Il cardinale Gianfranco Ravasi in un suo articolo titolato “Vi spiego chi sono i Samaritani”, pubblicato sul settimanale ”Domenica” del quotidiano Il Sole 24 Ore del 16 aprile scorso, dice che i Samaritani sono un’etnia particolare che affiora a più riprese nella Bibbia.
Ciò che può sorprendere è la loro sopravvivenza attuale: sono meno di un migliaio, distribuito tra Nablus (Neapolis romana), centro principale della Samaria, e Holon non lontano da Tel Aviv.
Essi prediligono l’endogamia con matrimoni tra cugini che ha l’inevitabile conseguenza genetica dei bambini che nascono con malformazioni.
L’appartenenza è patrilineare ed etnica, così da scoraggiare matrimoni misti, prassi contro cui si è battuta tempo fa una nota conduttrice samaritana della televisione israeliana, innamorata di un ebreo.
I samaritani vengono classificati come ebrei eterodossi, frutto delle unioni avvenute secoli fa, quando Samaria, capitale del regno scismatico di Israele (staccatosi da quello di Giuda con capitale Gerusalemme), fu conquistata dagli Assiri nel 722 a.C.
I discendenti sono oggi nella Samaria (regione ormai a prevalenza musulmana) e si distanziano dagli Ebrei, pur avendo in comune non pochi elementi religiosi, sia pure declinati secondo tipologie differenti.
Bastino solo queste due citazioni bibliche per marcare l’antico divario.
Dal libro del Siracide, sapiente ebreo del II secolo a.C.: “Non sono neppure un popolo quelli che abitano sul monte di Samaria, un popolo stolto” (50,25-26).
Dal Vangelo di Giovanni: “I Giudei non hanno rapporti coi samaritani” (4,9).
Si comprende, quindi, la provocazione di Gesù quando nella parabola pone un samaritano a emblema di amore nei confronti di una persona percossa con violenza e derubata.
Il cosiddetto “Pentateuco samaritano”, parallelo alla Torah ebraica, sia pure con varianti proprie, viene mostrato ai fedeli solo nei sabati delle tre festività di pellegrinaggio, nello Yom Kippur (il giorno ebraico dedicato alla preghiera e alla penitenza) e nella festa che commemora il dono divino della Legge.
Questa scrittura sacra è conservata in una sinagoga sul monte Garizim, (in ebraico Gherizim), considerato sacro dai Samaritani. E' in Palestina a ovest di Sichem, antica città biblica, oggi sito archeologico, vicino alla moderna città di Nablus, 65 km a nord di Gerusalemme.
La testimonianza biblica parla sin dall'antichità del carattere sacro di questa località (Deuteronomio 11,29).
Separatisi dai Giudei, i Samaritani costruirono sul Garizìm un tempio (2 Maccabei 6,2), nel luogo sul quale - secondo una loro tradizione - avvenne il sacrificio di Abramo.
Ai piedi del monte, ancora la tradizione situa il pozzo di Giacobbe (vedi parabola della Samaritana che offre da bere a Gesù)
Il tempio sul Garizìm, costruito all'epoca di Alessandro Magno (328 a.C.) a imitazione del tempio di Gerusalemme, fu distrutto nel 128 a.C..
Nei Samaritani rimase la convinzione che su quel monte bisognava adorare Dio (Gv 4,20).
Nel 36 d. C. su questa montagna ci fu una rivolta dei Samaritani contro il potere di Roma, ma fu repressa
dalle truppe comandante da Ponzio Pilato, all'epoca prefetto della Giudea.
Nel 67 d.C. i Samaritani furono sconfitti dall'esercito romano comandato dal "legatus legionis" dell'imperatore Vespasiano, Sesto Vettuleno Ceriale.
Il monte Garizim è ancora considerato sito sacro. I riti religiosi vengono officiati dai sommi sacerdoti samaritani. Ai suoi piedi sorge l'ultimo villaggio interamente samaritano, Kiryat Luza.
Nel dialogo citato nel precedente post la donna samaritana dice a Gesù: “I nostri padri hanno adorato questo monte; voi invece dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare”.
E evidente il contrasto tra le due fedi, una legata al monte Garizim e l’altra al monte Sion, dove c’era il Tempio di Gerusalemme.
La replica di Cristo è netta: “Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre… Viene l’ora in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità” (Gv 4, 19 – 24).
Nei secoli sul Garizim sono state edificate le sinagoghe samaritane; sulla sua vetta si celebra la Pasqua col sacrificio dell’agnello. Su questa montagna si sale per i pellegrinaggi nelle varie festività e si officiano matrimoni e funerali.
Sopravvissuti a persecuzioni, a discriminazioni politiche e sociali, a conversioni forzate e ad apostasie, queste poche persone reggono ancora alto il vessillo della loro identità, nella convinzione di essere gli unici autentici rappresentati dell’antico Israele biblico.
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