel suo breve saggio titolato “Dirsi addio” evidenzia che sono in aumento le coppie che "scoppiano", ma sono numerose anche quelle che "implodono".
Quelle che esplodono sono le coppie più giovani, che si mettono assieme per amore o per convenienza, ma che non si conoscono davvero. Così di fronte alla prima crisi seria il rapporto si frantuma. Grandi litigi, lacrime, a volte la violenza fisica, battaglie tramite avvocati e tribunali.
Se invece i problemi diventano insostenibili più in là negli anni la separazione viene solitamente chiesta dall’elemento più forte della coppia, quello che “non ne può più” e decide di concludere la convivenza assumendosene tutta la responsabilità. La fine dell’amore è comunque dilaniante, anche perché per far finire l’attaccamento ci vuole tempo, specie se si viene lasciati.