Autore Topic: Locus amoenus e hortus conclusus  (Letto 1191 volte)

Doxa

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Locus amoenus e hortus conclusus
« il: Giugno 18, 2023, 17:55:33 »
Locus amoenus e hortus conclusus

Nella letteratura e nelle arti figurative la frase “locus amoenus” allude a un piacevole  luogo che invita all’otium e all’incontro di Eros con Venus nella natura bucolica, circondata da alberi, il canto degli uccelli, fiori, prati verdeggianti, la vicinanza di una  fonte d’acqua, ruscelli.

Il termine bucolica deriva dal sostantivo  greco “boukòlos” = "bovaro" (= l’addetto ai buoi da lavoro di un’azienda agricola).

Il locus amoenus non va confuso con l’hortus conclusus.

Un significativo esempio di entrambi, ma distinti, sono nell’Odissea.

Omero descrive la natura dell’isola Ogigia abitata dalla divinità marina Calipso che amò, riamata, Odisseo (= Ulisse) e lo trattenne con sé per sette anni.

Ogigia, luogo paradisiaco dell’immortalità e della felicità. L'aedo narra che nei pressi della grotta-abitazione di Calipso c’è un lussureggiante bosco, prati, fiori, uccelli che cinguettano rigogliosi tralci di vite e quattro sorgenti d’acqua (= locus amoenus).

Ancora Omero, racconta di Ulisse naufrago nell’isola dei Feaci, della sua soccorritrice, la principessa Nausicaa, del re Alcinoo. La reggia circondata da un grande giardino con alberi e tanti frutti in ogni stagione (= hortus conclusus, giardino recintato).

Nel Medioevo ed anche nei secoli successivi l’hortus conclusus era quello annesso a monasteri e conventi: una zona adibita alla coltivazione di piante, anche medicinali,  e alberi fruttiferi.

Nei castelli e nelle residenze nobiliari i signori di solito adibivano un'area  a giardino con  fiori, alberi, piccoli  canali irrigui anche per i giochi d’acqua, e le dame vi passeggiavano.   

Adesso propongo alla vostra attenzione un hortus conclusus  immaginario, dipinto in due versioni da Lucas Cranach, detto "il Vecchio" (1472 – 1553): il cognome di questo pittore e incisore tedesco è un toponimico, deriva dalla sua città natale, Kronach, in Baviera.



 
Lucas Cranach il Vecchio: L'età dell'oro, olio su tavola, 1530 circa - Galleria Nazionale di Oslo.

Un’altra versione


Lucas Cranach il Vecchio, L'età dell'oro,  pittura ad olio su pannello, 1530 circa, Alte Pinakothek di Monaco. 
« Ultima modifica: Giugno 18, 2023, 22:16:17 da Doxa »

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Re:Locus amoenus e hortus conclusus
« Risposta #1 il: Giugno 18, 2023, 21:38:26 »
Anche nel Cantico dei Cantici c’è l’espressione biblica “giardino chiuso”, ma come elogio dello sposo alla sposa: "Hortus conclusus soror mea, sponsa, hortus conclusus, fons signatus".

“Giardino chiuso tu sei,
sorella mia, sposa,
giardino chiuso, fontana sigillata
.
I tuoi germogli sono un giardino di melagrane,
con i frutti più squisiti,
alberi di cipro con nardo,
nardo e zafferano, cannella e cinnamòmo
con ogni specie d'alberi da incenso;
mirra e aloe
con tutti i migliori aromi.
Fontana che irrora i giardini,
pozzo d'acque vive
e ruscelli sgorganti dal Libano.
La sposa
Lèvati, aquilone, e tu, austro, vieni,
soffia nel mio giardino
si effondano i suoi aromi.
Venga il mio diletto nel suo giardino
e ne mangi i frutti squisiti”
(IV, 12 – 16).


Domenico Morelli, Il sogno di Salomone, Galleria Nazionale di arte moderna, Roma


« Ultima modifica: Giugno 18, 2023, 21:52:43 da Doxa »

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Re:Locus amoenus e hortus conclusus
« Risposta #2 il: Giugno 19, 2023, 09:39:08 »
Teocrito, Theókritos in lingua greca. Era un poeta siceliota nato  nella Magna Grecia, a Siracusa (Syrákousai) nel 315 a. C. e vi morì nel 260 a. C. circa. 

Scrisse, carmi, epigrammi, inni e idilli.

Gli studiosi considerano Teocrito l’ ideatore dell’idillio (dal latino idyllium): breve componimento poetico di tipo bucolico.

Dei  suoi 30 componimenti che formano la raccolta titolata “Idilli”, 8 sono di ambientazione arcadica,  caratterizzata dal paesaggio agreste con ruscelli, animali che pascolano. I protagonisti  erano i pastori (bukòloi,) che  si sfidavano in gare  poetiche.  Si accordavano sulla scelta del giudice che doveva proclamare il vincitore, il quale riceva un premio.
 
I concorrenti gareggiavano alternandosi nel canto, denominato canto amebeo, che poteva riguardare tematiche libere o stabilite dal giudice; di solito i temi privilegiati  erano le vicende amorose.

Lo schema del canto era quello in cui si alternavano una domanda e una risposta; si creava, in questo modo, un sistema di corrispondenze e di contraddizioni fra chi proponeva la tematica e chi rispondeva.

Dai primi agoni pastorali cantati si passò  in seguito ai testi scritti.

L’ambiente bucolico evoca il Paradiso terrestre. A me fa pensare anche a Lucas Cranach il Vecchio e al suo dipinto titolato “Tentazione di Adamo ed Eva”.


 Lucas Cranach il Vecchio, tentazione di Adamo ed Eva, olio su tela, 1530, Kunsthistorisches Museum, Vienna

Cranach ha raffigurato il Paradiso come un locus amoenus con diverse scene, non in ordine cronologico, tratte dal Libro della Genesi.
 
In primo piano: Dio (con il manto rosso)  ammonisce Adamo ed Eva di non mangiare dall’Albero della conoscenza del Bene e del Male.

Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male” (Genesi 2, 9).

“...ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire”
(Genesi 2, 17)

Dietro la coppia c’è accucciato un bianco cane levriero da caccia; più a destra arriva trotterellando un bianco cavallo; sotto di questo si vede la testa di altro cavallo mentre bruca l'erba.

Le  altre sparse scene vanno osservate da destra a sinistra.

In fondo a destra, dopo i tre bianchi agnelli (?) c’è la scena di Dio che crea  Adamo.

Segue l’albero della conoscenza del Bene e del Male carico di frutti.

Il serpente nella sembianza di donna  offre il frutto proibito. Eva già ne ha uno nella mano destra, un altro lo sta mordendo Adamo, in questo caso i frutti sono tre.

Più a sinistra, dietro un grande cespuglio, Dio estrae Eva dalla costola di Adamo.

Dopo l’albero, nel cielo c’è una nuvola con la raffigurazione dell’occhio di Dio. Adamo ed Eva tentano inutilmente di nascondersi dietro un cespuglio dopo aver trasgredito l’ordine divino.

Sull’estrema sinistra l’arcangelo Michele con la spada insegue e allontana  Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre.

Tre daini, di cui due in fuga, sono simbolicamente considerati messaggeri spirituali.

Concludono la rappresentazione due fagiani: simboleggiano la fecondità, la nascita e la rinascita.

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Re:Locus amoenus e hortus conclusus
« Risposta #3 il: Giugno 21, 2023, 19:24:58 »
Il poeta e scrittore  Publio Virgilio Marone (70 a. C. – 19 a. C. iniziò a scrivere le “Bucoliche nel 42 a. C. e le divulgò nel 39 a. C. circa. Sono una silloge di dieci carmi, detti “eclogae” (= poesie scelte),  di argomento agricolo e pastorale ma connessi alla guerra civile e ad altri avvenimenti nel I sec. a. C., come la “battaglia di Filippi”, nel 42 a. C., a seguito della quale molte terre furono espropriate per distribuirle ai veterani. Lo stesso Virgilio fu espropriato del podere che aveva a Mantova.

E' interessante la decima di egloga dove protagonista è Cornelio Gallo, poeta e amico di Virgilio che si rifugia nel mondo bucolico per sfuggire alle pene d’amore causate dalla lontananza dell’amata Licoride. Egli pensa che il dedicarsi a una vita di lavori agricoli e di canti con la lira sotto l’ombra di un albero riuscirà ad alleviare le proprie sofferenze. Ma a Gallo basta nominare continuamente il nome della ragazza per sentenziare una frase emblematica: [COLOR="#0000CD"]«omnia vincit Amor; et nos cedamus Amori» [/COLOR](“Amore vince tutto e all’Amore cediamo”).

Chiudendo la propria opera con questo componimento, Virgilio ammette che il locus amoenus è soltanto una soluzione temporanea, che non può alleviare il dolore degli uomini. Ma soprattutto rinuncia al clima spensierato e pacifico di Teocrito, aggiungendo note malinconiche e riferimenti alla vita pubblica e politica di Roma.





Le ecloghe virgiliane mi sembrano un po’ noiose, perciò vi  offro come lettura un componimento satirico del poeta e scrittore  Orazio (65 a. C. – 8 a. C.). E’ titolato “Alfio l’usuraio”, evoca anche l’ambiente bucolico.  E’  nella prima raccolta poetica  oraziana titolata “Epòdi”, costituita da 17 componimenti satirici. 


Alfio l’usuraio

"Beato chi, lontano dagli affari,
come gli uomini delle origini,
lavora coi buoi i campi paterni,
libero da speculazioni;

e non lo svegliano trombe di guerra,
non trema alla furia del mare,
evita il foro e i portoni arroganti
dei cittadini piú potenti.

Cosí agli alti pioppi sposa i tralci
ormai cresciuti della vite,
contempla in una valle solitaria
le mandrie sparse che muggiscono,
recide col ronchetto i rami inutili
e innesta quelli piú fecondi,
versa il miele fuso in anfore terse
o tosa le sue pecorelle;

e quando l'autunno sovrasta i campi
splendente di frutti maturi,
gode a cogliere le pere d'innesto
e l'uva che emula la porpora,
per donarle a te, Priapo, a te, padre
Silvano, che vegli i confini.

È bello allora sotto un leccio antico
stendersi sull'erba compatta,
mentre fra gli argini scorre un torrente,
stridono nel bosco gli uccelli,
zampillano e bisbigliano le fonti,
invitando a un placido sonno.

Ma quando è inverno e fra i tuoni del cielo
Giove rovescia pioggia e neve,
con la muta dei cani in lungo e in largo
caccia i cinghiali nelle trappole,
tende su canne lisce reti fitte
per insidiare i ghiotti tordi
o, dolce preda, prende al laccio lepri
atterrite e gru pellegrine.

Chi fra tutto ciò non scorda le pene
che l'amore porta con sé?

Se poi una sposa onesta aiuta in casa
e alleva con dolcezza i figli,
come una sabina o la moglie arsa
dal sole d'un pugliese svelto,
e in attesa del tuo ritorno mette
legna sul focolare sacro,
chiude nei recinti il florido gregge,
munge le turgide mammelle
e, spillato dal tino il vino nuovo,
prepara un pranzo genuino,
in cambio certo non vorrei le ostriche
del Lucrino o i rombi e gli scari,
che per caso fra i tuoni una burrasca
ci portasse qui dall'oriente.

E piú di una gallina faraona
o del buon francolino ionico,
vorrei gustare a tavola le olive
piú succose colte dagli alberi,
o il lapazio di campo, l'erba malva
(un toccasana per lo stomaco),
l'agnella uccisa per le feste sacre,
il capretto strappato al lupo.

E a pranzo è dolce guardare le pecore
che sazie s'affrettano a casa,
guardare i buoi stanchi tirare a capo
chino il vomere sollevato,
e intorno ai Lari lucidi gli schiavi,
sciame che arricchisce la casa.'

Cosí parlava Alfio l'usuraio,
già pronto a farsi contadino,
e alle idi ritirò i suoi denari,
per darli a frutto alle calende"
.
« Ultima modifica: Giugno 21, 2023, 21:41:37 da Doxa »

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Re:Locus amoenus e hortus conclusus
« Risposta #4 il: Giugno 24, 2023, 15:28:11 »

Thomas Cole, Sogno di Arcadia (veduta parziale), olio su tela, 1838,  Denver, Art Museum

Al centro della scena, in primo piano,  giovani uomini e donne, c'è chi suona e chi balla.  .

Sulla sinistra un gruppo di persone sta partecipando ad una cerimonia intorno ad un pilastro sormontato da un'erma  che rappresenta il dio Pan.

Ci sono molti fiori, allude alla rinascita della natura nella stagione primaverile.


Ci sono molti fiori, alludono alla rinascita della natura nella stagione primaverile.

Allo stesso periodo dell'anno è ambientato il poema epico-filosofico “De rerum natura”, in 6 libri, scritto dal poeta e filosofo di epoca romana Tito Lucrezio Caro (circa 98 a. C. – circa 55 a. C.), seguace dell’epicureismo.

Il primo dei sei libri lo apre con un proemio, l’inno a Venere, divinità simbolo della bellezza, della voluptas, della forza creatrice della natura.

“Genitrice della stirpe di Enea, gioia di uomini e dei,
Venere che dai la vita,

[…]

Te o dea voglio come compagna per comporre i versi
che io provo a scrivere sulla natura delle cose”.

[…].


Per  Lucrezio la felicità della persona  saggia deriva dal piacere di stare insieme con amici in uno scenario campestre quando il tempo è propizio. 
 
« Ultima modifica: Giugno 24, 2023, 16:47:34 da Doxa »

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Re:Locus amoenus e hortus conclusus
« Risposta #5 il: Giugno 25, 2023, 18:03:05 »
Nell’altro topic, dedicato al paesaggio, ho citato Francesco Petrarca (1304 – 1374) e Giovanni Boccaccio (1313 – 1375).

Messer Dante (1265 – 1321) lo colloco in questo topic, così completo la triade medievale del XIV secolo.

Nella Commedia dell’Alighieri ci sono scenari fantastici, selve, fiumi, itinerari rupestri, fiori nella “Valletta dei principi”, il Paradiso terrestre e altre rappresentazioni metafisiche.

Un particolare locus amoenus il poeta lo descrisse nelle “Egloghe”: due componimenti  di carattere bucolico in lingua latina. Una titolata “Vidimus in nigris albo patiente lituris” di 68 versi; l’altra  “Velleribus Colchis prepes detectus Eous” di 97 versi. Le scrisse tra il 1319 e il 1320, un anno prima della sua morte.



Concludo questo post ricordando che anche Dante per  scrivere  poesia aveva bisogno  dell’amore che gli “spiri dentro”:

Amor che ne la mente mi ragiona
de la mia donna disiosamente,
move cose di lei meco sovente,
che lo 'ntelletto sovr'esse disvia.
Lo suo parlar sì dolcemente sona,
che l'anima ch'ascolta e che lo sente
dice: "Oh me lassa! ch'io non son possente
di dir quel ch'odo de la donna mia!"

Convivio III, 1 – 8.

Forse Dante compose questi versi per la sua “donna gentile” (vedi Vita Nova XXXV ss.) ma qui reinterpretati come allegoria della filosofia, allo studio della quale il poeta si dedicò per trovare consolazione dopo la morte di Beatrice. Egli insiste sull’incapacità del suo intelletto di comprendere tutte le parole che lei gli rivolge e sulla sua difficoltà nell’esprimere compiutamente la bellezza di Beatrice.

« Ultima modifica: Giugno 25, 2023, 18:05:32 da Doxa »

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Re:Locus amoenus e hortus conclusus
« Risposta #6 il: Giugno 29, 2023, 15:28:36 »
Hortus simplicium

L ’hortus conclusus abbaziale o conventuale era diviso geometricamente da aiuole separate e da vialetti, a volte anche coperti da pergole.



C'era l'area destinata alla coltivazione delle verdure per l’alimentazione  dei religiosi (herbaria),  un’altra al frutteto (pomaria), quella dedicata agli alberi ornamentali e  alle piante floricole,(viridarium), quella riservata alle piante ed erbe medicinali: l’orto dei “semplici” (hortus simplicium).

Gli speziali dividevano i farmaci in due categorie: simplex et composita, a seconda che fossero naturali o elaborati artificialmente.

Le più diffuse piante ed erbe curative nell’hortus dei “semplici” erano:  Aglio, Basilico, Camomilla, Cumino,
Elicriso,  Finocchio o finocchietto selvatico, Ginepro, Lavanda, Liquirizia, Maggiorana, Malva,
Menta, Origano, Prezzemolo,  Rabarbaro, Rosmarino, Salvia, Timo. 

Piante ed erbe  venivano sottoposte a vari trattamenti nel laboratorio chiamato “officina”, perciò  le piante medicinali vengono anche chiamate piante officinali.

Foglie, cortecce, radici e fiori venivano essiccati e conservati nell’armarium pigmentariorum (c’erano più armadi, in legno, con sportelli senza vetri, per proteggere i preparati dalla luce), poi macerati nell’alcol o posti in infusione nell’acqua. Successivamente  traevano le sostanze per produrre, insieme ad altri prodotti, gli  olii essenziali, sciroppi, tisane,  creme, unguenti ed altri farmaci,  da dispensare ai confratelli e ai malati bisognosi:  pellegrini, viandanti,  abitanti nella zona.



L’addetto alla cura dell’orto  dei semplici e alla preparazione dei medicinali era il monachus infirmarius, cosiddetto perché vicino l’officina c’era l’infermeria. Egli era  erborista, farmacologo, anche “medico” e farmacista.
 
Ovviamente con lui c’erano altri religiosi che l’aiutavano, anche nello studio e la catalogazione di piante medicinali, con la collaborazione degli amanuensi e dei miniatori.

"Horti" o "Hortuli" erano i titoli di libri di medicina monastica diffusi in Italia e in Europa nel Medioevo.



Nel “Cantico delle creature”, attribuito a Francesco d’Assisi, il santo scrisse: “Laudato si', mi Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti fior et herba”.


« Ultima modifica: Giugno 29, 2023, 21:15:44 da Doxa »